Dall’esame della bibliografia in mio possesso è emerso
come l’energia rinnovabile sia un settore in continua crescita trainata dal
carro delle bio-energie agricole. Se ciò accade è perché vi è un forte traino
economico. La bioenergia in agricoltura è innanzitutto un buon affare per le
agricolture iper-sovvenzionate e sovra-produttive dei paesi sviluppati che
potranno smaltire le eccedenze senza dover pagare per la loro distruzione o per
mantenere i terreni improduttivi. Per le agricolture dei paesi in via di
sviluppo che avranno nuovi articoli d’esportazione, per un mercato a aumento
esponenziale della domanda sotto la spinta dei trattati di Kyoto.
Si prevedono così
tempi se possibile ancora più duri per le foreste primarie pluviali rimaste al
mondo che rischiano di rimanere schiacciate dalle colture oleaginose di soia e
palma come oleaginose e canna da zucchero e forse manioca e sago per etanolo in
un prossimo futuro. Questo traino economico ancora non è cosi forte da gonfiare
le veli delle colture algali da energia nonostante vi siano ottime promesse
sotto molti aspetti.
Indubbiamente le
bioenergie e le colture energetiche se ben usate possono aiutare a migliorare
il nostro futuro. In un mondo dove il 70% delle persone è a rischio
denutrizione s’auspica che per le colture da energia vengano utilizzati i
terreni improduttivi e marginali salvandoli dall’erosione. Per far ciò bisogna
privilegiare le colture low input soprattutto nei paesi tropicali. Ma è un dato
di fatto che oggi le maggiori colture energetiche sono ad alto input. Con
bilanci energetici molto contraddittori a seconda degli analisti.
Qualcosa adesso si muove per le low input nel caso
specifico della jatropha e in parte del ricino, di cui grandi piantagioni
stanno per essere impiantate nei paesi africani a clima arido e semi arido.
Anzi per la jatropha nei prossimi anni è attesa un incremento esponenziale di
superficie colturale in Africa soprattutto ma anche in Asia e Sud America. A
patto che sia messo in prevalenza l’aspetto di ripristino ambientale e lotta
all’erosione e alla desertificazione su quello meramente economico il giudizio
sulla jatropha e le low input ai tropici è assolutamente positivo per le
peculiarità di protezione dall’erosione che hanno.
Le neglected crops vivono di nuovo interesse dopo secoli
d’abbandono e dato l’utilizzo no food del bioenergico saranno una realtà in
espansione nel futuro. Le Areaceae soprattutto sono eccellenti
foto-sintetizzatrici e molte di loro hanno grande potenziale che aspetta solo
d’essere valorizzato.
Le piante da biomassa sono una realtà in crescendo come
colture di ripristino ambientale adoperandole come bio-accumulatori di metalli
pesanti ed elementi tossici all’uomo in suoli compromessi. Il pioppo, il
salice, l’eucalipto ad esempio tipiche piante da Short Rotation Forestry sono
grandi accumulatori di metalli pesanti e degradatici d’idrocarburi, come molte
piante erbacee come la salicornia
crescono in terreni acquitrinosi con acque reflue industriali e liquami
zootecnici se pretrattati. Sono quindi
integrate in sistemi di fito-depurazione d’acque reflue (Apat, 2006) e di
ripristino di terreni fortemente inquinati come la lesquerella usata nei terreni inquinati da selenio (Usda, 1999).
Le nuove tecnologie di trasformazione della biomassa fanno
ipotizzare una crescita molto alta per le colture da biomassa pura,
cellulosiche e lignino-cellulosiche erbacee o short rotation foresty (Apat,
2006). Le Shr in Europa sembra abbiano ottimi bilanci energetici e sono in
espansione soprattutto in Nord Europa.
Le colture cellulosiche saranno usate sempre più per il
bioetanolo che ha ora un buon bilancio energetico (55%). Si prevede anche uno
sviluppo delle colture cerealicole da energia o comunque non si prevede una
diminuzione dei terreni loro assegnati.
Il nuovo processo Ibetech (Apat, 2006) in particolare
sembra in grado di estrarre dalla biomassa passaggio dopo passaggio olio,
proteine, crusca e infine rimangono gli zuccheri da usare per il bioetanolo.
Ciò favorirà le cerealicole e gli pseudocereali (quinoa, amaranto, miglio,
panico) così come le colture foraggiere (alfa-alfa, erba medica, lupino,
switchgrass, elephantgrass). Il biogas si è dimostrato essere, una realtà
affidabile, per tutte le aziende zootecniche e già adesso è impiegato con
successo in pianura Padana (Coldiretti, 2007).
Le alghe trarranno benefici dalle nuove tecnologie di
trasformazione della biomassa e dal perfezionamento della liquificazione e
della massificazione sia in termini d’efficienza energetica che in termini di
costi. In tal modo si spera s’inizierà a dimostrare interesse nei loro
riguardi.
In particolare la tecnologia di “coal
microalgae-cofiring” già adesso è molto conveniente e data la tendenza mondiale
di convertire le centrali termoelettriche a carbone per diminuire la dipendenza
dal petrolio e dal gas naturale si presume che possa in un prossimo futuro
essere di norma nei nuovi impianti.
Nei paesi sottosviluppati o
nelle zone isolate rurali di molte zone del nostro pianeta le bioenergie
possono promuovere l’autosufficienza energetica. Se ciò accadrà si potranno
avere risvolti molto interessanti, con le comunità rurali che rompono i cordoni
della dipendenza in questo delicato settore e potrebbero con questa energia
migliorare il loro livello di vita. L’uso integrato delle conoscenze
bio-energiche in biosistemi socio-economici anche se mi sembra alquanto
azzardata come idea è decisamente affascinante.
In sintesi in tali sistemi si
raggiunge un tasso elevatissimo di riciclo della materia e dell’energia, senza
quasi adoperare i flussi energetici ausiliari con l’uso integrato di colture da
cibo e da bioenergia, allevamento, biogas da digestori, algacoltura,
pescicoltura.
Tutto in un regime
d’agro-forestry. Tali sistemi potrebbero essere adoperati dalle Ong per i loro
programmi di sviluppo nelle aree marginali dei Pvs. In tal modo la comunità di
villaggio potrebbe riavere la propria autosufficienza e riacquistare la
centralità perduta nel sistema sociale allontanando l’esodo dei giovani verso
la città e le aree urbanizzate in preda a sovrappopolazione con i disagi
ambientali e sociali che conosciamo.
Alle nostre latitudini i reflui
zootecnici e i canali di scolo irrigui possono essere adoperati, tal quali o
dopo l’uso per il biogas, usati per alimentare con la loro alta concentrazione
d’azoto e fosforo la produzione di biomassa algale oleaginosa in apposite
vasche e bio-reattori da cui potrebbe essere estratta la frazione lipidica da
usare per alimentari generatori d’energia elettrica e la trazione agricola
decentrata portando alla nascita di “bio-raffinerie” .
Concludo ricordando che l’energia rinnovabile da
sola non potrà mai soddisfare i nostri fabbisogni energetici e che alla base vi
deve essere un cambiamento dei nostri stili di vita che devono divenire
sostenibili per la nostra grande madre malata, la Terra.
G.N.
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