giovedì 26 febbraio 2015

I FIORI NELL’ALIMENTAZIONE DELLO STATO DI VERACRUZ

I fiori del Gasparito o anche detto Colorin Grande o Equinite  sono molto apprezzati in cucina nella regione centrale dello Stato di Veracruz.

I nomi comuni corrispondono alle specie: Erythryna americana e E. coralloides della famiglia delle leguminose. 
Viene consumato fritto con  uovo dopo una bollitura leggera in soluzione alcalina e ripetuti lavaggi in acqua corrente per togliere il sapore amaro dovuto agli alcaloidi. Vuole un clima caldo temperato suoli soffici e poca acqua e pote invernali d’alleggerimento.
Il nome di “Colorin” trova origine dalle differenti tonalità che assume la pianta nelle varie stagioni in inverno rosso per i fiori, in estate verde, in autunno giallo. E’ un albero alto fino a 6 metri  con foglie composte da tre lamine, è una caducifoglia. I fiori crescono uniti in infiorescenze, dando un grande valore estetico all’albero. Si coltiva a pieno sole o penombra.
Il Gasparito a Cordoba dalle testimonianze che abbiamo raccolto sembra essere molto apprezzato, sia per l’abbondante e copiosa fioritura e quindi il lato alimentare sia per il lato ornamentale e agronomico. Dopo il “palo morado” è l’essenza arborea preferita per fare da siepe di confine nei campi, inoltre è scelta come pianta di sostegno per la vaniglia perché è di crescita rapida ma al contempo perde le foglie in inverno e questo favorisce la crescita della pianta a cui fa da tutore che può ricevere sempre la massima esposizione solare e viene anche concimata dalla caduta delle foglie. Nell’area di Puebla con i termini:  gasparito, pichoco, ihahni, colorin; s’identifica invece la specie dell’Erythryna Caribea  o  berterdana della famiglia delle leguminosae (Tab.7)  e che si usa come colorante. La corteccia bollita e applicata in vaporizzazioni e usata contro il dolore dei denti (Mexico Desconocido, 2000). Il genere Erythrina contiene gli alcaloidi: eritrina, erisotisvina, alfa e beta eritorodina, iperofina, eritrotina, eritralina e acido cianidrico (Cano, 1998). Vuole un clima caldo temperato suoli soffici e poca acqua e pote invernali d’alleggerimento.
Col nome popolare di Cempoalxochitl d’origine nahua  e il corrispettivo spagnolo  “flor de muerto” è identificata la specie Tagetes erecta L (Tab.7)


Il nome cempoalxòchitl proviene da due vocaboli nahuas: cempoalli que significa “venti” e xòchitl che significa fiore, ovvero pianta dai molti fiori.
I flavonoidi quercetagina e quercetagitrina vi sono solo durante la tappa della fruttificazione. L’ingestione eccessiva può causare aborto nelle donne gravide.
La pianta si usa per adornare altari familiari dedicati ai defunti il giorno dei morti il 2 novembre. Si consuma tradizionalmente in una zuppa. Si conserva bene disidratato. (Malvaiz et alii, 1998).
L’infusione fatta con i fiori in Cuetzalan si usa per disinfettare il ventre, in Xicotepec si usa per la dissenteria e le coliche biliari, e le infermità di stomaco. In generale nello stato di Veracruz nella medicina popolare viene usato per problemi di stomaco grazie alle sue proprietà disinfettanti e carminative, antidiarroico, per le coliche biliari e colagogo per il suo principio amaro e come calmante del sistema nervoso, per il dolore agli orecchi (Cano, 1998).
E’ usato come vermifugo per i parassiti intestinali con impacchi caldi delle foglie sul ventre e decotti (Mexico Desconocido, 2000). In olio i fiori danno un colorante
alimentare. L’apparato radicale  e la pianta è usata come sovescio utile per abbattere il livello dei mematodi in terreni colturali adibiti a monosuccessioni di patata.
Con i termini popolari: cocuite, pague, piagui; è identificata la specie Gliciridia sepium San Jose (Tab.7), con sinonimi G.maculata Steudel, Robinia sepium Jacq. (Cano, 1998). Il suo fiore è mangiato fritto con le uova. La pianta viene usata come antipiretico e sudorifero, analgesico e per i colpi di calore nella medicina popolare. Dalle testimonianze raccolte è il più dolce tra i fiori  consumati nello Stato. Con il termine popolare di Tepejilote nella regione centrale dello Stato di Veracruz s’identifica la Chamaedorea tepejilote (Tab.7), appartenente al subgenere stephanostachys. Le infiorescenze di questa palma che si mangiano dopo bollitura in acqua alcalina sono passate nella chiara d’uovo e impanate, quindi fritte o semplicemente  bollite e conservate in aceto. Sono leggermente amare.
Per tradizione viene consumata solo l’infiorescenza maschile e più raramente la femminile più amara. Del genere Chamaedorea segnalo l’utilizzo della Chamaedoroea quezalteca e Chamaedorea whitelockiana le cui infiorescenze in altre parti del paese si mangiano allo stesso modo. L’infiorescenza maschile dall’intenso



colore giallo raccolta in uno spadice verde chiaro viene chiamata pacaya in Guatemala dove è molto consumata in un piatto denominato: bojon; costituito dalla giovani  foglie, infiorescenze e getti immaturi raccolte in bottone, della camedora, il sapore è più dolce e soave. E’ frequente l’uso nella farmacopea tradizionale.
Col termine popolare di “Flor de Iczote” s’identifica invece la Yucca sp.(Tab.7), delle Agavaceae  la cui infiorescenza si mangia alla stregua del tepejilote o anche in umido sempre però dopo bollitura e scolatura come preliminari agli altri procedimenti di cottura. Il sapore è dolce e aromatico. La consistenza al palato è soave e croccante allo stesso tempo. E’ una pianta originaria del Messico il cui nome scientifico dipende dalla somiglianza con i piedi dell’elefante delle foglie. E’ un’erbacea dalla forma arborea, alta fino a 4 metri e foglie lunghe fino ad un metro terminanti  in una lunga spina. I fiori si riuniscono in un’infiorescenza in forma di spiga dal colore bianco con aroma piacevole. E’ una pianta originaria delle zone aride del Messico e quindi la sua coltivazione non richiede molta acqua, va piantata in pieno sole o penombra. E’ molto rustica ma non tollera eccessi d’umidità. La fibra ottenuta dalle foglie è  chiamata “Cuaxtle”. Viene utilizzata nel vestiario e calzature in alcune comunità indigene (Mexico Desconocido, 2000).
Il Phaseolus coccineus (Tab.7) della famiglia delle Leguminosae detto “Frijol” viene  consumato sia come legume che come infiorescenza. E’ una pianta arrampicante delicata dal culmo verde-marrone chiaro; i fiori sono di colore  rosa pallido. Ha un alto valore agronomico (Valdès Et Al. 2004) è ed è immancabile negli  orti familiari nell’area di Cordoba e Zongolica ove è mangiato stufato con salse di pomodoro.
La zucchina comune o Cucurbita pepo L. è usata  sia in Messico che in Italia nella cucina, passato in pastella e poi fritto in Italia nel Sud mentre è consumata nelle famose “quesadillas” (Fig.19-29) a Orizaba e Cordoba preparate con formaggio, epazote (Chenopodium sp.) e fiori.




Tab. 7 - Fiori commestibili utilizzati nelle aree di studio
 Nome scient.
Nome in verbacolo
Famiglia
Località
Usi culinari
Usi medicinali
Chenopodium ambroisioides
Epazote
Cenopodiacee
Cordoba
Tamales, tortillas.
Antisettico e digestivo
Erythrina americana (Fig.25)
Gasparito, Colorin
Fabaceae
Cordoba, Tezonapa.
Infior. Fritta
Cordoba
Yucca aloifolia,
Yucca elephantipes, Yucca filifera
Iczote, palmito
Agavaceae
Cordoba, Paso del Macho, Tezonapa.
Infior. Fritta
Cordoba è usato contro la leucemia
Chamaedora  tepejilote
Tepejilote
Palmaceae
Tezonapa.
Infior. fritta

Bougainvillea spectabilis
(Fig.23)
Buganvilia
Nictaginaceae
Cordoba
Fiori in salse e con carni

Tosse,bronchitinfuso dei fiori.
Euphorbia leuacephala,
pulcherrima.

Noche buena
Euforbiaceae
Cordoba
crema di fiori con carne 

Cucurbita pepo
Calabaza
Cucurbitaceae
Cordoba e tutto il Messico.
Fiori, frutti

Digestivo,
antielmintica
Quassia tomentosa
(vedi Fig. 26)
Cuazia
Fabaceae
Cordoba
Infior.
fritta
Antipiretico,
digestivo
Dahlia coccines
Dalia
Composite
Cordoba
 Tuberi, petali

Magueyes spp.
Agave pulquero
Agavaceae
Zapotitlan
Infior.
Ulcere, gengive,alopecia.
Aloe vera L.
Sabila
Liliaceae
Cordoba, tezonapa
Infior.
Emoliente
Anticanc. Cicatrizzante






Nome
Nome in vernacolo
Famiglia
Località
Uso
Proprietà
Chiranthodendron pentadactylon

Manitas
(fig.22)
Sterculiaceae.
(Larrea)
Cordoba, Tezonapa
Fiori medicinale
Cardiopatie
Tagetes erecta
Cempazuchitl
Asteraceae
Cordoba
fiori in zuppe

Spathiphyllum cochlearispatum
Chile de gato(Fig24)

Areaceae
Tezonapa
Fiori
Arrostiti e conditi con chile
Hibiscus sabdariffa
Jamaica
Malvaceae
Cordoba
Fiori
Infuso dei fiori
Astrocaryum mexicanum

Choco
Areaceae
Tezonapa
Infior.

Neobuxbaumia  tetetzo
Tetezo, tetecho
Cactaceae
Zapotitlan
Fiore bollito e fritto

 Bromelia pinguin

Cardon borrego
Bromeliaceae
Paso del macho
Infior.bollita

Glicirida sepium
Cocuite
Fabaceae
Paso del Macho
Fiore con uova

Anoda cristata
Alache
Malvaceae
tezonapa
Fiore in zuppe

Ferocactus
pilosus  

Viznagra, Cabuches
Cactacee
Zapotitlan
Fiore fritto dopo bollito

Opuntia  streptacantha
Nopales silvestre
Cactacee
Zapotitlan
Cladodi

Myrtillocactus geometrizans
Garambullo
Cactacee
Zapotitlan
Fiore



 G.N.

mercoledì 18 febbraio 2015

INDICE LCA (Life Cycle Assestment).

Proseguiamo nel nostro percorso di conoscenza sui metodi d'analisi per la resa energetica.

Il sistema LCA è un metodo d’analisi basato sul ciclo della vita detto LCA, che permette di determinare la resa energetica (EROEI) e di confrontare le tecnologie su basi oggettive e non legate alle oscillazioni economiche del momento o sul supporto occulto o palese del governo.
E’ l’evoluzione della tecnica d’analisi energetica, un approccio totalmente nuovo all’analisi del sistema agro-industriale perché dà una visione d’insieme.
Grazie alla LCA possiamo capire se il processo produttivo va nell’ottica dello sviluppo sostenibile per conservare le risorse naturali e minimizzare l’effetto serra.
L’approccio di questa metodologia è l’analisi sistematica che valuta i flussi di materia ed energia durante tutta la vita di un prodotto dall’estrazione della materia prima alla produzione, all’utilizzo, fino all’eliminazione del prodotto una volta finito.
Considerando le operazioni dell’intera catena produttiva nel loro complesso appaiono lati oscuri che sono messi in evidenza.
L’analisi LCA è una raccolta completa di tutti i dati concernenti, la fabbricazione di un prodotto con l’obiettivo di creare un sistema informatico di gestione ambientale in grado di tenere sotto controllo le emissioni di CO2, i consumi di risorse e gli effetti connessi.
LCA è fatta per evidenziare i punti deboli del processo e intervenire per diminuire l’impatto ambientale del prodotto o per comparare differenti prodotti e fare delle scelte.
La metodologia LCA è uno strumento di valutazione di scenari alternativi utilizzandola in altre parole come strumento in supporto alle decisioni (Cosentino, 2004).

FASI LCA

LCA è composta di diverse fasi susseguenti:
individuazione di scopi e obiettivi; inventario; analisi impatti; interpretazione e miglioramento.


INDIVIDUAZIONE DI SCOPI E OBIETTIVI:

sono definite le finalità dello studio, l’unità funzionale e i confini del sistema analizzato, dati necessari, eventuali assunzioni e procedure di verifica.
E’ importante studiare cosa intendiamo per punto d’inizio e punto di fine analisi del processo. Per unità funzionale occorre intendere la proiezione quantificata e per questo misurabile e oggettivamente riscontrabile d’un prodotto da utilizzare come unità di riferimento in uno studio LCA.

ANALISI INVENTARIO:

individuare tutti i flussi dalle diverse fasi del processo al prodotto finale.
In questo secondo step sono contabilizzati i flussi delle materie prime delle emissioni e dei loro componenti (individuati e quantificati i flussi in ingresso e uscita di un sistema prodotto lungo tutta la sua vita, i dati relativi vanno specificati al massimo per quel determinato processo, territorio, metodologia usata).
Serve una gran quantità d’informazione non sempre accessibile e per lo più si basa su dati trovati da altri e su altri lavori adattati con le conseguenze d’analisi poco oggettive e che cambiano in base all’autore di riferimento.

VALUTAZIONE IMPATTO:

L’analisi dell’inventario è lo strumento di base per valutare la portata dei possibili impatti dell’LCA. In generale il procedimento comporta l’associazione dei dati dell’inventario a specifici impatti (classificazione).
Nell’LCA un impatto è il risultato fisico immediato in una data operazione che è associata con uno o più effetti ambientali: con la correlazione dei consumi e delle emissioni (inventario) a specifiche categorie d’impatto  riferibili ad effetti ambientali conosciuti si quantifica il contributo complessivo che il processo o il prodotto arreca agli effetti considerati. L’impatto è rappresentato da valori numerici.
Gli specifici effetti  caratterizzanti le varie categorie d’impatto sono: effetto serra, assottigliamento fascia ozono, acidificazione, eutrofizzazione, formazione di smog fotochimico, tossicità per l’uomo e l’ambiente, consumo di risorse non rinnovabili in termini d’energia e materiali.
Dal punto di vista operativo la classificazione consiste nell’organizzare i dati dell’inventario, in altre parole i valori di tutte le emissioni: gassose, liquide e solide; provocate direttamente e indirettamente dalle operazioni considerate e distribuendoli nelle varie categorie d’impatto.

INTERPRETAZIONE E MIGLIORAMENTO:

Si valutano in questa fase le opportunità per minimizzare l’impatto associato ad un prodotto. Sono disponibili software per fare analisi dell’impatto ambientale. Si cercano le varie proposte di miglioramento e s’analizzano costruendo i vari profili ambientali

(Cosentino, 2004).

LIMITI

I limiti e i significati dell’applicazione LCA  riguardano la soggettività nella scelta delle fonti dei dati e l’individuazione dei confini del sistema.
La cosa più difficile è recuperare dati attendibili e definire entro quali confini ci si muove (se questi sono troppo ristretti, s’ottiene un processo pulito e invece si sposta il problema più a monte o più a valle della filiera). Non viene considerata la scala spazio temporale e non si considerano le variabili di tipo socioeconomico.
In breve l’analisi LCA è un primo passo verso una direzione univoca progettare gli impianti e le attività produttive non considerando solo variabili di tipo economico ma basandosi anche sull’impatto ambientale al fine d’ottenere la soluzione migliore e un processo agro-industriale sostenibile. Tutto ciò grazie ai limiti alle emissioni poste dal protocollo di Kyoto (Chiaramonti, 2004;Riello, 2003).

ESEMPI DI CALCOLO

Per chiarezza, riportiamo adesso uno studio LCA fatto dall’università di Padova su 450 aziende nel Veneto su alcune colture tradizionali per la produzione d’olio da autotrazione (Riello, 2003). Le colture sono la colza e il girasole.
La filiera di produzione energetica è considerata nel suo complesso dalla coltivazione all’allevamento. La dimensione delle aziende del progetto varia molto così come la loro specializzazione con ripercussioni sull’analisi LCA che diviene più complessa e con dati finali non prescindibili dalle specifiche situazioni d’analisi adottate.
La colza e il girasole danno rispettivamente rese ha di 2.665 kg e 3.000 kg con un bilancio della CO2 favorevole tanto che la quantità d’anidride carbonica complessivamente sottratta all’atmosfera è di 2.300 e 1.850 kg/ha sottoforma di prodotti e sottoprodotti vari.
Sono stati considerati tutti i sink del carbonio dal sistema suolo (suolo passivo, attivo, lento, strutturale, metabolico), pianta (biomassa radicale, essudati, biomassa aerea) all’allevamento (carne macellata, accrescimento, urine, feci).
Per finire i prodotti, scopo della filiera-olio-energia da usare nei vari scenari ipotizzati sia nell’azienda per riscaldamento che come olio puro e biodiesel da autotrazione per le trattrici, che come produzione d’energia attraverso gruppi elettrogeni modificati per andare ad olio puro (migliori risultati da olio puro per le trattrici, buoni per i gruppi elettrogeni, risultati molto bassi invece per il biodiesel e il riscaldamento) e farina residua d’estrazione da destinare all’allevamento aziendale dei bovini e pollame con il suo alto contenuto di proteine ben il 35-30% e calorie.
Il girasole e la colza coltivati sono utilizzati per arricchire di sostanza organica il terreno tramite l’apporto dei loro residui. Le deiezioni degli animali erano usate per arricchire il terreno di sostanza organica.
Nel calcolare l’LCA è attuato uno studio sulla struttura organica nel terreno e alla fine è svolto un bilancio della CO2 come differenza tra la CO2 fissata e l’anidride carbonica emessa nelle varie fasi di decadimento della sostanza organica.  Il bilancio energetico è risultato essere di 68,97 Gj/ha  come output finale per la colza di cui il 43% del valore energetico totale per l’olio estratto dalla granella, e il 57% è il valore energetico della farina residuo d’estrazione dopo il processo di disoleazione.
Gli input energetici sono stati determinati separatamente (per ogni fase di produzione del metilestere).  Il 72% del costo energetico complessivo è dovuto alla produzione in campo cioè 16,10 Gj/ha.
Girasole, e colza non sono risultate essere coltivazioni low input soprattutto per quanto riguarda la Brassica napus che abbisogna di notevoli input dai quali riesce a trarre grandi aumenti produttivi a differenza del girasole che sfrutta meno gli incrementi agrocolturali (soprattutto azotati).  Richiede la colza almeno il 36% dell’input complessivo sottoforma di concime.  Il girasole invece ha un output energetico complessivo pari a 80 Gj/ha.
La quota riferita all’olio è 54,5%. I costi energetici relativi alla coltivazione sono stati uguali a 21,6GJ per ha, ovvero il 76% degli input totali per l’ottenimento di granella.
I concimi da soli sono il 32,4% degli input concernenti la fase di campo.
Il bilancio energetico delle due colture è  corretto se analizziamo l’intera produzione (olio e farina d’estrazione), ma considerando la sola produzione d’estere questa non permette d’ottenere ampi margini di guadagno. La resa energetica netta per ha su anno è una  misura dell’efficienza dell’uso della terra e può essere usata per attuare un confronto tra energy crops. Per quanto riguarda la CO2, l’emissione dovuta al procedimento di produzione del metilestere (biodiesel) per la colza è pari a 1.506 kg/ha, di cui 1.206 kg/ha per la fase campo di CO2, pari all’80% della CO2 totale emessa.
I carburanti usati durante la fase colturale dalle trattrici sono responsabili del 47,3% delle emissioni. I concimi sono al secondo posto come causa d’emissioni di CO2 con 460 kg di CO2 il 38% della fase campo.
Si tratta di concimi sintetici azotati per lo più e la CO2 calcolata è comprensiva della loro sintesi (filiera di produzione) e degradazione in campo per opera degli agenti microbici.
Il girasole ha un emissione per l’intero processo produttivo del metilestere pari a 1.950 kg/ha, l’80% per la fase campo. La maggior emissione è rappresentata dai carburanti responsabili del 53.1% delle emissioni.
I concimi danno 464 kg di CO2, il 30% della CO2 nella fase campo.
Se analizziamo la CO2 fissata dalle piante e sottratta al sistema al netto degli input colturali (responsabili dell’emissione di anidride nell’atmosfera) la colza si nota funziona  da sink di carbonio meglio del girasole ma ciò è dovuto al fatto che per far posto al girasole le aziende non hanno piantato il mais con l’alta opera di immobilizzazione di CO2 operata da questa coltura. Il 57,4% della CO2 fissata è sequestrata dalla pianta e ripartita tra i vari prodotti utilizzabili.  L’olio  o il metilestere ricavato assorbe carbonio fino al suo utilizzo come combustibile e la farina stoccheranno CO2 fino al momento del suo impiego per l’alimentazione animale. Parte di questa CO2 resterà immobilizzata per un tempo più o meno lungo in funzione della trasformazione in altri prodotti come la massa animale e il liquame. 
L’energia spesa per la fase campo aumenta al numero d’operazioni colturali richieste. L’apporto d’azoto è responsabile della maggior parte degli input necessari  ed è meno necessario per il girasole. Il controllo chimico delle malerbe  e le concimazioni sono una forte  sorgente d’emissioni di CO2.
Aumentando l’input si ha una correlazione stretta per la colza e leggermente meno stretta per il girasole in termini produttivi. La colza utilizza meglio alti input, il girasole da rese più alte rispetto alla colza con bassi input.
L’intensificazione colturale è controproducente perchè aumenta l’emissione di CO2 nonostante aumentino le rese perché l’aumento delle lavorazioni, che diventa necessario,  provocano una degradazione della sostanza organica del terreno emettendo CO2 e questi effetti si bilanciano alla fine.
Il guadagno energetico invece è positivo e direttamente proporzionale alla resa colturale.
Per entrambe le colture più aumenta la resa, più si ha un incremento nella quantità di CO2 fissata.
Nella colza la quantità minima di resa necessaria per avere uno stoccaggio di sostanza organica è di 2.647 kg su ha di fronte a 2.666 kg su ha del girasole.
Solo il 50% delle aziende è in grado di stoccare CO2, che aumenta con la resa.
Riassumendo: i risultati ci dicono che la spesa energetica nella fase campo è correlata direttamente con gli input dovuti alla concimazione che sono il costo più importante. L’incremento del costo energetico per le colture  aumenta all’aumentare dell’output conseguibile, quindi ad un aumento della spesa energetica s’ottiene una riduzione del guadagno energetico.  Con l’intensificazione colturale, le colture hanno un incremento delle emissioni. L’effetto dell’incremento delle concimazioni si traduce in una diminuzione  della quantità di CO2 sottratta dall’atmosfera poiché una delle più importanti fonti d’emissione di CO2 è legata alle concimazioni. Nel girasole l’effetto è più marcato perchè all’aumentare degli input azotati non corrisponde un aumento degli output energetici.
L’intensificazione colturale non comporta variazioni nella quantità di CO2 fissata nel terreno, nonostante aumentino i residui colturali.
L’ efficienza d’immobilizzazione della CO2 per entrambe le colture tende a diminuire con l’aumento dell’input energetico.  La maggior efficienza d’immobilizzazione della CO2 è ottenuta dal girasole essendo più rustico delle brassicacee e dimostrando come una coltura low o medium input abbia a questo riguardo efficienze maggiori.
Con questi dati è stato realizzato un software per la valutazione ambientale dell’azienda. Tralasciando il lavoro in esame soffermiamoci ora sugli input e gli otuput scelti per il calcolo del bilancio energetico e della CO2.
La resa in granella della coltura oleaginosa è quantificabile sia come energia generata dal processo di coltivazione  che come sink di CO2, poiché costituita da carbonio.
Tale energia e CO2 richiedono altra energia e anidride per essere prodotte (macchine, combustibili fossili, prodotti) è possibile stilare un bilancio energetico  e della CO2.
Per fare ciò i dati colturali immessi dall’utente (resa coltura, tipo operazioni colturali, erbicidi) sono quantificate e commentate con un giudizio di convenienza ovvero una valutazione di carattere ambientale sull’energia consumata nella gestione della coltura. Ogni processo che utilizza energia, libera nell’ambiente CO2 e il programma tenendo conto della quantità di carbonio contenuta nella biomassa e nei possibili prodotti derivati, dell’anidride carbonica rilasciata nella fase di coltivazione e trasformazione dei prodotti, della quantità di CO2 immagazzinata nei residui colturali e nella sostanza organica del terreno, calcola un bilancio finale dell’anidride carbonica.
Anche qui attraverso le voci del bilancio s’ottiene una valutazione ambientale delle tecniche colturali adottate in termini di CO2.
Vediamo ora gli input e output considerati per una parcella di terreno, per stilare

IL BILANCIO ENERGETICO:

Input: consumo gasolio, lubrificanti, quantità semi, fitofarmaci, concimi, trattamenti, quota ammortamento per la costruzione della trattrice, quota per la manutenzione della trattrice, quota ammortamento per la costruzione dell’operatrice, quota manutenzione operatrice.

Voci negative:
sommatoria energia consumata nella singola operazione colturale, energia consumata nel trasporto dei prodotti, energia consumata nella trasformazione prodotti, essiccazione, macinazione, disoleazione, mutilazione.

Voci positive:
energia nel terreno, energia nei prodotti finali ovvero farina e metilestere 

BILANCIO CO2 :

Voci positive: CO2 stoccata nel terreno, CO2 stoccata nei prodotti finali metilestere e farina.
Voci negative: somma CO2 emessa singola operazione colturale, CO2 emessa trasporto prodotti, CO2 emessa nella trasformazione prodotti (essiccazione, macinazione, disoleazione, mutilazione).
Per la trasformazione in CO2 della quantità di materia si procede attraverso la conversione con coefficienti dell’energia del prodotto.
Il software da come risultati i Gj /ha d’energia spesa e guadagnata.
Costo  energetico della fase campo, costo energetico totale.
Output energetico totale (energia contenuta nel metilestere e nella farina). Guadagno energetico totale = output-input ).
 Analogamente per la CO2 (g/ha) si riporta:

CO2 emessa nella fase di campo, CO2 fissato output totale (stoccata nel metilestere  e nella farina) CO2 sottratta all’atmosfera (fissata totale –emessa totale), CO2 incorporata nel terreno e nella coltura (fissata totale più fissata terreno), CO2 fissata nel terreno,
 CO2 bilancio totale (sottratta atmosfera più fissata terreno).
Alla fine il software da 2 valori d’efficienza uno per l’efficienza d’immobilizzazione della CO2 nella fase campo e l’altro per l’efficienza d’immobilizzazione della CO2 totale calcolata secondo il rapporto: efficienza= CO2 fissata/energia spesa.
Con questi valori si vuole dare un’idea di quanta energia è utilizzata per ottenere uno stoccaggio di CO2 (Riello, 2005).
Nella Tab.1 riporto valori relativi alle emissioni di anidride carbonica in una filiera produttiva di girasole alto oleico destinato all’autotrazione.



Tab.1 Valori relativi ad una filiera di girasole alto oleico destinato all’autotrazione.

(Riello, 2003).



Equivalente energetico
Kg CO2 su ha.
%
Fase di campo
Emissioni dirette
301,85
18,9
Emissioni indirette
1.025,35
64,3
Totale
1.327,18
83,2
Fase d’estrazione dell’olio
Emissioni dirette
246,22
15,4
Emissioni indirette
9,59
0,6
Totale
255,81
16
Fase utilizzo dell’olio
Emissioni indirette
9,59
0,6
Totale
255,81
16
Totali emissioni
1.594,15
100



L’analisi LCA può anche essere usata per comparare la resa di diverse colture da energia e la loro coltivazione a alti e bassi input come fatto dal progetto Tisen con cardo, arundo, miscanto, sorgo var.abetone, mais (Tisen, 2004).
Nel prossimo paragrafo è illustrato il bilancio energetico del progetto Tisen.



Bilancio CO2 equivalente nella filiera bioenergica:

Nel biennio 2002-2004 è stata applicata l’analisi LCA per valutare gli effetti ambientali della produzione di bioenergia da colza, sorgo, miscanto, Cardo cynara in varie zone italiane.
E’ stato poi ottenuto etbe ovvero etil-ter-butil-eter(un alcol) dal sorgo zuccherino e rme ovvero metilestere (estere) la colza.
L’etbe ha mostrato in media un risparmio energetico quasi doppio rispetto agli altri biocombustibili liquidi.
Le categorie consumo di risorse abiotiche ed effetto serra hanno fatto registrare significativi vantaggi a carico dei biocombustibili rispetto ai carburanti fossili.
La CO2 conservata riferita all’ettaro è stata cospicua  per le colture più produttive ovvero l’Arundo donax e il Miscanto, avendo fatto registrare emissioni di CO2 evitate pari a 30 t/ha.  Una serie di categorie d’impatto sono a favore del combustibile fossile quali : l’eutrofizzazione acque, acidificazione dell’atmosfera, esaurimento dell’ozono atmosferico da attribuire essenzialmente ad alcune operazioni colturali che incidono su di loro.
Nel complesso la filiera biodiesel e la filiera produzione d’energia termica hanno fatto avere valori d’impatto ambientale più bassi rispetto alla filiera etbe, questo perchè v’è una fase industriale molto complessa per la produzione d’etil-ter-butil-eter dal sorgo.



G.N.