venerdì 2 gennaio 2015

CENNI SUL PROTOCOLLO DI KYOTO

Le potenze mondiali dopo un percorso molto lungo e pieno di controversie si riunirono a Kyoto in Giappone dove stipularono un protocollo per la riduzione delle tonnellate d’anidride carbonica e gas serra emessi dalle loro economie.
All’interno del protocollo importanza è data all’incentivazione tecnologica e soprattutto all’uso e sviluppo delle fonti rinnovabili, auspicando una progressiva sostituzione delle energie fossili. Una volta ratificato nel 2005 il non rispetto degli impegni presi porge al pagamento di pesanti penali. Il protocollo è stato firmato nel dicembre 1997 a conclusione della terza sessione plenaria della conferenza delle parti, ed è entrato in vigore ufficialmente il 16 febbraio 2005, contiene obiettivi legalmente vincolanti e decisioni sull’attuazione operativa di alcuni degli impegni della convenzione quadro sui cambiamenti climatici (United Nation framework convention on climate change).
Il protocollo impegna i paesi industrializzati e quelli ad economia in transizione (Est Europa) a ridurre complessivamente del 5,2 % le principali emissioni antropogeniche di gas serra entro il 2010 e più precisamente nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012.
Il paniere di gas serra considerato nel protocollo include: l’anidride carbonica, il metano, il protossido d’azoto, i fluorocarburi idrati, i perfluorocarburi, l’esafloruro di zolfo. L’anno di riferimento per la riduzione delle emissioni dei primi tre gas è il 1990 mentre per i rimanenti tre (che sono gas lesivi dell’ozono atmosferico  e che per altri versi rientrano in un altro protocollo quello di Montreal), è il 1995.
In Italia è stato varato il “piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra” approvato con la delibera del 19 dicembre 2002 e previsto nella legge di ratifica  la quale descrive politiche e misure assunte  per il rispetto del protocollo di Kyoto e prevede di fare ricorso a meccanismi di flessibilità.
Il “Clean development mechanism” consente d’utilizzare la riduzione delle emissioni ottenuta con progetti di collaborazione in altri paesi.
La “joint implementation” consente di collaborare al raggiungimento degli obiettivi acquistando i diritti d’emissione risultanti dai progetti di riduzione delle emissioni raggiunti in un altro paese.
 La direttiva 2003/30 Ce  parte dal presupposto che:
  1. Tra il 1990 e il 2010 le emissioni di CO2 dovute ai trasporti aumenteranno del 50% per raggiungere circa 1.113 milioni di tonnellate, situazione di cui il trasporto su strada è il principale responsabile perché contribuisce per l’84% delle emissioni di CO2 imputabili ai trasporti. In una prospettiva ecologica il libro bianco chiede quindi di ridurre la dipendenza dal petrolio adesso del 98% nel settore dei trasporti mediante l’utilizzazione di carburanti alternativi come i biocarburanti. Un maggior uso dei biocarburanti nei trasporti fa parte del pacchetto di misure necessarie per rispettare gli impegni ulteriormente assunti al riguardo. In questo senso la direttiva acquista valore di piano attuativo europeo del protocollo di Kyoto per quanto concerne i combustibili destinati ai trasporti.
    La normativa fissa degli obiettivi di riferimento relativi ad una percentuale minima di biocarburanti e altri carburanti rinnovabili che gli stati membri dovrebbero immettere nel mercato e a tal fine stabiliscono i seguenti obiettivi nazionali:
  2. Il 2% calcolato sulla base del tenore energetico di tutta la benzina e del diesel immessi sui loro mercati entro il 31 dicembre 2005.
  3. Il 5,75% calcolato sulla base del tenore energetico di tutta la benzina e del diesel immessi sui loro mercati entro il 31 dicembre 2010 (Babbini, 2005).
    G.N.

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