mercoledì 29 luglio 2015

I FLOCCULANTI NATURALI. LA MORINGA OLEIFERA.


Tra i flocculanti naturali ve ne sono diversi dalla buone potenzialità, ma uno dei più interessanti è senza dubbio estratto dalla Moringa oleifera. Uno dei pregi della moringa è l’abbondanza sul mercato, a prezzi relativamente economici, del suo estratto, che deriva dalla massa  residua dell’ estrazione del’olio di ben, dalle ottime qualità fisico-chimiche e che è valutato come potenziale fonte di biodiesel.
Altri flocculanti naturali non sono presenti sul mercato a prezzi accessibili (dato che devono essere appositamente estratti e non sono residuo d’altre lavorazioni)  nonostante l’ottima qualità come lo Strychnos potatorum Linn.usato in India per purificare l’acqua, e quindi un loro eventuale uso per l’acquicoltura è improbabile al momento.  
La Moringa oleifera è un alberello tropicale, leguminosa spontanea in Africa e Asia con alta produzione di baccelli contenenti una miriade di sostanze utili per i più diversi scopi. Ha un contenuto in proteine e sali minerali notevolissimo tanto che sono allo studio progetti per la realizzazione d’alimenti contro la malnutrizione infantile a base di Moringa.
 Ma la qualità che a noi interessa di più è che dalle sue proteine viene estratto un coagulante che stimola la  flocculazione usato nella tecnologia vinicola biologica per la precipitazione dei lieviti in sospensione. Lavora bene indipendenemente dal pH, caratteristica molto importante.
La capacita flocculante della farina del legume, è ben nota ai tropici dove viene tradizionalmente usata per rendere potabile l’acqua eliminando larve e parassiti dalla sua superficie, perchè fa precipitare colloidi e particelle in sospensione a cui vi sono aggrappati il 90% dei batteri.
 Vi sono progetti in studio per rendere potabile l’acqua utilizzando materiali facilmente reperibili ai tropici come questa pianta e la pomice (Broin, 2002).
La prova svolta nel mese di luglio del 2006, in laboratorio del Dipartimento di Biotecnologie Agrarie di Firenze, a cui ho personalmente partecipato non ha dato i frutti sperati. 
La microalga prescelta per l’esperimento è stata la Nannocloropsis, alga marina coltivata  in bioreattori. La microalga si presentava in una spessa emulsione acquosa molto fine di colore verde scuro. L’esperimento avendo disatteso le aspettative non è stato più ripetuto.
In prospettiva si pensa di ripeterlo con concentrazioni diverse oppure usando direttamente l’estratto dei semi di Moringa invece della cake disoleata e soprattutto provando con microalghe d’acqua dolce dove si spera dovrebbe finalmente dare i risultati sperati.


G.N.

sabato 25 luglio 2015

SWITCHGRASS (Panicum virgatum)


Switchgrass (Panicum virgatum)



Famiglia Poaceae.

Classificazione (Usda, 2007).

Regno
Sottoregno
Tracheobinta
Superdivisione
Spermatophyta
Divisione
Magnoliophyta
Classe
Sottoclasse
Commelinidae
Ordine
Cyperales
Famiglia
Genere
Panicum L. - Erba panico
Specie
P. virgatum L.- Switchgrass

Origine: tropicale ma ovunque diffusa nel mondo.

Descrizione e ecologia
Erbacea C4, infestante poliennale e rizomatosa a crescita rapida spesso dominante nei prati e nelle grandi  praterie americane ma è di origine tropicale. E’ diffusa nelle Americhe, in Europa, Asia, Africa. I culmi sono eretti e lunghi da 0,5 a 2 metri. L’infiorescienza è un panicolo lungo da 15 a 50 cm. I semi sono duri e piccoli e 1.000 semi pesano 1,1-2 grammi.
Alcune cultivar sono relativamente tolleranti al freddo.  Vive bene su suoli neutri ma si adatta agli acidi. Basandosi sulla morfologia e sulle diverse tipologie d habitat lo switchgrass è stato diviso in due diverse tipologie: le specie a taglia bassa da altopiano adatte a suoli poveri e in pendio che sfruttano meglio i bassi input e le specie a taglia grande da pianura che sfruttano meglio gli alti input. (Fuentes, 2002)

Cenni colturali
Si propaga da seme. La germinabilità è sul 75%. La semina è effettuata meccanicamente.
La densità di coltura è di 400 piante sul metro quadro. Le concimazioni non sono richieste e se applicate e bene metterle nel letto di semina o in copertura per non stimolare le piante competitrici. Si semina in inverno. Il germoglio esce dal rizoma in primavera, a causa della crescita rallentata autunnale alcune erbacce potrebbero prendere il sopravvento obbligandoci all’uso d’erbicidi. Il primo anno la resa in biomassa è bassa rispetto al secondo anno di coltura.
 Il ciclo colturale è di 3-5 anni. Il costo di produzione è più basso rispetto al Miscanto. L’umidità alla raccolta è del 30% e va essiccata in campo per qualche giorno (RE, 1996).




Usi energetici
Switchgrass è considerato una pianta da bioetanolo low input dal grande potenziale grazie  alla sua robusticità e adattamento a suoli poveri e condizioni climatiche, crescita rapida e le  richieste di fertilizzanti basse unite ad una scarsa suscettiblità alle malerbe.
Ha un alta efficienza d’uso dell’acqua e tollera bene pH acidi. Per la Fao (Reu, 1996) il Panicum virgatum produce un massimo di 35 t/ha di biomassa secca per attestarsi su una media di 12 t/ha di s.s.
 Tramite il miglioramento genetico e la ricerca, la biomassa ottenuta è aumentata dal 1996 a tal punto che unita alle nuove tecniche biotecnologiche di conversione cellulosa-etanolo ha portato nel 2006 a ricavare circa 7.000 litri di etanolo ad ettaro. Il presidente degli Stati Uniti d’America, George W. Bush ha menzionato lo Switchgrass in suo discorso pubblico del 2006 come una speranza per il futuro.  Switchgrass potenzialmente  può produrre 7.000 litri di bioetanolo a ettaro contro i  5.800 l/ha per la canna da zucchero e 3.000 litri/ha per il mais.
 Non tutti i pareri sono concordi su questi dati e lo stesso dicasi per i bilanci energetici.
All’ Università della California, il Prof. Tad Patzek della Berkeley ritiene che lo switchgrass necessiti per la sua produzione più energia di quella ottenuta dal bioetanolo ricavato dalla conversione della sua biomassa, per Patzek il 45 % più energia fossile della bioenergia prodotta. In una conferenza del 2007 il Prof. Richard Muller, della stessa università, denuncia il bilancio energetico negativo dello switchgrass.
Per permettere un Eroei migliore alla coltura a Berkeley è partito l’Helios Project  che sta tentando di pianificare un nuovo processo biotecnologico sfruttando ceppi batterici selezionati per convertire più efficientemente la cellulosa ad etanolo. Dall’altra parte, David Bransby, stimato esperto americano delle energy crops sostiene che per ogni unità d’input energetico, lo switchgrass da 4 unità d’output. Questo lavoro è stata la fonte usata da Bush per il suo discorso all’Unione ad inizio 2006 (W.a, 2007).

G.N.

mercoledì 22 luglio 2015

TOPINAMBUR (Helianthus tuberosus L.)

Topinambur (Helianthus tuberosus L.)



Famiglia Asteraceae

Regno
Plantae – Piante
Sottoregno
Tracheobionta – PianteVascolari
Superdivisione
Spermatophyta – Pianta a seme
Divisione
Magnoliophyta – Pianta a fiore
Classe 
Magnoliopsida- Dicotiledoni
Sottoclasse
Asteridae
Ordine
Asterales
Famiglia 
Asteraceae
Genere
Helianthus L.– Girasole.
Specie
Helianthus tuberosus L.–Jerusalem artichoke- Topinambur

Descrizione pianta
Il topinambur o Jerusalem artichoke è pianta brevidiurna C3 originaria del Nord America.
Pianta morfologicamente simile al girasole se ne distingue per la diversa infiorescenza e per la presenza di grossi tuberi radicali ricchi di inulina. Ha un sapore simile al carciofo ma più dolce. Per questo è chiamato anche carciofo di Gerusalemme. E’ alto da 1 a 4 metri. Ha uno stocco semirigido e foglie lanceolate. Produce fiori gialli con 4-8 cm di diametro. Non sempre la pianta produce semi. Ha un apparato radicale con stoloni sotterranei che portano grossi tuberi simili alla patata eccetto che i primi hanno un contenuto d’acqua più alto e producono radici avventizie. Resiste poco al gelo ma i tuberi sopravvivono a -30 gradi. Predilige suoli sabbiosi e vive e produce discretamente anche in suoli poveri.
.
Cenni colturali.
Il topinambur è una delle colture di campo di cui disponiamo con la più alta produzione di materia secca per ettaro. Un buon raccolto è relativamente facile da ottenere ma difficile da raccogliere ed immagazzinare.
 I tuberi sono legati ermeticamente alla corona della pianta e, quando è effettuata la raccolta meccanica, viene su un insieme di tuberi, tessuto di corona, e suolo che non si separano bene come la patata e la patata dolce.
Vi è così necessità di molta manodopera per la fase di raccolta. Oltre a questo, i tuberi si deteriorano velocemente e sono difficili da immagazzinare denotando una bassa serbevolezza.
Vanno processati rapidamente con problemi logistici facilmente immaginabili. I tuberi si conservano bene in ogni modo nel suolo e ipoteticamente potrebbero essere immagazzinati nel campo tal quali e raccolti periodicamente ogni qualvolta il suolo non è    troppo bagnato al punto da rendere difficile la raccolta. Un altro problema è che il topinambur non resiste bene alle infestanti e non si adatta ai suoli argillosi. Richiede un pH compreso tra 5,5 e 7. Per la semina usiamo una piantatrice da patate. Si propaga mediante frammenti di tubero, semi o segmenti del rizoma.
Dove coltivata in maniera tradizionale la  concimazione apportata è N: K: P, 40-80; 250; 120 più 60 kg/ha di magnesio. La coltura va sospesa ogni 5 anni perchè è molto soggetta allo Sclerotinia. Spesso è coltivata nonostante sia poliennale come coltura al massimo biennale. E’ attaccata inoltre dalla ruggine Puccinia helianthi e dall’Erysiphe cichoracearum.


Produzione e usi energetici.
E’ coltivato in maniera estensiva come pianta da bioetanolo. Con il sorgo dolce e la patata dolce ha la resa in zuccheri semplici e quindi in alcol più alta riportata in letteratura (7.500 l/ha). Nonostante ciò la specie denota allo stato attuale molti svantaggi colturali e processuali che ne limitano lo sviluppo. Ad esempio nonostante renda di più si preferisce in Europa puntare sulla barbabietola da zucchero perché il saccarosio è direttamente fermentabile.
 L’inulina richiede uno step in più nel processo di conversione per la sua idrolisi con costi aggiuntivi. In Spagna il clone "Violet de Rennes" ha prodotto 16 t/ha per anno. In Portogallo sono stati ottenuti ben 43 t/ha su suoli sabbiosi. In Olanda cloni selezionati di Bianka, Yellow perfect, Columbia e Precoce su suoli leggeri e sabbiosi hanno prodotto nel 1989 circa 92-105 t/ha in tuberi freschi con una resa in inulina di 16 t/ha (13-15% inulina nel tubero). L’anno dopo la coltura ha reso la metà. A seconda della varietà il tubero è costituito dal 75% d’acqua, 3% proteine e 16% carboidrati dei quali il polimero del fruttosio inulina può costituire da solo l’8%.
L’ Helianthus tuberosus L. è con la radice di cicoria classificata come Cichorium intybus L. una delle maggiori fonti di questo zucchero conosciute tra le colture di campo. L’ Inulina (D-fruttosio) può essere trasformata in sciroppi di fruttosio tramite idrolisi o convertita facilmente tramite fermentazione con lieviti in Bioetanolo (e saccarosio). Circa 10 litri di etanolo possono essere ricavati da 100 kg di tuberi freschi. L’Inulina può essere usata nell’industria alimentare come zucchero dietetico, mentre gli sciroppi di fruttosio possono essere usati come dolcificante nelle bibite. Nel frattempo si sta attuando una rapida ricerca applicativa per utilizzare l’inulina ed i suoi possibili derivati (composti chimici del furano) come materiale per l’industria chimica. Durante gli ultimi 10 anni è stato attuato un significativo miglioramento genetico sul Topinambur in Europa specialmente nei Paesi Bassi. La produzione d’inulina è in media per il carciofo di Gerusalemme da  4,5 a 8,3 t/ha, mentre la radice di cicoria produce da 9,8 a 16,1 t/ha. Nei Paesi Bassi incrociando l’H. tuberosus si ottennero 10 cloni con produzione di inulina sulle 16 t/ha nel 1989, ma senza irrigazione in una anno di carenza idrica del 1990 s’ottennero solamente 7 t/ha (Van Soest, 1993; Mays, 1990). La biomassa verde totale ha un potere calorifico di 17,6 Mj/kg di materia secca e può essere usata come foraggio o polpa per cartiere (RE, 1996).


G.N.

venerdì 17 luglio 2015

SORGO (Sorghum bicolor)

Sorgo zuccherino e da fibra (Sorghum bicolor)



rinnovabili, bioenergie, bioenergetica, emissioni, riciclo, antropica, biomassa, fuel crops, neglected, low input, high input, nania, ebcprofessional, milazzo, sorgo

Famiglia  Poaceae

Classificazione (Usda, 2007).

Regno
Plantae – Piante
Sottoregno
Tracheobionta – PianteVascolari
Superdivisione
Spermatophyta – Pianta a seme
Divisione
Magnoliophyta – Pianta a fiore
Classe 
Liliopsida – Monocotiledoni
Sottoclasse
Ordine
Famiglia 
Poaceae – Graminacee
Genere
Sorghum Moench – Sorgo
Specie

Sinonimi: Sorghum caudatum (H.)stapf; Sorghum guineense Stapf; Sorghum nervosum Besser ex Sculte.

Descrizione

Il Sorgo è una specie erbacea annuale d’origine tropicale della famiglia delle Poaceae a ciclo fotosintetico “C4”. Tradizionalmente consumato in Africa per le sue caratteristiche di resistenza a periodi di siccità anche prolungati che lo fanno preferire al mais nelle zone aride, aveva scarsa importanza fino al decennio passato in Europa perchè reagisce meno agli imput agro-colturali rispetto al mais, e inoltre è più suscettibile agli attacchi degli uccelli ed è leggermente tossico sia per gli animali che per gli uomini.
I tannini molto presenti nel cereale rendono scarsamente assimilabile la sua parte proteica. Il settore delle bioenergie guarda al sorgo in veste duplice sia come pianta da biomassa low input ad elevata produzione che come pianta da bio-etanolo.
In Europa sono state sviluppate e coltivate con successo le varietà da foraggio affienabile e con culmo sottile e  varietà con alto contenuto in zuccheri detto “sorgo dolce” usato per ottenere sciroppi, acido citrico, melassa, e nella mangimistica.  Oggetto  di particolare attenzione a livello europeo in ambiente mediterraneo per l’elevata produttività unita alla possibilità di produrre etanolo dagli zuccheri del culmo e di produrre fibra. Il sorgo vuole alta insolazione, e temperatura.
 In condizioni d’alta disponibilità idrica da 40 tonnellate su Ha e un efficienza d'uso dell'acqua tra i 5,3 e i 4,8 g su litro (WUE). In condizioni di bassa disponibilità idrica aumenta la sua wue. Reagisce quindi bene agli stress idrici grazie a modifiche morfologiche.
La concimazione richiesta è sui 120 con scarsa irrigazione e 150 kg azoto per ha a pieno soddisfacimento idrico. La produzione d'etanolo ottenuto dalla fermentazione del suo zucchero che produce in media sulle 8 t/ha è di 5.770 litri su ha.
La cultivar più diffusa nel settore bioenergico per la produzione di zucchero è l'Abetone e come sorgo da fibra (foraggio) la cultivar H132.  L'abetone da 25 t/ha di biomassa contro le 30 t/ha dell' H132.

 Il contenuto in acqua alla raccolta è intorno al 58% (Cosentino, 2005). I bilanci energetici sono di 99-148 Gj/ha in termini di resa energetica lorda, mentre la resa energetica netta ammonta a 79-128 Gj/ha con un valore di guadagno energetico complessivo compreso tra 4,9 e 7,4 considerando un input d’energia pari a 20 Gj /ha. per fare un confronto a parità di condizioni il mais genera rispettivamente da 49 a 88 Gj, da 9 a 68 Gj, da 2,4 a 4,4 (Specogna, 2006).

G.N.

martedì 14 luglio 2015

PALMA DA SAGO (Metroxylon sagu).

Palma da sago (Metroxylon sagu)



Famiglia Arecaceae
Vi sono 55 generi nelle Arecaceae, 2 specie in Metroxylon.
Classificazione (Usda, 2007).
  Metroxylon sagu Rottb 
Regno
Plantae – Piante
Sottoregno
Tracheobionta –  piante vascolari
Superdivisione
Spermatophyta – Piante a seme
Divisione
Magnoliophyta – Piante a fiore
Classe
Liliopsida – Monocotiledoni
Sottoclasse
Ordine
Famiglia
Arecaceae – Famiglia delle palme
Genere
Metroxylon Rottb. – metroxylon
Specie
Metroxylon sagu Rottb. – palma da sago
Sinonimi: Metroxylon rumphii (willd.) C.Martius .
Descrizione.

Il Metroxylon sagu o palma da sago è originaria dell'Asia del sud est ove l'amido che contiene in elevata quantità nel tronco fornisce la maggior parte dell'apporto calorico alle popolazioni locali di cacciatori raccoglitori che vivono ai confini o entro la foresta tropicale, habitat ideale della palma da sago. L'amido chiamato “tapioca“ una volta pronto per il consumo, è ricavato dal tronco della pianta dopo una lunga lavorazione: inizialmente bisogna abbattere la palma quindi dividere il tronco in due e batterlo a lungo poi bisogna separare l'amido dalle sostanze tossiche contenute all'interno del tronco.
 Poi l'amido è ulteriormente lavorato fino a dare la tapioca. La palma da sago rimane attualmente  una pianta in prevalenza presente allo stato selvatico. L'istituto internazionale per le risorse genetiche(IPGRI) che cerca di diversificare il raccolto agricolo nel mondo riscoprendo o domesticando specie selvatiche, considera che la palma di sago sia un raccolto "underutilized" tipico (Fonte:Biopact.com).
Uno degli usi potenziali della palma da sago è l'etanolo. In tutto il suo “lifecycle”, l'albero accumula un ammontare enorme d’amido, mentre giunge ad un massimo verso i 15 anni d'età, poco prima che fiorisca con un enorme infiorescenza. Nella palma selvatica, circa 5 tonnellate d'amido per ettaro possono essere raccolte, ma le piantagioni mostrano  produzioni d'amido anche di 30 tonnellate per anno. Inoltre dato l'accumulo d'amido che si protrae fino ai 15 anni, la struttura della piantagione di sago con opportuni sesti dinamici potrebbe adattarsi al fluttuare del prezzo sul mercato ritardando o anticipando il raccolto con pochi danni, dando così un maggior controllo al produttore che potrebbe avere maggiore controllo sui rischi produttivi (fonte: osservazione dell’autore, 2007). L'amido è di tale qualità che l'efficienza di conversione ad etanolo raggiunge il 72% (per l’idrato d’etanolo). Prendendo un raccolto max di 20 tonnellate d’amido pulito ad ettaro, s'avranno 14.400 litri d'alcol, facendo del sago uno dei raccolti d'energia più produttivi. (Biopact; Doelle, 1998). Contrariamente alla  palma da olio, soia, cocco, manioca, il sago soffre di mancanza di ricerca e sviluppo sulla fitopatologia e tecniche di gestione della piantagione.

Nonostante simposi annuali sul sago, ci vorrà un pò di tempo fino a che la coltura s'imponga a livello internazionale.
Il governo della Malesia ha avviato una piantagione di 50.000 ettari con la palma da Sago in Sarawak, e lo considera   la coltura di bioetanolo del futuro. Il Sago sarà il secondo pilastro dopo la palma da olio del programma di bioenergia della Malesia. La capacità di produzione della palma da sago varia tra 2-5 tonnellate d’amido/ha s.s.  allo stato spontaneo fino a 10-25 t/ha in  coltivazione (Flach, 1983).
La densità d’impianto è 1.480 palme/ha . Una piantagione ben organizzata può produrre 175 kg d’amido/palma, mentre da un prodotto totale di 25 tonnellate  amido/ha. (Doelle, 1998). Dopo la rimozione della corteccia, del rachide e delle foglioline dal midollo che probabilmente è la parte più dispendiosa del trattamento, l’amido deve essere estratto dal midollo. Con la palma da sago si possono fare (Doelle, 1998): 

·                    Materiali da edificio eccellenti per case locali ed urbane, capannoni o altri edifici 
·                    Concime organico ( bio-fertilizzanti) 
·                    Risorse per gassificazione e produzione energia 
·                    Amido per alimentazione zootecnica  
·                    Etanolo per biocarburanti
·                    Energia attraverso gassificazione
·                    Metano o bio-gas

·                    Acquicoltura usandola come mangime per pesci



Rientra appieno nella categoria di specie da bio-sistemi rurali integrati: ipotetiche fattorie autosufficienti anche a livello energetico (Doelle, 1998).


G.N.

venerdì 10 luglio 2015

MANIOCA (Manihot esculenta)

Manioca (Manihot esculenta)



Famiglia Euforbiaceae

Vi sono 60 generi nelle Euforbiaceae e 40 specie in Manihot P.Mill.

Classificazione (Usda, 2007).

Manihot esculenta 
Regno.
Plantae – Piante.
Sottoregno
Tracheobionta –Piante vascolari.
Superdivisione
Spermatophyta – Piante a seme.
Divisione
Magnoliophyta – Piante a fiore.
Classe
Magnoliopsida – Dicotiledoni.
Sottoclasse
Rosidae  .
Ordine
Famiglia
Genere
Manihot P. Mill. – cassava
Specie
Manihot esculenta.

La Manioca o Cassava appartiene alla famiglia delle Euforbiacee e al genere Manhiot che comprende circa 40 specie delle quali la Manhiot Esculenta è l'unica coltivata. E' un alberello che raggiunge i 4 metri a portamento arbustivo vivace con fusto semi legnoso ed è poliennale in condizioni naturali anche se come specie coltivata la si trova più che altro come annuale o al massimo biennale.
La Cassava dal grande apparato radicale si può coltivare in terre marginali dove altre coltivazioni non sono redditizie, evitando la competizione con le colture da food propriamente dette. Originaria delle zone tropicali dell'America Latina, si è diffusa in quasi tutte le zone calde del  mondo permettendo date le sue alte rese produttive d'avere una ripresa demografica in zone a bassa densità abitativa causa mancanza dei mezzi di sostentamento. Infatti nelle zone equatoriali e sub-equatoriali umide i cereali non possono crescere o hanno difficoltà proprio a causa dell'eccessiva umidità che impedisce tra l’altro l’essiccazione. In queste condizioni le radici, i bulbi e i tuberi offrono un’alternativa, riuscendo a sfruttare al meglio la luce d'un cielo sempre nuvoloso e reagendo bene alle crittogame in zone ad alta proliferazione fungina.
 La manioca cresce bene in suoli poveri e compatti, dove grazie alla particolare conformazione e al vigore di crescita delle sue radici tuberizzate, riesce a far presa.
 Inoltre a differenza d'altri tuberi tropicali è un ottimo fonte di cibo d'emergenza dato che la manioca può rimanere nel terreno a lungo senza deteriorarsi e se di qualità amara non sarà neanche attaccata dai patogeni e parassiti in maniera consistente. La composizione media della radice sbucciata di manioca allo stato umido è la seguente: acqua 60-67%, carboidrati 30-35%, proteine 1-2%,grassi 0,3%, fibra 1-2%, sali minerali 1%. Le radici presentano piccole ma rilevanti quantità di glucosidi cianogenici che impongono precauzioni nell'uso come food crops, i glucosidi maggiormente presenti sono la linamarina e la loto-australina. L'acido cianidrico varia da 10 a 370 mg per kg di radice fresca.
Le varietà di manioca dolci ne hanno poco e solo sotto la buccia mentre le varietà amare ne hanno molto fino a 370 mg per tutto l'organo. Sembra che le varietà amare siano meno attaccate dai parassiti e ciò le fa preferire per l'uso bioenergetico low input.
Per il raccolto richiede 8-12 mesi per le varietà precoci o tardive. La produzione s'aggira intorno a 12 t/ha, 10-7 senza cure colturali e in terreni poveri, 30 t/ha se in terreni fertili vulcanici o sotto concimazione bilanciata e forzata (se sì da troppo azoto le radici rimangono piccole e si favorisce il lussureggiamento della parte aerea e l'accumulo d' Hcn nelle radici).
Va effettuato un controllo attento delle malerbe nei primi due mesi. Non si può definire appieno una low input crop ma dato che può essere utilizzata in terreni marginali e in condizioni inospitali per altre crop può essere inserita nel gruppo delle piante adatte ad essere coltivate con bassi input energetici per usi no food. L'impianto è fatto per talea di fusto solo raramente per seme su terreni sottoposti ad aratura e assolcatura. Ciò indirettamente forse favorisce i parassiti e le crittogame in generale con attacchi negli ultimi tempi crescenti in pericolosità. I virus sopratutto sono molto pericolosi, le virosi come quelle del Manhiot virus o virus del mosaico distruggono le foglie completamente e la brown streak attacca invece anche i fusti. La crittogama Cercospora viscosae crea danni ingenti a volte. Imenotteri, acari, afidi sono antagonisti temibili per la manioca.
La pianta non sopporta i ristagni idrici e quindi predilige terreni sabbiosi e reagisce bene all’aridità perdendo tutte le foglie e ritornando a vegetare non appena le condizioni idriche lo permettono. Le foglie sono ottime come foraggio ricche in proteine e vitamine, sono consumate in alcune zone dell'Africa equatoriale come ortaggi.
La produzione mondiale s'aggira intorno ai 160 Mt attualmente, il Brasile è il maggior produttore. Nell'elenco dei paesi produttori fa ora il suo ingresso a grande livello la Cina che punta sulla manioca per coltivare alcune zone del suo territorio a bassa fertilità e per ottenere sia amido che etanolo tramite scissione idrolitica e fermentazione.
Vi è stato uno studio condotto da 11 paesi in comune, per verificare le possibilità realizzative di un progetto per la messa in coltura di piantagioni di manioca da destinare alla produzione d’etanolo nel distretto di Gujan in Cina, un’area rurale tradizionalmente dedita a questa coltura per le sue favorevoli condizioni ambientali. Nella immagine della pagina successiva è illustrata la filiera di produzione d’etanolo dalla sua coltivazione 
Il progetto iniziale prevede d’ampliare a 400.000 ha la superficie dedicata a codesta coltura nella zona. S’otterrebbero così 5.200.000.000 t/anno di radici tuberizzate per generare dalla fermentazione dell’amido e cellulosa in esse contenute 2.525.253.000 litri d’etanolo. Se l’etanolo ottenuto è usato tutto per autotrazione, lo studio dimostra che entro 10 anni la Cina sostituirà fino a 618.162 milioni di litri di benzina evitando importazioni di petrolio a 70 $barile e generando reddito locale avvicinando il reddito della zona rurale di Gujan al reddito pro-capite delle zone urbane del sud-est cinese (Du Dai, 2004). In termini energetici il progetto ha un alta efficienza.



G.N.

lunedì 6 luglio 2015

LE COLTURE DA ETANOLO


Le colture da Etanolo sono molteplici e in grande sviluppo. L’etanolo può essere prodotto da biomasse ligno-cellulosiche, cellulosiche, amilacee, amido-zuccherine e zuccherine. Oggi giorno le più diffuse sono le zuccherine ma le nuove tecnologie sia in termini di efficienza e resa della fermentazione con l’ utilizzo di nuovi ceppi batterici migliorati e la maggiore efficienza della trasformazione della lignina e cellulosa a etanolo fanno supporre un maggior sviluppo di queste  ultime in un prossimo futuro ( Tab.2.).

Tab. 1. Piante da etanolo in Europa e loro resa (Billy 1984).

Colture
Cultivar
N
(kg/ha)
Resa
coltura
(t/ha)
Resa in alcol
(l/ha)
Batata.(Ipomea batatas Lam.)
'Jewel'
120
42,6
5.821
Topinambur.(Helianthus tuberosus L.).
'Mammouth
French White'
56
30,7
4.169
Sorgo dolce.
[Sorghum bicolor (L.) Moench.]
'Meridian 71-1'
112
72,8
2.196
Patata (Solanum tuberosum L.).
'Pontiac'
112
22,6
1.830
Barbabietola da zucchero.
(Beta vulgaris L.)
'USH 20'
168
31,4
1.640
Barbabietola da foraggio
(Beta vulgaris L.).

'Mono Rosa'
168
32,3
1.309

                                             Nell'immagine: la batata (Ipomea batatas)


Tab.2.Valutazione energetica d'alcune colture da biomassa cellulosiche.
( Billy, 1999).
Coltura
Resa di biomassa secca
(metric t/ha)
Energia catturata (joule/hg-s.s)
Energia totale
joule/ha
Cynodon dactylon L.
17,9
426 x 103
7625 x 106
Kenaf(Hibiscus cannabinius L.)
11,2
620 x 103
6944 x 106
Zea mays L.
6,72
701 x 103
4711 x 106
Festuca arundinacea Schreb.
7,8
557 x 103
4345 x 106
Pioppo
Variabile
586 x 103
Variabile

La coltura d’etanolo oggi maggiormente diffusa è il Mais (Zea mais) che negli Usa è la coltura principale del settore bioenergico, cionostante è una coltura high input con bilancio energetico decrescente da decenni. Il mais produce 2.000 l/ha d’etanolo. La resa non è molto alta rispetto ad altre piante, ma l’utilizzo degli scarti come gli stocchi e tutoli per farne foraggi ealtro ne rende il prezzo competitivo. In futuro saranno realizzati ibridi azoto dipendenti con simbiosi con i microrganismi Azospirillum spp. Secondo i dati di Pimental l’input energetico nella coltura di mais tra il 1950 ed il 1970 è passato negli Usa da 11.000 a 26.700 Mj /ha nonostante il notevole aumento d’energia il prodotta l’efficienza è calata del 11 %.  Allo stato attuale una maggiore produttività del mais ad esempio comporta più alti costi energetici per unità di prodotto, ciononostante il bilancio energetico del mais risulta più favorevole d’altre colture.
 Secondo Phispps e Pain il rendimento energetico per ettaro, vale a dire la quantità d’energia metabolizzabile prodotta in rapporto a quella consumata (esclusa l’energia solare) è per il mais 3,2. Nei paesi industrializzati la meccanizzazione incide per il 57% e la fertilizzazione per il 39%, mentre l’irrigazione e la difesa per il 4 %.

G.N.