martedì 1 settembre 2015

SCENARI FUTURI PER LE BIOTECNOLOGIE


Dall’esame della bibliografia in mio possesso è emerso come l’energia rinnovabile sia un settore in continua crescita trainata dal carro delle bio-energie agricole. Se ciò accade è perché vi è un forte traino economico. La bioenergia in agricoltura è innanzitutto un buon affare per le agricolture iper-sovvenzionate e sovra-produttive dei paesi sviluppati che potranno smaltire le eccedenze senza dover pagare per la loro distruzione o per mantenere i terreni improduttivi. Per le agricolture dei paesi in via di sviluppo che avranno nuovi articoli d’esportazione, per un mercato a aumento esponenziale della domanda sotto la spinta dei trattati di Kyoto.
 Si prevedono così tempi se possibile ancora più duri per le foreste primarie pluviali rimaste al mondo che rischiano di rimanere schiacciate dalle colture oleaginose di soia e palma come oleaginose e canna da zucchero e forse manioca e sago per etanolo in un prossimo futuro. Questo traino economico ancora non è cosi forte da gonfiare le veli delle colture algali da energia nonostante vi siano ottime promesse sotto molti aspetti.
 Indubbiamente le bioenergie e le colture energetiche se ben usate possono aiutare a migliorare il nostro futuro. In un mondo dove il 70% delle persone è a rischio denutrizione s’auspica che per le colture da energia vengano utilizzati i terreni improduttivi e marginali salvandoli dall’erosione. Per far ciò bisogna privilegiare le colture low input soprattutto nei paesi tropicali. Ma è un dato di fatto che oggi le maggiori colture energetiche sono ad alto input. Con bilanci energetici molto contraddittori a seconda degli analisti.
Qualcosa adesso si muove per le low input nel caso specifico della jatropha e in parte del ricino, di cui grandi piantagioni stanno per essere impiantate nei paesi africani a clima arido e semi arido. Anzi per la jatropha nei prossimi anni è attesa un incremento esponenziale di superficie colturale in Africa soprattutto ma anche in Asia e Sud America. A patto che sia messo in prevalenza l’aspetto di ripristino ambientale e lotta all’erosione e alla desertificazione su quello meramente economico il giudizio sulla jatropha e le low input ai tropici è assolutamente positivo per le peculiarità di protezione dall’erosione che hanno.
Le neglected crops vivono di nuovo interesse dopo secoli d’abbandono e dato l’utilizzo no food del bioenergico saranno una realtà in espansione nel futuro. Le Areaceae soprattutto sono eccellenti foto-sintetizzatrici e molte di loro hanno grande potenziale che aspetta solo d’essere valorizzato.
Le piante da biomassa sono una realtà in crescendo come colture di ripristino ambientale adoperandole come bio-accumulatori di metalli pesanti ed elementi tossici all’uomo in suoli compromessi. Il pioppo, il salice, l’eucalipto ad esempio tipiche piante da Short Rotation Forestry sono grandi accumulatori di metalli pesanti e degradatici d’idrocarburi, come molte piante erbacee come la salicornia crescono in terreni acquitrinosi con acque reflue industriali e liquami zootecnici se pretrattati.  Sono quindi integrate in sistemi di fito-depurazione d’acque reflue (Apat, 2006) e di ripristino di terreni fortemente inquinati come la lesquerella usata nei terreni inquinati da selenio (Usda, 1999).
Le nuove tecnologie di trasformazione della biomassa fanno ipotizzare una crescita molto alta per le colture da biomassa pura, cellulosiche e lignino-cellulosiche erbacee o short rotation foresty (Apat, 2006).  Le Shr in Europa sembra abbiano ottimi bilanci energetici e sono in espansione soprattutto in Nord Europa.

Le colture cellulosiche saranno usate sempre più per il bioetanolo che ha ora un buon bilancio energetico (55%). Si prevede anche uno sviluppo delle colture cerealicole da energia o comunque non si prevede una diminuzione dei terreni loro assegnati.
 Il nuovo processo Ibetech (Apat, 2006) in particolare sembra in grado di estrarre dalla biomassa passaggio dopo passaggio olio, proteine, crusca e infine rimangono gli zuccheri da usare per il bioetanolo. Ciò favorirà le cerealicole e gli pseudocereali (quinoa, amaranto, miglio, panico) così come le colture foraggiere (alfa-alfa, erba medica, lupino, switchgrass, elephantgrass). Il biogas si è dimostrato essere, una realtà affidabile, per tutte le aziende zootecniche e già adesso è impiegato con successo in pianura Padana (Coldiretti, 2007).
Le alghe trarranno benefici dalle nuove tecnologie di trasformazione della biomassa e dal perfezionamento della liquificazione e della massificazione sia in termini d’efficienza energetica che in termini di costi. In tal modo si spera s’inizierà a dimostrare interesse nei loro riguardi.

In particolare la tecnologia di “coal microalgae-cofiring” già adesso è molto conveniente e data la tendenza mondiale di convertire le centrali termoelettriche a carbone per diminuire la dipendenza dal petrolio e dal gas naturale si presume che possa in un prossimo futuro essere di norma nei nuovi impianti.
Nei paesi sottosviluppati o nelle zone isolate rurali di molte zone del nostro pianeta le bioenergie possono promuovere l’autosufficienza energetica. Se ciò accadrà si potranno avere risvolti molto interessanti, con le comunità rurali che rompono i cordoni della dipendenza in questo delicato settore e potrebbero con questa energia migliorare il loro livello di vita. L’uso integrato delle conoscenze bio-energiche in biosistemi socio-economici anche se mi sembra alquanto azzardata come idea è decisamente affascinante.
In sintesi in tali sistemi si raggiunge un tasso elevatissimo di riciclo della materia e dell’energia, senza quasi adoperare i flussi energetici ausiliari con l’uso integrato di colture da cibo e da bioenergia, allevamento, biogas da digestori, algacoltura, pescicoltura.
Tutto in un regime d’agro-forestry. Tali sistemi potrebbero essere adoperati dalle Ong per i loro programmi di sviluppo nelle aree marginali dei Pvs. In tal modo la comunità di villaggio potrebbe riavere la propria autosufficienza e riacquistare la centralità perduta nel sistema sociale allontanando l’esodo dei giovani verso la città e le aree urbanizzate in preda a sovrappopolazione con i disagi ambientali e sociali che conosciamo.
Alle nostre latitudini i reflui zootecnici e i canali di scolo irrigui possono essere adoperati, tal quali o dopo l’uso per il biogas, usati per alimentare con la loro alta concentrazione d’azoto e fosforo la produzione di biomassa algale oleaginosa in apposite vasche e bio-reattori da cui potrebbe essere estratta la frazione lipidica da usare per alimentari generatori d’energia elettrica e la trazione agricola decentrata portando alla nascita di “bio-raffinerie” .
Concludo ricordando che l’energia rinnovabile da sola non potrà mai soddisfare i nostri fabbisogni energetici e che alla base vi deve essere un cambiamento dei nostri stili di vita che devono divenire sostenibili per la nostra grande madre malata, la Terra.


G.N.

sabato 29 agosto 2015

BIOGAS NELLE CAMPAGNE



La  Cina da secoli porta avanti un riciclo molto ampio della materia in ambiente rurale, i rifiuti sono trasformati in un compost e restituiti al terreno, anche le acque fognarie sono tradizionalmente usate per migliorare la fertilità del terreno. Oggi è all’avanguardia per la produzione di biogas a partire da escrezioni umane e animali con semplici digestori come in Fig.1 (Greenpeace Itdg-pubblications, 2006).



L'unità centrale di base d’alcuni biosistemi integrati socio-economici dovrebbe essere la digestione anaerobica, perché in ambiente rurale la maggior parte degli scarti proviene dalle escrezioni umane e animali che se non smaltite possono essere terreno di coltura per patogeni. La digestione anaerobica può avvenire a 35-40 C° o 50 C° da batteri mesofili o termofili. Secondo la quantità di residui, i digestori ora in uso di serie vanno da 6metri cubi per uso familiare a 1.500-2.000 metri cubi ad uso commerciale. Un digestore anaerobico dovrebbe produrre un metro cubo di gas ogni metro cubo di superficie e la miscela di biogas dovrebbe così composta: 70% metano; 30% CO2.
Il Biogas è fonte d’energia eccellente e può essere usato per alimentare generatori  di corrente per la  produzione d’elettricità così come per cucinare. Il Biogas si comporta similmente al gas naturale, ma ha un potere calorifico lievemente più alto. La digestione anaerobica aiuta anche nella prevenzione di malattie infettive causate da patogeni che vivono negli escrementi e rifiuti umani e zootecnici. Le condizioni anaerobiche  richieste per una produzione di metano  uccidono i patogeni responsabili delle  malattie infettive.
Come tutti i processi, la digestione anaerobica ha anche prodotti non desiderati, come percolati e residui semisolidi. Quest’ultimi sono ottimi concimi organici.
I percolati liquidi col loro alto tasso d’azoto e fosforo unito ad un’alta alcalinità sono fonte eccellente invece per la produzione d’alghe da indirizzare agli usi più svariati, ma in condizioni d’aree sottosviluppate potranno principalmente essere usate per la pescicoltura  o  fertilizzanti con usi indentici alla pollina (Thirumurthi, 1991; Vonshak, 1992; Olguin, 1994). La digestione anaerobica non solo rimuove i rischi per la salute  ma è fonte eccellente di bioenergia, biofertilizzanti, compost, alghe per la pescicoltura (Doelle, 1998).



G.N.

mercoledì 26 agosto 2015

ESTRAZIONE DELL'OLIO NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO


I semi oleosi e le noci vanno asciugati prima d'essere immagazzinati e bisogna rimuovere i residui e i contaminanti vari. I frutti dovrebbero essere raccolti quando sono completamente maturi, puliti e maneggiati attentamente. Tutta la materia prima va selezionata per eliminare frutti danneggiati o ammuffiti  che possono provocare avvelenamento da aflatossine se l'olio è per il consumo. Ai tropici questo lavoro di selezione è particolarmente vitale perché le alte temperature unite all’umidità spesso eccezionalmente alta aumentano in modo esponenziale la carica batterica della materia prima con un’elevata probabilità d’insorgenza di deleterie fermentazioni. Nel caso della produzione d'olio carburante si può anche non selezionare il prodotto accuratamente, ma bisogna evitare i residui colturali e i sassi.
 Se è necessario immagazzinare i semi oleosi, va fatto in stanze resistenti alle intemperie, ventilate  al sicuro da uccelli, insetti e roditori.
Le materie prime, vanno decorticate accuratamente, per far questo si possono usare, alcuni decorticatori a manovella, molto pratici oltre che manuali. Togliere i rivestimenti esterni  è molto importante per dare produzioni d'olio soddisfacenti  e ridurre la massa di materiale da trattare, ma nell’estrazione dell'olio dall'arachide circa il 10% del peso deve essere aggiunto in pericarpo alle noccioline perlate per permettere all'olio d'uscire più liberamente dalla pressa. Il Cocco invece va decorticato e diviso da operatori specializzati manualmente o su piccole macchine. La maggior parte delle noci ha bisogno di una macinazione aggiuntiva per aumentare il fronte d'estrazione olio. Ai tropici si trovano facilmente piccoli mulini  per macinare la copra, noccioli della palma e arachidi. Il seme va riscaldato generalmente sugli 80 gradi prima d'essere macinato, e tutti i materiali oleosi hanno bisogno della giusta umidità per massimizzare le rese d'estrazione. Gli altri semi oleosi e le noci sono trattati a freddo se hanno un contenuto d'umidità sotto il 7%.
Ci sono fondamentalmente tre metodi di rimuovere l'olio dalle materie prime: estrazione a solvente, lavorazione umida o lavorazione a secco. L'estrazione a solvente non è appropriata per la lavorazione su piccola scala a causa dell'alto capitale necessario per le spese d'esercizio, il rischio d'incendi ed esplosioni da solventi e per la complessità del processo. L'attrezzatura per la  lavorazione umida o a secco è disponibile a scale diverse per l'uso familiare fino a quello industriale.

Metodi d’estrazione tradizionali:
Tradizionalmente nei villaggi l'olio è estratto dal cocco fresco o dal frutto della palma da olio ecc. separando la polpa dal seme, pigiandola in dei grandi mortai (la palma va riscaldata prima) e bollendolo in acqua a lungo. Per rompere l'emulsione è aggiunto del sale e l'olio è man mano schiumato in superficie.
Un estrattore molto utilizzato in India, rudimentale ed efficace è il Ghanis. Questo è  composto da un mortaio di legno o di metallo che è spinto in un recipiente chiuso dello stesso materiale, la materia prima è macinata e pigiata e l'olio esce fuori. Le rese sono modeste. In situazioni di bassa tecnologia o in piccoli consorzi di contadini il procedimento se sostanzialmente rimane uguale essendo la quantità ben maggiore, s’adopera una leggera meccanizzazione per facilitare il lavoro e ottenere un prodotto di qualità maggiore che si conservi più a lungo.


L'olio può essere estratto pigiando in un mortaio i semi oleosi più molli e noccioline tenere come le arachidi e il karitè, mentre materiali più sodi e fibrosi come la copra e i semi di girasole sono trattati a parte.
Il materiale spappolato o macinato è spremuto in torchi manuali o a trazione animale o con una pressa a vite o idraulica per spremere fuori della massa l'emulsione acqua-olio.
Ciò è più efficiente se si rimuove l'olio che man mano esce, permettendo percentuali di produzione, più alte. L’olio va poi separato e chiarificato.
In caso di materiale duro o fibroso come la polpa di cocco fresca bisogna rimuoverla innanzitutto dal guscio usando un alesatore manuale o un alesatore motorizzato. Poi la polpa va riscaldata e macinata sugli 80 gradi e inviata alla pressa a vite o idraulica.
 Ambo i tipi di presse possono essere manuali, a trazione animale (a vite) o motorizzate. In ogni modo una parte della materia prima è messa in un recipiente col fondo forato in metallo su cui cade un cilindro molto pesante. L'ammontare del materiale nel recipiente forato varia da 5-30 kg con una media di 20 kg. La pressione dovrebbe essere aumentata progressivamente per permettere all'olio d'uscire. Tipologie di presse a vita sono per questo più affidabili ma anche più lente e meno potenti.
 Eccetto ove si adatti un cric del camion ad esempio, i tipi idraulici sono più costosi, hanno bisogno di manutenzione, e sono a rischio di contaminare  l'olio con il liquido lubrificante tossico. L'emulsione è rotta (con il sale) e l'olio è separato e chiarificato.

Estrazione meccanizzata
Le Presse motorizzate sono più veloci delle manuali o a traino animale ma più costose.
L’Expeller continuo (pressa a vite) lavora macinando e pigiando la materia prima  che passa attraverso un contenitore  cilindrico spinto da una vite elicoidale.
La pressione nel contenitore, dà subito l'olio, difatti la vite elicoidale spinge i semi o le noci oleosi contro pareti di metallo sempre più strette fino alla bocca d'uscita dove esce la polpa esausta. Questa tipologia di presse continue costa molto ma è la più redditizia in assoluto e anche la più sicura(vedi tab.2). Vi sono modelli d'expeller ove la materia prima è riscaldata nel recipiente d'estrazione in modo da cedere più olio, in ogni modo per l'attrito, la massa oleosa va riscaldandosi spontaneamente.
La resa dell'expeller dipende dall'attrezzatura a disposizione e in altre parole dalla taglia dello stesso, dalla velocità e quindi forza della vite e dalla grandezza del foro d'uscita.



Tab. 2. Estrazione d’olio da 100 kg. di semi con expeller continuo.
(The Global Petrolium Club 2007).


Materia prima           
l Olio su 100 kg s.s
Semi ricino             
50 kg
Copra                     
62 kg
Semi cotone           
13 kg
Arachide                
42 kg
Semi senape           
35 kg
Semi palma            
36 kg
Frutto palma                      
20 kg
Semi Sesamo        
50 kg
Semi soia                           
14 kg
Semi girasole        
32 kg


La chiarificazione dell'olio

L'olio greggio contiene acqua e fibra, resine coloranti ecc. della pianta che lo fanno più scuro e più opaco. Questi materiali sono rimossi dal processo di  chiarificazione o lasciando a riposare l'olio per alcuni giorni affinché le impurezze si stratifichino spontaneamente poi vanno tolte asportando lo strato superiore, o usando un chiarificatore. Questo consiste di un recipiente cilindrico pieno d'olio messo a bollire. L'olio bollendo si libera dell'acqua che evapora e allo stesso tempo degli enzimi e batteri,  inattivati dal calore. Poi è fatto sedimentare, e filtrato con un panno è riscaldato per breve tempo a 100 gradi per togliere ogni traccia d'umidità. L'olio così trattato rimarrà inalterato per molti mesi. Per essere simile all'olio commerciale sarebbe necessario una degommazione, neutralizzazione, decolorazione, ma per l'uso come olio puro da energia da punto fisso va più che bene a patto di fare una manutenzione più frequente al motore. Alcuni oli divengono subito rancidi se non immagazzinati o lavorati correttamente. L’olio s’irrancidisce causa dello scarso calore durante la lavorazione, per aria o acqua nei recipienti e per la presenza di metalli come il rame.

La plastica è molto adatta, così come il vetro o lattine d’alluminio, l'importante è che siano sigillati e che i recipienti non contengano rame. Ciò si può fare in maniera molto provvisoria riscaldando l'olio e ponendolo nel contenitore che va subito tappato e girato al contrario.
Da usare solo acciaio inox e alluminio. I sottoprodotti della lavorazione dei semi oleosi hanno una gran varietà d'usi. La polpa esausta d'arachide è usata estesamente come cibo per l'alimentazione umana quando è estratta con metodi manuali che non riscaldano il sottoprodotto. Gli altri frutti, noci e semi oleosi producono sottoprodotti che possono essere usati per combustibile, come alimento per gli animali e fertilizzante. I pannelli della senape sono dannosi per alcuni insetti e spesso usati come tali. Le temperature alte raggiunte negli expeller degradano i residui che divengono buoni a livello alimentare solo come concentrato zootecnico (www.itdg.org, 2006).


G.N.


venerdì 21 agosto 2015

ACQUICOLTURA MULTITROFICA INTEGRATA



Le rese energetiche in un sistema d’acquicoltura chiuso o aperto in mare sono sempre ottimizzate al meglio.
Dall’analisi della resa energetica d’una filiera d’acquicoltura a sistema aperto più semplificata, quale pescicoltura con annessa algacoltura integrata, abbiamo le seguenti voci negative: energia spesa nella costruzione impianto; energia motrice per movimentare acque; energia necessaria  per insufflare aria nell’acqua o se acqua corrente energia ausiliare necessaria per pompare acqua nella vasca; energia consumate nel processo industriale di trasformazione; energia usata nel processo di produzione additivi e farmaci integratori per l’acqua coltura; energia necessaria per raccogliere, essiccare, estrarre e trasformare i prodotti. Le voci positive invece includono:
 energia ottenuta dall’olio delle alghe (energia accumulata nei pesci come carne non è computata ma lo è nell’analisi della CO2). Una delle voci positive di questa filiera è che ci allontana dal problema di raccolta delle alghe (lo fanno i pesci), la loro efficienza di conversione proteica è del 18-25% comparabile al latte bovino (carne11%). La conversione in peso è buona: peso-netto pesce/peso-netto alghe è del 20%.
I consumi d’acqua per peso secco d’alghe ottenuto sono 33-70% d’acqua per peso, come per le produzioni agricole ma a differenza di queste che hanno un rapporto acqua-proteina di 1.600-10.000 litri/kg di proteina, le alghe hanno un rapporto di 700 litri d’acqua per kg di proteina ottenuta (Russel, 1976).


Per concludere la filiera alghe-pesci ha valori d’efficienza di “conversione” di gran lunga più alti della filiera foraggio, cereali-carne bovina a causa della quale sono usati nel mondo gran parte delle terre fertili e disboscate zone forestali. Nel caso del nutrimento di determinate tipologie di pesci carnivore si fa in modo di nutrirli con delle larve (zooplacton) che si alimentano delle microalghe. In questo caso v’è un passaggio in più nella catena alimentare con valori d’efficienza leggermente più bassi.

G.N.










martedì 18 agosto 2015

COSTO ENERGETICO DEI BIOCARBURANTI


Diamo un'occhiata ai rendimenti energetici del biodiesel.
Una volta raccolta la biomassa algale, se oleaginosa, se ne può estrarre l’olio e usarlo per l’autotrasporto invece che bruciarlo in centrale, ma prima questo va esterificato per ottenere biodiesel in grandi impianti e con ulteriori costi energetici.
 La Cereol Italia rileva i seguenti costi energetici per l’esterificazione di 100 kg d’olio:

1.   Costo per esterificazione effetuato per un ora a 80°C è pari a 4.253 kcal ovvero 0,0177 Gj.

2.   Costo per distillazione semplice del glicerolo grezzo e del metanolo pari a 5.000 kcal ovvero 0,0209Gj.
3.   Costo per distillazione degli esteri metilici pari a 15.000 kcal ovvero 0,0623Gj.
4.   Costo complessivo di questa operazione è risultato pertanto di 24.235 kcal equivalente a 0,101 Gj.
Considerando che dal processo d’esterificazione s’ottengono 95 kg d’estere, il costo energetico espresso in t d’estere è:
0,0101/95*100 = 0,11Gj*q¯¹ pari a 1,1Gj*t¯¹. In termini quantitativi ho che da 1,05 t di olio e 0,11 t d’alcol ottengo 1t d’estere o 1t di glicerina e 0,023 d’acidi grassi.

Dal bilancio d’energia del biodiesel sappiamo che l’energia prodotta dal biodiesel è doppia
rispetto a quella spesa in energia fossile per la produzione (Riello, 2003. Specogna, 2006).
Se poi si considerano tutti i sottoprodotti allora l’energia totale prodotta è 5,4 volte superiore all’unità d’energia spesa per la produzione.
 Il bilancio energetico del biodiesel secondo il dipartimento di chimica dell’Università di Siena è di soli 0,31 unità d’energia fossile per produrre un unità di biodiesel
(Basosi, 2005).


Efficienza conversione a etanolo.

Se la biomassa algale coltivata invece è ad alto tenore glucidico come  nel caso della Palmiria palmata e della Laminaria saccharina può essere convertita in etanolo. La fermentazione alcolica è un processo di tipo microaereofilo che opera la trasformazione dei glucidi contenuti nella biomassa in bioetanolo ovvero alcol etilico. Tra tutti i prodotti alternativi proposti come carburanti per i trasporti il bioetanolo è quello che mostra il miglior compromesso tra prezzo, disponibiltà e prestazioni. Da 3 t di biomassa mediamente zuccherina s’ottengono 1 t di bioetanolo con un rapporto 3/1 di conversione energetica.
Vale per le piante coltivate e dipende essenzialmente dal contenuto in amidi e zuccheri fermentabili della biomassa. Per le alghe l’efficienza energetica sarebbe maggiore non essendovi la necessità d’essiccare la massa algale.

 Efficienza conversione a idrogeno.

La biomassa algale può essere convertita attraverso un processo di pirolisi ad  esempio in olio di pirolisi o Bco, da questo  a sua volta si può ottenere mediante il reforming catalitico  un grande vettore d’energia: l’idrogeno. Partendo da etanolo possiamo avere lo stesso risultato ma con rese inferiori. Oppure l’idrogeno può essere ottenuto direttamente da alcune specie di alghe fatte crescere sotto stress in determinati reattori al buio o alla luce in fotobioreattori usando acque sporche e substrati ottenuti da materiale agricolo-alimentare di scarto(Kapdan, 2005 e Dante, 2004).


Analisi sistemi di produzione integrata acquacoltura-energia.


Le possibili modalità d'impianto per l'utilizzo e produzione d'alghe a fini energetici oggi giorno sono diverse e divise in sistemi di produzione a ciclo aperto e a ciclo chiuso in rapporto al sequestro nel tempo della CO2.
Classici sistemi chiusi sono la filiera produttiva d'acquicoltura in cui reflui delle vasche d’allevamento dei pesci, ricche d’azoto e fosforo e  micro elementi dovute alle deiezioni vengono utilizzate per avviare l’allevamento delle alghe e le stesse infine sono raccolte e lavorate per estrarne l’olio da usare a scopi energetici mentre la farina residuo d’estrazione è usata per alimentare una vicina pescicoltura.
Un altro sistema produttivo a ciclo chiuso è rappresentato da un industria termica per la produzione d’energia (meglio se alimentata a carbone) le cui emissioni d’anidride sono usate per aumentare la crescita delle alghe in vasche chiuse come le acque usate per il raffreddamento delle turbine.
 L'olio ottenuto dalle alghe verrà poi bruciato all'interno della centrale elettrica o in un altro luogo. Possiamo identificare come sistemi produttivi a ciclo chiuso tutti quelli ove vi sia uno spinto riciclo della materia e che nella fattispecie sono molto adatti per impianti di piccole dimensioni che puntino al recupero di risorse altrimenti sprecate, come ad esempio nel caso dell'associazione tra allevamento-pescicoltura e algacoltura. In questo caso riutilizziamo le deiezioni dei suini  o dei pesci che presentano un costo ambientale “alto” e le bonifichiamo usandole per le alghe a loro volta utilizzate (in parte) come fonte di mangime per gli animali.

Il problema nei sistemi di produzione a ciclo chiuso è che insieme al riciclo della sostanza organica s'attua anche un riciclo dei metalli pesanti e dei composti tossici (fitofarmaci, ddt) che non vengono smaltiti nell'ambiente ma reintrodotti nel ciclo produttivo con un progressivo bioaccumulo seguendo i percorsi della catena trofica.
Un sistema produttivo a ciclo aperto è rappresentato da una produzione principale d’alghe (usando acque e terreni non altrimenti utilizzabili e i cui costi non saranno conteggiati) valutando gli input e gli output energetici dati dal potere calorifico dell'olio le per tonnelate prodotte. Il valore così ottenuto dovrà essere superiore al costo energetico richiesto per la messa in uso dell'impianto e la sua manutenzione più i costi energetici vari e solo se avremo un EROEI maggiore di uno, la fattibilità dell'impianto potrà essere presa in considerazione per l'area da noi ipotizzata.
Per intendersi: il concetto di sistema o meglio filiera agroindustriale a ciclo chiuso vuole essere in sintesi un transfert verso un ideale di ciclo produttivo antropico che prenda ad esempio i cicli e microcicli naturali che integrati nell’ecositema fanno sì  che l'efficenza d'utilizzo delle risorse sia ottimizzata al meglio; con ciò intendiamo evidenziare il concetto secondo il quale l'autosufficienza dei processi agroindustriali possa andare anche contro l'efficenza energetica (ed economica) nel breve termine per guardare al medio-lungo termine. Ad esempio la produzione di materiale plastico dalle colture d'alghe stesse che poi sarà usata per fare i bio-reattori della loro coltura se controproducente in termini energetici nel breve termine è comunque di per se interessante affinchè non si scarichino a valle del processo produttivo i costi ambientali della produzione.
Il dualismo da considerare efficienza energetica ed emissione di CO2 unito al consumo di risorse rinnovabili creano i presupposti per una scelta più oculata degli impianti produttivi. La somma delle microfiliere agroindustriali porta ad un ottimizzazione massima delle risorse in un contesto globale e ipoteticamente ad un riciclo ottimale delle risorse e all'utilizzo senza sperpero dell'energia necessaria parte della quale viene reintegrata nei cicli naturali. Come esempio finale proviamo ad immaginare il flusso energetico terrestre come un fiume che scorre ad anello; bene l'uomo ha occupato tutti gli habitat terrestri ed è la specie vivente che domina la terra grazie all'interruzione del flusso energetico ad anello che chiamiamo ciclico e quindi all'usurpazione dell'energia destinata alle altre specie viventi nelle varie nicchie ecologiche accrescendo ed espandendosi a danno loro.
 Invece il modello produttivo di filiera agroindustriale entra nel principio ecologico d’utilizzare il flusso energetico e di materia e reinserirlo nel normale ciclo naturale


G.N.

venerdì 14 agosto 2015

CONFRONTO ENERGETICO TRA LE VARIE FORME D’ENERGIA RINNOVABILE E LE ALGHE


Proviamo ad applicare i sistemi di valutazione tra queste due diverse tecnologie di produzione. L’energia elettrica ha un costo in termini di produzione di CO2.
Se i fossili sono controindicati a causa di questo limite è anche vero che non tutte le energie rinnovabili sono esenti da emissioni inquinanti e alti impatti ambientali (vedi Tab.2), anzi analisi come quelle LCA vengano applicate con l’intenzione di comprendere come ridurre o annullarle.
Nella tabella 1 è riportata un’indicazione per una facile visualizzazione visuale del confronto in termini di CO2 emessa e milioni di tonnellate equivalenti del petrolio tra l’energia fossile e rinnovabile.

Tab.1. Fonti energetiche che concorrono alla produzione d’energia elettrica.

Determinazione CO2  media emessa dalla produzione d’energia elettrica per ciascuna fonte  energetica in Italia (Pietrogrande, 2005).                                     

                                  Fonte
Mtep
%(1)
Fattored’emissione(2) CO2 
(1)*(2)
Importazione
8,2
0,1385
5
0,692
Geotermica
0,8
0,0135
7
0,094
Nucleare
0
0
3,5
0
Idrica
9,2
0,1554
1
0,0155
Gas naturale
9,3
0,1571
70
11,94
Combustibili solidi
6,4
0,1081
100
10,810
Petrolio
25,3
0,4274
80
29,915
TOTALE
59,2
1

52,665

Per produrre un Megajoule con impianti termoelettrici a combustibili fossili si rilasciano nell’atmosfera 0,9159 kg di CO2 usando carbone, 0,715 usando petrolio, 0,543 usando gas naturale. Le emissioni d’anidride carbonica delle centrali elettriche da fonti rinnovabili rispetto alle centrali a idrocarburi emettono anidride carbonica in una quantità che potremmo definire comunque “trascurabile”.  
Molti invece sono i limiti e anche gli impatti ambientali di queste tecnologie che finora ne hanno impedito la diffusione su larga scala (Tab 2).
In generale nessuna d’esse può prendere il posto da sola ad esempio delle centrali termoelettriche a  petrolio ma tutte insieme possono differenziandosi a seconda del luogo, produrre gran parte dell’energia necessaria a patto che vi sia la seria volontà da parte dei governi d’intrapendere questa strada.

Tab.2 Diffusione delle centrali da fonti rinnovabili ( Pietrogrande, 2005).

Biomassa
Geotermico
Fotovoltaico
Idroelettrico
Eolico
25 Gw
9 Gw
1 Gw
530 Gw
25 Gw
1° Usa
Usa
Giappone
Canada
Germania
2° Giappone
Filippine
Germania
Usa
Usa
3° Brasile
Messico
Usa
Cina
Spagna
P.O*:
10 milioni di
(1) tep per l’Italia usando gli scarti agricoli.
Oggi 1.400.000 ha in UE.
P.O:
80.000 watt.
P.O:
20%energia mondiale nel 2020.
P.O:
1.350 Gw con
l’apertura della diga delle tre gole
in Cina.  
P.O:
il10% dell’energia mondiale nel 2020.Oggi l’en.rinn.più competitiva.
P.F**:
200.000 tep usando i terreni incolti per le sovvenzioni Pac.
P.F:
50x10*12 watt usando la reiniezione d’acqua in strati di rocce calde
P.F:
1.000 w/m²
è l’energia solare effettivamente usufruibile al mondo con i nuovi pannelli.
P.F:
Con il microidro (microimpianti che sfruttano anche  i ruscelli) molto alte ma con limiti di crescita.
P.F:
Quattro volte il consumo energetico mondiale
Limiti:
efficienza energetica, competizione con terreni a colture alimentari
Limiti:
disponibilità. Costi d’impianto
Limiti:
Il costo del pannello, l’intermittenza della luce; ma che dovrebbero essere superati con la crescita del mercato e i nuovi accumulatori.
Limiti:
Impatto ambientale.
La sommersione della vegetazione nel bacino genera fermentazione con produzione e dispersione di   metano (4volte più inquinante CO2 ).
Limiti:
Bassa disponibilità. Efficienza bassa se zona poco ventosa. Elevata intermittenza.
Alto impatto paesaggistico.

*P.O: potenzialità odierna. **P.F: potenzialità futura.
(1) tonnellate equivalenti di petrolio.

La penuria di petrolio fa si che s’utilizzi molto il carbone, come in Cina il primo produttore e consumatore del mondo e difatti uno dei paesi più inquinanti (Pietrogrande, 2005).
Per ovviare a questo si pensa a soluzioni alternative per fissare l’enorme quantità di CO2 rilasciata da questi impianti.
Negli Stati Uniti il MIT ha studiato la possibilità d’immobilizzarla negli oceani, con l’utilizzo di condotte sottomarine e concimi fosfatati (www.energialab.it, 2006).

A parte l’originalità del progetto che è subito parso poco credibile, si è invece trovata una valida soluzione, nell’utilizzo dei gas di combustione delle centrali per alimentare vasche di coltura di micro e macroalghe.
In tal modo la CO2 è fissata per oltre il 50% del totale emesso nella biomassa dalla quale si possono ottenere oli combustibili e materiali edilizi con la CO2 fissata in un substrato solido a tempo indeterminato con grandi vantaggi ambientali (www.energialab.it).
Ciò ridurebbe il fabbisogno di petrolio e potrebbe portare alla conversione degli impianti con un incremento dell’utilizzo del carbone meno costoso del caro petrolio (ormai a 25 centesimi di euro al litro) ma più inquinante, rientrando comunque nei parametri di Kyoto. In fatto di ritorno energetico tra le bioenergie per vettori energetici l’EROEI più alto è dell’olio estratto dalle microalghe. Nella tabella 3 vengono tra di loro confrontati i vari EROEI delle fonti energetiche rinnovabili, bioenergie e fossili.    
 
Tab.3. EROEI delle principali fonti energetiche e vettori energetici.
(www.energoClub.it, 2007. EnergoClub Onlus. Treviso, Italia).
 
Fonte primaria o secondaria
 Minimo
 Massimo



Fonti energetiche esauribili


Petrolio
   5
   15
Metano
   8
   20
Carbone
   2
   17
Nucleare
   1
   20
Sabbie bituminose
   1
   1,5
Fonti energetiche rinnovabili


Idroelettrico
 30
 100
Eolico
 10
   80
Geotermico
   2
   13
Fotovoltaico
   3
   60
Termosolare riscaldamento
 30
 200
Solare termodinamico
 10
   20
Biomasse solide
   3
   27
Impianti biogas
 10
   20
Energia dalle onde, dalle maree e correnti marine
   2
   10
Risparmio energetico
   2
 300
Vettori energetici rinnovabili


Gassificazione biomassa
   2
   10
Bioetanolo da cereali-barbabietole-leguminose
   1
     5
Bioetanolo da canna da zucchero
   3
     8
Bioetanolo da cellulosa
   2
     7
Biometanolo da gassificazione
   2
     6
Olio vegetale da oleaginose
   3
     6
Biodiesel
   3
     5
Olio da microalghe
   5
   10


Secondo Kadam (1997) applicando la captazione dei gas esausti ad una centrale elettrica a carbone calerebbe l’efficienza energetica d’un 10-30 % e di riflesso il suo EROEI sarebbe minore, inoltre il prezzo dell’elettricità aumenterebbe d’un 30-130 % se convertito. Ma le tecnologie future porterebbero ad una riduzione dei costi rendendo il tutto possibile.
 Ciò già avviene negli Stati Uniti dove il 2 % della CO2 emessa è riciclata mediante previo assorbimento con la tecnologia Mea (monoetalonammine) e utilizzata nell’industria alimentare, dei carburanti e composti vari sia per l’industria plastica che edilizia che farmaceutica. La conversione di CO2 in microalghe è economicamente conveniente per alcune selezionate aeree geografiche. Le conclusioni dello studio LCA di Kadam dicono che vi sono effettivi benefici ambientali derivanti dal processo di coaptazione dell’anidride carbonica prodotta dalle industrie termoelettriche a carbone per alimentare vasche di coltura delle alghe in rapporto all’opzione impianto elettrico a carbone libero senza coaptazione fumi. L’ampiezza di tale beneficio varia a seconda delle tipologie tecnologiche e specie di alghe adottate. In particolare abbiamo diminuizioni notevoli grazie alle alghe di SOx e NOx, particolato emesso, diossido di carbonio e metano ed energia fossile consumata. Gli impatti ambientali dovuti all’eutrofizzazione sono invece alti e in generale passando a impianti elettrici alimentati a petrolio e gas, i loro fumi captati e raffinati per alimentare le alghe non danno le stesse rese, costringendo ad aumentare le dosi di fertilizzante. Facendo sì che il valore dell’lca specifico per il prelevamento e uso risorse naturale sia alto.
Nella tabella 4 riporto i dati del lavoro di Kadam relativi al “life cycle inventory” della produzione d’energia dal carbone senza coaptazione fumi in confronto ai dati relativi alla coaptazione fumi per alimentare vasche di coltura microalgali. Nello specifico i dati sono riferiti esclusivamente a un impianto di 50 MW termoelettrico tradizionale ma con un riciclo della CO2 dal 25 % fino al 50% ottenuti adibendo con 1.000 ha ad acquilcoltura di alghe. Le microalghe sono essiccate con l’energia solare per massimizzare le rese(probabile uso di collettori solari).


 Tab.4. Analisi LCA di un impianto di bio-coaptazione gas esausti.
(Kadam, 2002).



Processo d’iniezione diretto
(usando essiccazione solare): il 50 % della CO2 è riciclato.
Caso base
Senza acquicoltura la CO2 è rilasciata nell’atmosfera o venduta.
Con acquicoltura
Differenza% = Scenario1 valore-scenario2 valore/scenario1 valore*100
Risorse naturali



Carbone
4.083t
2.394t
41
Gas naturale
23kg
170kg
-658
Olio
28t
59t
-111
Emissione aria



Diossido di carbonio
7.943t
4.996t
37
Monossido di carbonio
2.056kg
2.172kg
-6
Idrocarburi(no CH4)
498kg
536kg
-8
Metano
18kg
12,8kg
-29
Ossido di nitrogeno
37kg
23kg
-39
Ossidi nitrosi
231kg
140kg
-39
Particolato(pm10)
9,6G
6 G
-39
Articolato generico
47kg
28kg
-39
Ossidi sulfuri
67t
44t
-33
Residui



COD(domanda chimica dell’ossigeno)
60kg
394kg
-557
Residui solidi
2.148t
1.839t
14
Energia



Energia non rinnovabile
Mj 1,2 per 10 alla 8°
8 Mj per 10 alla 7°
34
Energia rinnovabile
Mj 41.007
4,6 per 10 alla 7°
NM
Energia del processo
Mj 1,22per 10 alla 8°
1,25 per 10 alla 8°
-2

 Il dato più importante che si ottiene dall’analisi di Kadam è che 1.000 ha di una coltivazione a microalghe arrivano a processare circa 21.000 t/anno di CO2  (Kadam, 2002). Un impianto di 50 Mw genera 414.000 t/anno di CO2 che con 1.000 ha  a microalghe sono ridotte della metà (dal 25% al 50% in meno di CO2).
La produzione elettrica ottenuta usando la biomassa algale dipende dalla quantità d’anidride carbonica riciclata.  Naturalmente il bilancio netto della CO2 emessa dalle microalghe durante la crescita fino alla combustione  è ritenuto uguale a zero.


In sintesi l’analisi LCA adoperata da Kadam fa sì che s’adoperi un confronto fra lo scenario 1 in cui non vi è coaptazione dei fumi e l’acquicoltura e lo scenario 2 con l’acquicoltura, ottenendo ottimi valori nell’LCA per quest’ultimo. 
 E’ un analisi comparata dei due processi. L’unita base per la comparazione tra le tipologie, è la quantita di carbone o alghe necessaria per generare un Mj (vedi Tab. 5). Si nota dall’analisi LCA valori bassi d’efficienza se i fumi dell’impianto non sono raffinati ma direttamente usati per alimentare le vasche a microalghe.

Tab.5. Parametri della coltivazione in vasche delle microalghe (1.000ha) alimentate con la CO2 d’un impianto termoelettrico a carbone da 50 Mw.
(Kadam, 2002).

Parametri
Unità
Valori



Parametri facilitati


Dimensioni facilitate
ha
1.000
Modulo dimensioni
ha
20
Numero di moduli

43
CO2 totale processata
t/anno
204.175
Effettiva frazione area culturale

0,86
Contenuto in lipidi
Wt.fr.dsb*
0,50
Contenuto in proteine
Wt.fr.dsb
0,26
Contenuto in carboidrati
Wt.fr.dsb
0,16
Contenuto in lignina
Wt.fr.dsb
0,08
Tolleranza alla salinità
G TDS/L
35
Radiazione solare
kcal/m²/giorno
5.000
Stagione operativa
d/anno
300
Concentrazione cellulare
G dcw/l
0,8
Tempo di residenza
D
4
Produttività
g/m²/d
45
Produzione alghe lorda
t/anno
104.490
Energia prodotta dalle alghe
10*6° kcal/anno
691.701
Efficienza raccolta

0,95

Notiamo in tabella 10.6 e 10.7 come i costi d’impianto e di produzione rendano le colture algali al momento svantaggiate, con l’operazione di raccolta e essiccazione come fattori limitanti dato che richiedono quantità d’energia notevoli. L’essicazione per le colture algali destinate a metano non è attuata e quindi si risparmiano 14Gj/t.
La raccolta richiede i ¾ dell’energia ottenuta e a questo si cerca d’ovviare con la ricerca e l’utilizzo di alghe filamentose.
Il problema è che le microalghe non legano tra loro spontaneamente formando colonie in maniera che l’aumento del peso specifico le faccia precipitare al fondo.


Tab.6. Input e output della coaptazione gas esausti-acquicoltura.
(Kadam, 2002).


Per giorno
Per t CO2
INPUT


INIEZIONE DIRETTA


 t CO2.
680,6
1
Elettricità, Kwh
15.100
22,2
ESTRAZIONE,CON PROCESSO  MEA


CO2 t
680,6
1
Corrente di vapore, Kg
1.369.570
2.010
Elettricità, Kwh
22.225
32,65
COLTIVAZIONE ALGHE


NH3, kg
16,85
24,76
Superfosfato, kg
12
17,84
Potassio solfato, kg
9,41
13,83
CO2, kg
680,6
1.000
Elettricità, Kwh
56.280
82,7
ESSICAZIONE ALGHE


Essiccazione solare
0
0
Vapore, kg
1.615.584
2,374
OUTPUT


CO2, kg
470
0,69
Alghe-Peso secco, kg
314.300
461,8
Alghe-Peso umido, kg
628.600
923,6
Energia delle alghe disidradate  in Mj.
8.120.000
11.927

Tab.7. Costi economici stimati e costi energetici per la produzione di alghe.
 (da Russel, 1976).

Capitale ammortizzato
$ /t
Gj/t alghe
Lavoro
18

Costi di miscelazione
7,30
2,8
Separazione
80
42
Essiccazione

14
Tasse, assicurazione
20

Crediti (credit sewage)

4,3
Totale
235
57,6

Se i costi  non verranno limati con le nuove tecniche a disposizione, visto che non sono stati fatti sostanziali passi in avanti a riguardo da decenni, rimangono due strade: la prima è l’utilizzo di microalghe filamentose; la seconda è passare allo studio e alla messa in atto di progetti riguardanti le macroalghe nonostante le tacite rese inferiori (le microalghe inoltre sono  state molto più studiate dal dopoguerra perchè usate nella pescicoltura).
Le tecniche usate per la raccolta delle microalghe essenzialmente sono: filtrazione; la centrifugazione; la flocculazione e la bioflucculazione. Nella bioflocculazione, il flocculante è prodotto dalle alghe stesse sotto forma d’essudati che legano tra loro la massa algale permettendo la precipitazione.
Nel caso della flocculazione invece il flocculante è una sostanza esterna chimica o naturale.
Dopo aver esaminato questi dati relativi nel primo caso di Kadam sia al bilancio energetico che all’LCA relativi a un impianto di riciclo della CO2 usata per  aquicoltura di microalghe a scopo energetico, attuiamo un confronto con un lavoro di Michele Aresta sull’utilizzo della CO2 prodotta da una centrale elettrica a carbone per alimentare vasche di coltura questa volta a macroalghe.
 L’impianto elettrico ha una potenza tra i 100-500 Mw. Vi sono inoltre acque reflue, affluenti di fiumi o nel caso ipotizzato le acque colme di residui fecali d’una pescicoltura distante meno di 5 km.
Il contenuto in olio delle alghe variava dal 7 al 20% per le specie di alghe selezionate (C.linum e C.capicella). Il progetto d’Aresta prevede la caratterizzazione fisiologica dei ceppi d’alghe proveniente dal Mar di Taranto e Adriatico e la loro resistenza a anidride carbonica, monossido d’azoto e solfati.
La filiera produttiva include i seguenti passaggi: recupero gas di scarico da impianti energetici, separazione CO2, trasporto dell’anidride carbonica, distribuzione del gas, crescita delle macroalghe, collezione delle alghe, estrazione bio-carburante dalle alghe, esterificazione eventuale e lavorazioni eventuali sottoprodotti.
 Le metodologie per la raffinazione dei gas di scarico includono: M.E.A process; assorbimento fisico; criogeno; e speciali membrane.
La maggior parte delle variabili del processo sono inserite nel “compubio” un software creato per l’occasione. S’è notato che l’efficienza più alta si ha con il processare le alghe attraverso la tecnologia  Supercritical CO2 ma tutti i processi d’estrazione più usati e efficaci sono comparati tra loro: solventi organici; la pirolisi e gassificazione; liquificazione. Il processo scCO2 si basa sull’utilizzo di CO2 ad alte pressioni e temperature di 304 K° come solvente ed è il più efficace nonchè meno tossico. L’unità funzionale energetica come nell’esempio precedente è stata fissata in un Mj d’energia prodotta dalle alghe. In questo studio l’LCA è stato valutato per verificare la produzione d’energia dalla biomassa.
Le analisi di Aresta (vedi tab10.7)sono state effettuate grazie all’apporto d’un software creato appositamente in virtual basic il Compubio, software di possibile utilizzazione in molte filiere energetiche della biomassa.



 Tab.7. Bilancio energetico d’un impianto d’aquicoltura di microalghe alimentato con gas esausti e acque di scarto. (Aresta, 2006) .

Processo

Energia consumata (Mj)
Energia prodotta (Mj)
Trasporto gas
Iniezione diretta
0,0799 (a)*


Separazione CO2
1,672 (a)

Distribuzione CO2

0(b)

Produzione alghe
Coltivazione
2,15 (c )


Supplementi nutritivi        
4,55  (c )


Raccolta
O,85, (m); 5,55(M)


Essicazione
0(f)

 Tecnologie   conversione                                 
Gassificazione
5,95(d)

Pirolisi
2,5(g)
15-20(g)
Liquefazione
6,7-11,9(g)
35(h)
Digestione anaerobica
2,6(h)

Combustione
11,9(d)


*a: per kg CO2; b: la energia consumata è zero ; c: per kg alghe; m: per kg microalghe;
 m: per kg macroalghe raccolte in laguna; f: energia solare usata; g: per kg d’olio; h: per kg di biomassa.

Da notare in tab.7 che l’energia consumata nella raccolta delle macroalghe è 6 volte l’energia richiesta dalla raccolta delle microalghe per Aresta. L’esatto contrario di quanto sostenuto da altri autori. Aresta nota come l’energia netta prodotta dipende dal processo tecnologico di conversione adottato e pubblica valori per le macroalghe di 11.000 Mj/t di s.s.alga contro valori d’energia netta per le microalghe di 9.500Mj/t usando la gassificazione.
Mentre l’analisi energetica è molto positiva altrettanto non è per il bilancio economico e delle emissioni di CO2 che vogliono studi approfonditi.
Secondo stime del National Renewable Energy Department del 1998 per rifornire di solo diesel da autotrazione i mezzi di trasporto privati e pubblici degli Stati Uniti servirebbero tanti ettari coltivati a piante oleaginose quant’è la superficie libera dell’intero stato. Ugualmente la stima è simile per l’Italia ove per la Coldiretti bisognerebbe convertire tutta la nostra superficie non solo quella agricola a colza (la coltura oleaginosa temperata più produttiva).
Se consideriamo invece la coltivazione di alghe da biodiesel la superficie necessaria si riduce al 2% del territorio americano ovvero una superfice pari all’odierna Albania. Purtroppo a sfavore delle alghe giocano l’alta energia richiesta nella fase di raccolta, l’energia per il riscaldamento e l’agitazione delle vasche e la costruzione dell’impianto che alzano sia i costi energetici che monetari a fronte d’ottime rese produttive con 90 t/ha/anno con una rese in olio crudo di 5.600 litri/ha/anno.
La selezione e il miglioramento genetico hanno portato a ottenere microalghe con fino al 50% d’olio e una maggiore efficienza fotosintetica con notevoli sottoprodotti utilizzabili in tantissimi campi e con ancora più sbocchi commerciali del glicerolo sottoprodotto del biodiesel di cui se vi fosse l’auspicato aumento della produzioni nonostante gli usi diversificati il mercato si saturerebbe.
Il costo a litro dell’olio tratto dalle alghe era di 0,6 dollari statunitensi nel 1998.
Invece 30.000 $/ha/y sono i costi per alcune tipologie d’impianto. Mantenere in movimento l’acqua nelle vasche richiede 1 kw/ha, la produttività è di 70 t/ha/y con punte  di 50 g/m²/d (Sheehan, 1998). Interessante per le aziende è la possibilità d’utilizzo delle acque di scarto (allevamento zootecnico, pescicoltura, acque reflue agricole e anche civili previa depurazione) e le emissioni di anidride carbonica.


G.N.