domenica 18 gennaio 2015

LE ENERGIE NON RINNOVABILI

Oggi stiamo consumando ed esaurendo le energie fossili del nostro pianeta ed essendo il loro tempo di rigenerazione talmente lungo da andar ben oltre la storia dell’umanità, codeste energie sono dette fonti energetiche non rinnovabili. Tra queste il più usato è sicuramente il petrolio liquido, denso scuro, maleodorante, ad altissima densità energetica, facilmente estraibile e con una struttura talmente complessa da essere fonte infinita di derivati (industria plastica, farmaceutica). Fatti questi che fanno preferire “l’oro nero” al  carbone che detiene una minore densità energetica, complessità e una difficile estrazione e anche al metano che è meno versatile essendo un gas e con minore densità energetica (a parte le nuove tecnologie di liquefazione che se diffuse lo renderebbero di molto più competitivo (Robert, 2006).
Si prevede da stime (Cti, Assobiodiesel, 2006) fatte che le risorse mondiali di petrolio non vadano oltre i prossimi cinquanta anni. Questa stima è allargata perché considera al suo interno un’evoluzione tecnologica costante che renda possibile l’estrazione da giacimenti poco accessibili e raffinazione di materiale grezzo di bassa qualità come le sabbie bituminose, con rapporto energia spesa/energia ottenuta bassissimo (addirittura negativo per le sabbie bituminose secondo il Cti. Centro Termoelettrico Italiano).
Un’ evoluzione tecnologica costante che richiede un approfondita ricerca, che richiede fondi che invero potrebbero essere più utili per lo sviluppo di fonti rinnovabili d’energia e il miglioramento di quelle  esistenti. Ancora oggi la ricerca per l’energia fossile riceve più fondi pubblici delle rinnovabili  (Sheehan 1998, Specogna 2006).
Secondo le previsioni dell’Opec, la domanda “d’oro nero” dovrebbe aumentare per i prossimi 15 anni arrivando a toccare un livello giornaliero di 100 milioni di barili rispetto agli attuali 80 milioni. Ad esempio se la richiesta aumenta del 20%, il prezzo aumenterà del 30% arrivando ai 100$ al barile ( brent = petrolio grezzo) e potrebbe tranquillamente toccare i 120$ al barile senza che la domanda subisse variazioni nel suo costante incremento dato l’ingresso nel novero delle potenze economiche dell’India e della Cina, paesi poveri di petrolio. La capacità estrattiva dei maggiori fornitori di petrolio sembra arrivata ad un livello di massimo da cui non può che iniziare la discesa.

Per Harry Tchilinguiran, analista dell’Iea (International Energy Agency) di Parigi le estrazioni addizionali di petrolio potrebbero portare alla luce materiale pesante che necessità di un processo di raffinazione molto particolare per poter essere immesso sul mercato. In assenza di questo non è conveniente aumentare il livello di drenaggio delle pompe, di qui il profilarsi del problema energetico. Le stesse multinazionali del petrolio stanno investendo nella commercializzazione del biodiesel e del bioetanolo usando la propria rete di distribuzione già esistente (www.aspo.it, 2007). Vi è tra l’altro una probabile forte collisione d’interesse tra la classe politica dei paesi forti importatori di petrolio, le multinazionali petrolifere e la classe dirigente della maggior parte dei paesi produttori di petrolio. I paesi consumatori possono tassare del 50% il petrolio importato essendo un bene essenziale (Robert, 2006), risanando i conti pubblici e al contempo  scaricare  la colpa dell’alto prezzo sulle multinazionali del petrolio e sui paesi produttori.
Le ditte del settore energetico invece cercano in tutti i modi di accaparrarsi i diritti di estrazione nei Pvs al minor prezzo e di mantenere queste concessioni il più a lungo possibile, per far ciò sono disposte a qualsiasi cosa, non ultima la corruzione dei governanti e degli esponenti politici spesso iscritti nel loro libro paga.
Il mercato dei combustibili fossili è un mercato drogato da una domanda in costante rialzo (Robert, 2006). I consumi energetici mondiali sono in continuo aumento.
Nella sola Unione Europea il consumo di energia è di circa 1.370 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) dei quali il 42 % derivanti da petrolio e la rimanente parte proveniente dal gas naturale, dai combustibili solidi e da altre fonti.
Da questo ne deriva un consumo pro-capite medio di 3,7 t di petrolio.
La conseguente produzione annua d’anidride carbonica (il principale prodotto della combustione) ammonta a 3.496 milioni di tonnellate, corrispondenti ad una media di 9,4 t/pro capite (in Italia 7,5 t).
Stime recenti mostrano che il fabbisogno energetico aumenterà nel 2010 a 1.571 Mtep (+15%) e nel 2020 a 1.637 Mtep (+20%). (Collina, 2006; www.biofox.com).
Tuttavia i consumi non possono incrementare indefinitamente a causa d’ovvie implicazioni politiche, ambientali e socio-economiche.
Un ulteriore problema è dato dall'esplosivo aumento dei consumi dei paesi in via di sviluppo (PVS), i cui consumi variano tra 0,5 (Africa e Asia meridionale) a 1,9 t/anno (America Latina) per persona.
Nei Pvs, vivono 4,5 miliardi di persone, vale a dire 85% della popolazione mondiale. Il principale obiettivo è quello di ridurre i fabbisogni energetici e il relativo impatto sull'ambiente attraverso processi, macchine e impianti più efficienti, risparmio energetico e ricorso alle fonti energetiche rinnovabili (www.biofox.it).
I giacimenti noti di combustibile ammontano a 1.000 miliardi di tonnellate di carbone, 141 miliardi di tonnellate di petrolio e a 145 miliardi di tonnellate di gas, a fronte d’un consumo medio di 10 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio, emettendo nell’aria 20 miliardi di tonnellate di CO2.
Entro 45 anni le riserve di petrolio saranno esaurite, nel 2066 quelle di gas mentre il carbone s’esaurirà solo nel 2300 ( www.aspoitalia.net, 2006 ).
Non si può pensare di saziare la nostra sete d’energia con il carbone dal prezzo molto competitivo nonostante i rischi estrattivi, perché a parità di Megajoule generato dà un terzo d’anidride carbonica in più del petrolio e il doppio del gas (www.enitecnologie.it, 2006).
L’ENEL Italia e altre grandi industrie elettriche si stanno però muovendo verso la conversione di parte delle nostre centrali elettriche nazionali a petrolio e olio minerale in centrali a carbone “pulito”, ovvero centrali i cui gas esausti sono captati e ripuliti attraverso filtri, poi i gas esausti sono compressi e liquefatti per essere convogliati in centrale.
Uno dei prodotti di scarto in questo processo è tra l’altro l’idrogeno. Il bilancio energetico di tali centrali è molto contraddittorio e per alcuni analisti ancora proibitivo
(Robert, 2006. Enel-Italia, 2007).



G.N.

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