Oggi
stiamo consumando ed esaurendo le energie fossili del nostro pianeta ed essendo
il loro tempo di rigenerazione talmente lungo da andar ben oltre la storia
dell’umanità, codeste energie sono dette fonti energetiche non rinnovabili. Tra
queste il più usato è sicuramente il petrolio liquido, denso scuro,
maleodorante, ad altissima densità energetica, facilmente estraibile e con una
struttura talmente complessa da essere fonte infinita di derivati (industria
plastica, farmaceutica). Fatti questi che fanno
preferire “l’oro nero” al carbone che
detiene una minore densità energetica, complessità e una difficile estrazione e
anche al metano che è meno versatile essendo un gas e con minore densità
energetica (a parte le nuove tecnologie di liquefazione che se diffuse lo
renderebbero di molto più competitivo (Robert,
2006).
Si prevede da stime (Cti, Assobiodiesel, 2006)
fatte che le risorse mondiali di petrolio non vadano oltre i prossimi cinquanta
anni. Questa stima è allargata perché considera al suo interno un’evoluzione
tecnologica costante che renda possibile l’estrazione da giacimenti poco
accessibili e raffinazione di materiale grezzo di bassa qualità come le sabbie
bituminose, con rapporto energia spesa/energia ottenuta bassissimo (addirittura
negativo per le sabbie bituminose secondo il Cti. Centro Termoelettrico
Italiano).
Un’
evoluzione tecnologica costante che richiede un approfondita ricerca, che
richiede fondi che invero potrebbero essere più utili per lo sviluppo di fonti rinnovabili d’energia e il miglioramento di quelle esistenti. Ancora oggi la ricerca per
l’energia fossile riceve più fondi pubblici delle rinnovabili (Sheehan 1998, Specogna 2006).
Secondo le previsioni dell’Opec,
la domanda “d’oro nero”
dovrebbe aumentare per i prossimi 15 anni arrivando a toccare un livello
giornaliero di 100 milioni di barili rispetto agli attuali 80 milioni. Ad
esempio se la richiesta aumenta del 20%, il prezzo aumenterà del 30% arrivando
ai 100$ al barile ( brent = petrolio grezzo) e potrebbe tranquillamente toccare
i 120$ al barile senza che la domanda subisse variazioni nel suo costante
incremento dato l’ingresso nel novero delle potenze economiche dell’India e
della Cina, paesi poveri di petrolio. La capacità estrattiva dei maggiori
fornitori di petrolio sembra arrivata ad un livello di massimo da cui non può
che iniziare la discesa.
Per Harry Tchilinguiran, analista dell’Iea
(International Energy Agency) di Parigi le estrazioni addizionali di petrolio
potrebbero portare alla luce materiale pesante che necessità di un processo di
raffinazione molto particolare per poter essere immesso sul mercato. In assenza
di questo non è conveniente aumentare il livello di drenaggio delle pompe, di qui il profilarsi del problema energetico. Le
stesse multinazionali del petrolio stanno investendo nella commercializzazione
del biodiesel e del bioetanolo usando la propria rete di distribuzione già
esistente (www.aspo.it, 2007). Vi è tra l’altro una probabile forte
collisione d’interesse tra la classe politica dei paesi forti importatori di
petrolio, le multinazionali petrolifere e la classe dirigente della maggior
parte dei paesi produttori di petrolio. I paesi consumatori possono tassare del
50% il petrolio importato essendo un bene essenziale (Robert, 2006), risanando
i conti pubblici e al contempo
scaricare la colpa dell’alto
prezzo sulle multinazionali del petrolio e sui paesi produttori.
Le
ditte del settore energetico invece cercano in tutti i modi di accaparrarsi i
diritti di estrazione nei Pvs al minor prezzo e di mantenere queste concessioni
il più a lungo possibile, per far ciò sono disposte a qualsiasi cosa, non
ultima la corruzione dei governanti e degli esponenti politici spesso iscritti
nel loro libro paga.
Il
mercato dei combustibili fossili è un mercato drogato da una domanda in
costante rialzo (Robert, 2006). I consumi energetici
mondiali sono in continuo aumento.
Nella
sola Unione Europea il consumo di energia è di circa 1.370 Mtep (milioni di
tonnellate equivalenti di petrolio) dei quali il 42 % derivanti da petrolio e
la rimanente parte proveniente dal gas naturale, dai combustibili solidi e da
altre fonti.
Da questo ne deriva un consumo pro-capite
medio di 3,7 t di petrolio.
La
conseguente produzione annua d’anidride carbonica (il principale prodotto della
combustione) ammonta a 3.496 milioni di tonnellate, corrispondenti ad una media
di 9,4 t/pro capite (in Italia 7,5 t).
Stime
recenti mostrano che il fabbisogno energetico aumenterà nel 2010 a 1.571 Mtep
(+15%) e nel 2020 a 1.637 Mtep (+20%). (Collina, 2006;
www.biofox.com).
Tuttavia
i consumi non possono incrementare indefinitamente a causa d’ovvie implicazioni
politiche, ambientali e socio-economiche.
Un
ulteriore problema è dato dall'esplosivo aumento dei consumi dei paesi in via
di sviluppo (PVS), i cui consumi variano tra 0,5 (Africa e Asia meridionale) a
1,9 t/anno (America Latina) per persona.
Nei
Pvs, vivono 4,5 miliardi di persone, vale a dire 85% della popolazione
mondiale. Il principale obiettivo è quello di ridurre i fabbisogni energetici e
il relativo impatto sull'ambiente attraverso processi, macchine e impianti più
efficienti, risparmio energetico e ricorso alle fonti energetiche rinnovabili (www.biofox.it).
I
giacimenti noti di combustibile ammontano a 1.000 miliardi di tonnellate di
carbone, 141 miliardi di tonnellate di petrolio e a 145 miliardi di tonnellate
di gas, a fronte d’un consumo medio di 10 miliardi di tonnellate equivalenti di
petrolio, emettendo nell’aria 20 miliardi di tonnellate di CO2.
Entro
45 anni le riserve di petrolio saranno esaurite, nel 2066 quelle di gas mentre
il carbone s’esaurirà solo nel 2300 ( www.aspoitalia.net, 2006 ).
Non
si può pensare di saziare la nostra sete d’energia con il carbone dal prezzo
molto competitivo nonostante i rischi estrattivi, perché a parità di Megajoule
generato dà un terzo d’anidride carbonica in più del petrolio e il doppio del
gas (www.enitecnologie.it, 2006).
L’ENEL Italia e altre grandi industrie
elettriche si stanno però muovendo verso la conversione di parte delle nostre
centrali elettriche nazionali a petrolio e olio minerale in centrali a carbone
“pulito”, ovvero centrali i cui gas esausti sono captati e ripuliti attraverso
filtri, poi i gas esausti sono compressi e liquefatti per essere convogliati in
centrale.
Uno
dei prodotti di scarto in questo processo è tra l’altro l’idrogeno. Il bilancio
energetico di tali centrali è molto contraddittorio e per alcuni analisti
ancora proibitivo
(Robert,
2006. Enel-Italia, 2007).
G.N.
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