All’interno del
protocollo importanza è data all’incentivazione tecnologica e soprattutto
all’uso e sviluppo delle fonti rinnovabili, auspicando una progressiva
sostituzione delle energie fossili. Una volta ratificato nel 2005 il non
rispetto degli impegni presi porge al pagamento di pesanti penali. Il
protocollo è stato firmato nel dicembre 1997 a conclusione della terza sessione
plenaria della conferenza delle parti, ed è entrato in vigore ufficialmente il
16 febbraio 2005, contiene obiettivi legalmente vincolanti e decisioni
sull’attuazione operativa di alcuni degli impegni della convenzione quadro sui
cambiamenti climatici (United Nation framework convention on climate change).
Il protocollo impegna i paesi industrializzati e quelli ad
economia in transizione (Est Europa) a ridurre complessivamente del 5,2 % le
principali emissioni antropogeniche di gas serra entro il 2010 e più
precisamente nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012.
Il paniere di gas serra considerato nel protocollo
include: l’anidride carbonica, il metano, il protossido d’azoto, i
fluorocarburi idrati, i perfluorocarburi, l’esafloruro di zolfo. L’anno di
riferimento per la riduzione delle emissioni dei primi tre gas è il 1990 mentre
per i rimanenti tre (che sono gas lesivi dell’ozono atmosferico e che per altri versi rientrano in un altro
protocollo quello di Montreal), è il 1995.
In Italia è stato varato il “piano nazionale per la
riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra” approvato con
la delibera del 19 dicembre 2002 e previsto nella legge di ratifica la quale
descrive politiche e misure assunte per
il rispetto del protocollo di Kyoto e prevede di fare ricorso a meccanismi di
flessibilità.
Il “Clean development mechanism”
consente d’utilizzare la riduzione delle emissioni ottenuta con progetti di
collaborazione in altri paesi.
La “joint implementation” consente di collaborare al
raggiungimento degli obiettivi acquistando i diritti d’emissione risultanti dai
progetti di riduzione delle emissioni raggiunti in un altro paese.
La direttiva
2003/30 Ce parte dal presupposto che:
- Tra il 1990 e il 2010 le emissioni di CO2 dovute ai trasporti aumenteranno del 50% per raggiungere circa 1.113 milioni di tonnellate, situazione di cui il trasporto su strada è il principale responsabile perché contribuisce per l’84% delle emissioni di CO2 imputabili ai trasporti. In una prospettiva ecologica il libro bianco chiede quindi di ridurre la dipendenza dal petrolio adesso del 98% nel settore dei trasporti mediante l’utilizzazione di carburanti alternativi come i biocarburanti. Un maggior uso dei biocarburanti nei trasporti fa parte del pacchetto di misure necessarie per rispettare gli impegni ulteriormente assunti al riguardo. In questo senso la direttiva acquista valore di piano attuativo europeo del protocollo di Kyoto per quanto concerne i combustibili destinati ai trasporti.La normativa fissa degli obiettivi di riferimento relativi ad una percentuale minima di biocarburanti e altri carburanti rinnovabili che gli stati membri dovrebbero immettere nel mercato e a tal fine stabiliscono i seguenti obiettivi nazionali:
- Il 2% calcolato sulla base del tenore energetico di tutta la benzina e del diesel immessi sui loro mercati entro il 31 dicembre 2005.
- Il 5,75% calcolato sulla base del tenore energetico di tutta la benzina e del diesel immessi sui loro mercati entro il 31 dicembre 2010 (Babbini, 2005).G.N.
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