domenica 25 gennaio 2015

I BIOCOMBUSTIBILI

Con il termine "biocombustibili" per autotrazione s’indicano tutte le sostanze idonee ad essere utilizzate nei processi di combustione dei motori e ottenute da prodotti vegetali, quindi rinnovabili su base annuale o pluriennale. Ora i principali bio-combustibili liquidi utilizzabili al posto dei tradizionali carburanti d’origine fossile sono il biodiesel, prodotto per transisterificazione d’oli vegetali e il bio-etanolo, prodotto per fermentazione di substrati contenenti zuccheri o amidi e successiva distillazione.
L’utilizzo di questi biocombustibili porta a molteplici vantaggi: consentono di tagliare le importazioni di petrolio da altri paesi riducendo la nostra dipendenza dai combustibili fossili; consentono la riduzione dell’immissione in aria di tonnellate di CO2, il principale gas responsabile dell’effetto serra, con la restituzione all’atmosfera della sola anidride carbonica che le piante hanno utilizzato durante la loro crescita; hanno una maggiore stabilità dei prezzi rispetto a combustibili d’origine fossile; infine portano ad un maggiore sostentamento delle zone rurali.

Situazione legislativa

Sia a livello italiano che europeo il quadro legislativo riguardante, la produzione e la commercializzazione dei biocombustibili è in continua evoluzione.
A livello comunitario, l’Unione Europea si è posta l’obiettivo di incrementare il consumo dei biocombustibili nei trasporti dallo 0,3% del 2005 al 5,75% entro il 2010, attraverso la direttiva 2003/30/CE.  In Italia questa direttiva è stata accolta con il D.lg. n. 128 del 13/7/2005  (in G.U. il 12/7/2005, n. 160), ma è oggetto d’opinioni contrastanti.
Questo provvedimento normativo stabilisce che una percentuale prefissata di tutto il carburante impiegato per i trasporti deve essere sostituito con biocarburanti e altri prodotti rinnovabili, ma gli obiettivi nazionali d’immissione al consumo di biocarburanti sono del 2,5% entro il 31/12/2010, significativamente inferiori ai valori stabiliti dalla direttiva europea (Hi-tech ambiente, 2006).
In particolare l’Italia ha tagliato di un terzo la detassazione per la produzione di biodiesel approvando 200.000 t nel 2005, contro le 320.000 t approvate nel 2004, in netta controtendenza rispetto agli altri paesi dell’UE.
In Francia infatti il governo ha deciso di aumentare la produzione fino alla quota di 1,25 milioni di tonnellate nel 2007, agevolando la produzione con tasse sulle attività inquinanti e aumentando progressivamente il contingente di biodiesel prodotto, che permette lo sviluppo di nuove realtà industriali produttive.
Invece in Germania gli incentivi sono fiscali e prevedono una completa detassazione del biodiesel (470 Euro/m³) senza limitazioni di volume.
In Austria è stata recentemente introdotta una nuova legge che penalizza l’uso del gasolio d’origine fossile aumentandone la tassa dai 317 Euro/m³ ai 325 Euro/m³ e detassandolo nel caso di gasolio a basso contenuto di zolfo e se aggiunto per più del 4,4 % di biodiesel.

Tuttavia in Italia la riduzione del contingente di biodiesel detassato è compensata dalla produzione di bio-etanolo, approvato per oltre 79.390 t per i prossimi tre anni.
Affinché i biocarburanti siano competitivi per il mercato, devono essere privi delle normali accise presenti sui prodotti petroliferi (sembra un controsenso, ma anche i combustibili d’origine vegetale sono soggetti da parte dello stato alle accise sui prodotti petroliferi), perché hanno un maggiore costo di produzione, ricompensato con i maggiori benefici che si hanno col loro utilizzo.
In Europa spicca fra tutte la Svezia, dove il primo ministro Mona Sahlin ha lanciato un ambizioso progetto: creare le condizioni necessarie affinché il paese sia in grado di fare totalmente a meno del petrolio entro il 2020.
Per far ciò sono stati indicati una serie d’interventi, fra i quali: sgravi fiscali per la conversione di vecchi impianti funzionanti a petrolio, promuovere la ricerca sulle fonti di energia rinnovabile, investire nel tele-riscaldamento (tecnica che permette di recuperare il calore residuo dalle centrali termoelettriche e dai termo-valorizzatori), favorire l’utilizzo di biocarburanti.
L’istituto tedesco CES-IFO di Monaco ha eseguito uno studio sugli effetti socio-economici ottenuti dalla produzione del biodiesel attraverso la coltivazione della colza.
Ipotizzando di coltivare 300.000 ettari di terreno con la colza, si otterrebbe una resa teorica di 3 t/ha, quindi 900.000 t/anno di semi di colza che elaborati porterebbero a 531.000 t di pannello proteico (residui di lavorazione sfruttabili in altri settori) e più di 350.000 t d’olio di colza, che porterebbe ad ottenere 336.300 t di biodiesel (corrispondenti a circa 858.000 t di CO2 non emessa) e 40.356 t di glicerina (riutilizzabili nel settore farmaceutico).
Secondo questo studio si potrebbero creare fino a 5.000 nuovi posti di lavoro (uno ogni 70 t/anno). Inoltre, i minori introiti statali derivati dalla defiscalizzazione del biocarburante sarebbero compensati per il 70% dalla tassazione dell’aumento del fatturato totale indotto dalla produzione.
Il resto potrebbe essere considerato come un vantaggio sociale e ambientale acquisito, corrispondente ai mancati costi per mantenimento di beni preziosi come la salute, il territorio e per rispettare gli impegni stabiliti a livello internazionale per la riduzione dei gas in atmosfera (Biofox, 2006).



G.N.




martedì 20 gennaio 2015

LE RISORSE ENERGETICHE RINNOVABILI

Come si decide se una risorsa è davvero rinnovabile?
In linea di massima, le risorse rinnovabili hanno un tempo medio di rigenerazione plausibile col loro stock e con il consumo corrente dello stesso.
A questa definizione aggiungiamo due elementi chiave ovvero: disponibilità, sicurezza e in una parola sostenibilità.
Vengono dette tali e correntemente usate: l’energia solare, l’energia eolica, le maree, l’energia geotermica, l’energia idroelettrica, la biomassa.
L’atomica, già da 50 anni una realtà, può sostituire da sola i combustibili a base di carbonio tradizionali per la produzione d’energia ma ha concreti svantaggi nell’eliminazione  delle scorie, nell’elevatissimo potenziale rischio ambientale e non è inclusa nel gruppo delle rinnovabili perchè esauribile.
Grandi speranze sono racchiuse nella fusione nucleare ma per ora la ricerca è di fronte ad ostacoli tecnici. Nessuna di queste energie rinnovabili può aspirare ad essere la predominante in un prossimo futuro ma solo a far la sua parte insieme alle altre fonti per contribuire ad una sostituzione parziale o totale dei fossili non sostenibili.
Nel futuro si va verso un insieme ben assortito di varie energie alternative usate  per sostituire la penuria di fonti alternative e lo sviluppo e la commercializzazione di quelle esistenti va di pari passo alla riduzione totale dei consumi mondiali, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie unite alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica per abbattere gli sprechi e favorire il riciclo (Tab 1.6.1).
Di fronte a questi intenti s’oppone il potentato formato dalle lobby petrolifere, i paesi produttori e i politici che in conformità a logiche speculative s’oppongono o rallentano l’avanzare dell’ energia alternativa.
Il protocollo di Kyoto da solo non basta per favorire le rinnovabili, è solo un inizio, ma le energie alternative sostenibili non sono concorrenziali ai fossili per il mercato economico e se non adeguatamente incoraggiate soccombono inesorabilmente senza conquistare quegli ampi e duraturi settori di mercato, indispensabili a contrastare l’effetto serra.
Il problema nasce dal fatto che il mercato lasciato a se stesso ragionando per meri mezzi economici, non computa alle rinnovabili i bassi costi per la collettività in termini di salute pubblica e il valore aggiunto creato nella filiera di produzione.
Le energie rinnovabili sono chiaramente la scelta unica, unita all'uso delle innovazioni tecnologiche, per limitare le emissioni di CO2 e far fronte all'esaurimento progressivo dei combustibili fossili.
Le maggiori fonti d’anidride sono divise in  due  parti la CO2 derivante dalla produzione d'energia elettrica e quella derivante dalla combustione dei carburanti per autotrazione.

Tab.1 Produzione mondiale d’energia elettrica (Riello, 2003).


                                 Nel 2002
                                 Nel 2030
Carbone
37%                        
39%        
Gas
17
31
Idroelettrico
17
13,5
Nucleare
16
9,5
Petrolio
11
4
Altre rinnovabili
2
5
Totale
15.500 Twh
31.000 Twh



L’energia elettrica prodotta con i combustibili fossili ha un costo in termini di produzione d’anidride carbonica elevato (tab 1.6.2). 
Si pensi che per far fronte al consumo di 3.300 famiglie in un anno (che è di 10.000.000 Kwh) bisogna produrre 7.000.000 Kg di CO2 e per riassorbirla bisogna piantare qualcosa come 3.000 alberi. Non tutte le energie rinnovabili sono esenti da emissione anzi l’analisi LCA trattata più avanti cerca di capire come ridurle o annullarle ( Pietrogrande, 2005 ).
La tabella 1.6.2 permette una facile visualizzazione del confronto in termini di CO2 emessa e milioni di tonnellate equivalenti di petrolio tra l’energia fossile e la rinnovabile.


G.N.

domenica 18 gennaio 2015

LE ENERGIE NON RINNOVABILI

Oggi stiamo consumando ed esaurendo le energie fossili del nostro pianeta ed essendo il loro tempo di rigenerazione talmente lungo da andar ben oltre la storia dell’umanità, codeste energie sono dette fonti energetiche non rinnovabili. Tra queste il più usato è sicuramente il petrolio liquido, denso scuro, maleodorante, ad altissima densità energetica, facilmente estraibile e con una struttura talmente complessa da essere fonte infinita di derivati (industria plastica, farmaceutica). Fatti questi che fanno preferire “l’oro nero” al  carbone che detiene una minore densità energetica, complessità e una difficile estrazione e anche al metano che è meno versatile essendo un gas e con minore densità energetica (a parte le nuove tecnologie di liquefazione che se diffuse lo renderebbero di molto più competitivo (Robert, 2006).
Si prevede da stime (Cti, Assobiodiesel, 2006) fatte che le risorse mondiali di petrolio non vadano oltre i prossimi cinquanta anni. Questa stima è allargata perché considera al suo interno un’evoluzione tecnologica costante che renda possibile l’estrazione da giacimenti poco accessibili e raffinazione di materiale grezzo di bassa qualità come le sabbie bituminose, con rapporto energia spesa/energia ottenuta bassissimo (addirittura negativo per le sabbie bituminose secondo il Cti. Centro Termoelettrico Italiano).
Un’ evoluzione tecnologica costante che richiede un approfondita ricerca, che richiede fondi che invero potrebbero essere più utili per lo sviluppo di fonti rinnovabili d’energia e il miglioramento di quelle  esistenti. Ancora oggi la ricerca per l’energia fossile riceve più fondi pubblici delle rinnovabili  (Sheehan 1998, Specogna 2006).
Secondo le previsioni dell’Opec, la domanda “d’oro nero” dovrebbe aumentare per i prossimi 15 anni arrivando a toccare un livello giornaliero di 100 milioni di barili rispetto agli attuali 80 milioni. Ad esempio se la richiesta aumenta del 20%, il prezzo aumenterà del 30% arrivando ai 100$ al barile ( brent = petrolio grezzo) e potrebbe tranquillamente toccare i 120$ al barile senza che la domanda subisse variazioni nel suo costante incremento dato l’ingresso nel novero delle potenze economiche dell’India e della Cina, paesi poveri di petrolio. La capacità estrattiva dei maggiori fornitori di petrolio sembra arrivata ad un livello di massimo da cui non può che iniziare la discesa.

Per Harry Tchilinguiran, analista dell’Iea (International Energy Agency) di Parigi le estrazioni addizionali di petrolio potrebbero portare alla luce materiale pesante che necessità di un processo di raffinazione molto particolare per poter essere immesso sul mercato. In assenza di questo non è conveniente aumentare il livello di drenaggio delle pompe, di qui il profilarsi del problema energetico. Le stesse multinazionali del petrolio stanno investendo nella commercializzazione del biodiesel e del bioetanolo usando la propria rete di distribuzione già esistente (www.aspo.it, 2007). Vi è tra l’altro una probabile forte collisione d’interesse tra la classe politica dei paesi forti importatori di petrolio, le multinazionali petrolifere e la classe dirigente della maggior parte dei paesi produttori di petrolio. I paesi consumatori possono tassare del 50% il petrolio importato essendo un bene essenziale (Robert, 2006), risanando i conti pubblici e al contempo  scaricare  la colpa dell’alto prezzo sulle multinazionali del petrolio e sui paesi produttori.
Le ditte del settore energetico invece cercano in tutti i modi di accaparrarsi i diritti di estrazione nei Pvs al minor prezzo e di mantenere queste concessioni il più a lungo possibile, per far ciò sono disposte a qualsiasi cosa, non ultima la corruzione dei governanti e degli esponenti politici spesso iscritti nel loro libro paga.
Il mercato dei combustibili fossili è un mercato drogato da una domanda in costante rialzo (Robert, 2006). I consumi energetici mondiali sono in continuo aumento.
Nella sola Unione Europea il consumo di energia è di circa 1.370 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) dei quali il 42 % derivanti da petrolio e la rimanente parte proveniente dal gas naturale, dai combustibili solidi e da altre fonti.
Da questo ne deriva un consumo pro-capite medio di 3,7 t di petrolio.
La conseguente produzione annua d’anidride carbonica (il principale prodotto della combustione) ammonta a 3.496 milioni di tonnellate, corrispondenti ad una media di 9,4 t/pro capite (in Italia 7,5 t).
Stime recenti mostrano che il fabbisogno energetico aumenterà nel 2010 a 1.571 Mtep (+15%) e nel 2020 a 1.637 Mtep (+20%). (Collina, 2006; www.biofox.com).
Tuttavia i consumi non possono incrementare indefinitamente a causa d’ovvie implicazioni politiche, ambientali e socio-economiche.
Un ulteriore problema è dato dall'esplosivo aumento dei consumi dei paesi in via di sviluppo (PVS), i cui consumi variano tra 0,5 (Africa e Asia meridionale) a 1,9 t/anno (America Latina) per persona.
Nei Pvs, vivono 4,5 miliardi di persone, vale a dire 85% della popolazione mondiale. Il principale obiettivo è quello di ridurre i fabbisogni energetici e il relativo impatto sull'ambiente attraverso processi, macchine e impianti più efficienti, risparmio energetico e ricorso alle fonti energetiche rinnovabili (www.biofox.it).
I giacimenti noti di combustibile ammontano a 1.000 miliardi di tonnellate di carbone, 141 miliardi di tonnellate di petrolio e a 145 miliardi di tonnellate di gas, a fronte d’un consumo medio di 10 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio, emettendo nell’aria 20 miliardi di tonnellate di CO2.
Entro 45 anni le riserve di petrolio saranno esaurite, nel 2066 quelle di gas mentre il carbone s’esaurirà solo nel 2300 ( www.aspoitalia.net, 2006 ).
Non si può pensare di saziare la nostra sete d’energia con il carbone dal prezzo molto competitivo nonostante i rischi estrattivi, perché a parità di Megajoule generato dà un terzo d’anidride carbonica in più del petrolio e il doppio del gas (www.enitecnologie.it, 2006).
L’ENEL Italia e altre grandi industrie elettriche si stanno però muovendo verso la conversione di parte delle nostre centrali elettriche nazionali a petrolio e olio minerale in centrali a carbone “pulito”, ovvero centrali i cui gas esausti sono captati e ripuliti attraverso filtri, poi i gas esausti sono compressi e liquefatti per essere convogliati in centrale.
Uno dei prodotti di scarto in questo processo è tra l’altro l’idrogeno. Il bilancio energetico di tali centrali è molto contraddittorio e per alcuni analisti ancora proibitivo
(Robert, 2006. Enel-Italia, 2007).



G.N.

giovedì 15 gennaio 2015

I FIORI EDULI IN MESSICO

I fiori da sempre hanno avuto grande importanza nella vita quotidiana dell’uomo in ogni cultura.
Nel Messico preispanico le piante rivestivano un importante ruolo religioso e sacrale all’interno dei complicati riti e nelle numerose festività.

Il mais (Zea mays L.) e l’amaranto (Amaranthus sp. L)  ad esempio erano divinizzati ed oggetto di riti che culmivano spesso nel sacrificio umano
Un abitudine poco conosciuta e meno cruenta, era l’attitudine della popolazione preispanica  a sfruttare i fiori come alimento. Sicuramente attirati dal colore, profumo, ma sopratutto per arricchire di proteine e vitamine l’alimentazione basata sul mais, in un paese dove le piante trabboccano di fiori.
Cosicchè usavano i fiori di zucca detti ayoxòchitl in Nahua come ripieno in tortillas e tamales, altri come il fiore dell’Izote (Yucca philiphera L.), del maguey (agave tequilano), del frijol (Phaseolus coccineus L.), del colorìn o gasparito (Erythrina americana Mill.), l’infiorescenza della palma Chamaedorea tepejilote e del chile de gato (Spathiphyllum cochlearispatum)  dal forte sapore speziato erano contorno e piatto forte della cucina quotidiana  (Malvaiz A. et al, 1998).
Probabilmente in questo inusuale e diffuso consumo di fiori nella cucina preispanica potremmo trovare alla base credenze culturali. Sicuramente per molte delle antiche culture mondiali e per l’odierna fitoterapia, le gemme e i boccioli fiorali racchiudono in se tutta l’energia della pianta in potenziale, che sta per schiudersi.
Gli spagnoli dopo la Conquista introdussero in Messico la jamaica ovvero il fiore dell’ Hibiscus sabdariffa L. - detto ‘karkade’ in Africa orientale da dove è originario, la rosa (Rosa L.) e l’arancio (Citrus x aurantium L.).
Oggi il Messico non ha dimenticato del tutto l’antica attitudine che si riflette nella sua gastronomia specialmente nello stato di Veracruz dove questa tradizione si è tramandata in modo particolare. In questa pregiata sintesi dell’opulenza europea e della semplicità indigena abbondano i fiori nelle famose quesadilles di formaggio con l’epazote e fiori di zucca (Cucurbita pepo L.) fatte a Orizaba e Cordoba, saporite tortillas indigene aromatizzate con profumati fiori d’arancio o dolci a base di petali di rose.
Per accompagnare il lauto pasto non può mai mancare l’agua de sabor un
rinfrescante infuso a base di Jamaica.
La maggior parte dei fiori sono cucinati capeados ovvero bolliti, scolati e poi passati nell’uovo sbattuto e saltati in padella o guisados ovvero bolliti e poi cucinati in sughi e zuppe con carne e spezie.    Da notare che data la presenza d’alcaloidi in molti fiori (Sotelo et Al 2007) è indispensabile bollire l’infiorescenza con acqua e un soluto alcalino come può essere ad esempio la cenere del focolare o il carbonato di calcio in questo modo è abbassata la concentrazione d’alcaloidi tossici presenti nel fiore che sono solubili in soluzione alcalina, e in sequenza allontanare quest’acqua e risciacquare sotto acqua corrente (Scarpa, 1980). Quest’importante accorgimento non sempre viene rispettato oggi giorno, ma date le basse dosi assunte non  siamo comunque nel campo della tossicità. 

G.N. 

martedì 6 gennaio 2015

COS'E' L'EFFETTO SERRA



Ormai anche i bambini sanno che l’anidride carbonica rilasciata nell’atmosfera è la causa principale dell’effetto serra. Il petrolio basterà per i prossimi 40 anni (Veziroglu, 2004) ma la terra subirà profondi e devastanti cambiamenti climatici entro i prossimi 30 anni a causa dell’eccesso di gas serrogeni nell’atmosfera (Robert, 2006).
I cambiamenti climatici in atto, causati dall’attività antropica, in un processo iniziato con la rivoluzione industriale, dato che la temperatura del pianeta è aumentata di 0,6 gradi dal 1861 (intergovernmental panel on climate change, IPCC), porteranno ad un incremento della temperatura terrestre di 2-6 gradi, entro il 2100.
 Codesto aumento comporterà: lo scioglimento dei ghiacciai dei poli con la conseguente cessazione di regolazione climatica effettuata dai suddetti; l’aumento del livello del mare di 8 cm, che inglobando acqua dolce invertirà le proprie correnti (la corrente del golfo cesserà) ed essendo più caldo assorbirà meno anidride carbonica aggravando il problema. Questo può sembrare uno scenario apocalittico ma in realtà e molto meno di quello che può accadere, il quale oggi giorno non è prevedibile se non a grandi linee e per sommi capi.
Il susseguirsi di cambiamenti climatici drastici sulla terra avviene da molto prima dell’avvento umano. Fasi di riscaldamento e raffreddamento fanno parte del sistema terra e sono naturali, ma è la  velocità con cui questi avvengono a determinare la differenza.
Il riscaldamento terrestre avviene ad una velocità mai verificatosi prima nella storia del pianeta (Robert, 2006). Ogni cambiamento climatico permanente porta ad un progressivo adeguamento degli esseri viventi alle nuove condizioni ambientali ma, se è troppo drastico, esso supera le reali capacità d’adattamento generando estinzioni di massa.
 Lo stesso per l’essere umano, il quale avendo accesso ai flussi energetici ausiliari può contrastare le condizioni climatiche avverse per molto più tempo, ma pagando un prezzo molto alto dovendo ridisegnare la sua distribuzione sulla superficie terrestre, e far fronte all’aumentata instabilità climatica e alla penuria di cibo conseguente la trasformazione in deserto dei terreni oggi più fertili.
Qui di seguito riporto le conclusioni del terzo rapporto dell’International Panel on Climate Change*:
1) le temperature medie sulla superficie terrestre sono aumentate di 0,6 °C dal 1860;
2) è sempre più evidente che gran parte del surriscaldamento rilevato nel corso degli ultimi 50 anni sia da attribuire alle attività umane;
3) se non si adottano azioni correttive, la temperatura media al termine di questo secolo sarà salita d’altri sei gradi;
 4) a causa del riscaldamento l’atmosfera diverrà energicamente più attiva ed in generale i valori climatici più estremi: le zone umide saranno ancor più piovose, le aree secche più aride, gli eventi meteorologici più intensi;
5) i cambiamenti saranno più accentuati sulle zone continentali dove vivono cinque miliardi di persone: tra le zone più colpite l’Asia centrale, l’Africa, l’Europa centrale;
 6) sussiste un forte rischio di discontinuità climatica improvvisa, riconducibile alle pressioni sull’ecosistema che il riscaldamento globale può apportare;
7) una possibile conseguenza sarebbe l’arresto della corrente atlantica che assicura all’Europa nord occidentale una temperatura di venticinque gradi superiore alla Siberia;
8) l’innalzamento della superficie  dei mari dovuto all’aumento della temperatura continuerà per centinaia di anni anche dopo che la temperatura dell’aria si sarà stabilizzata, alcune zone sono già condannate;
 
9) la creazione di “pozzi d’assorbimento dell’anidride carbonica” (riforestazione ad esempio) può contribuire solo marginalmente ad attenuare l’aumento delle temperature e non sono tutti chiari i meccanismi alla base della sua efficacia;
10) per fermare l’aumento delle temperature è necessario che le emissioni di gas serra siano ridotte in tempi brevi in modo da contrastare in tempo utile l’innalzamento della temperatura (* Organismo internazionale scientifico nominato da tutti i paesi del mondo per lo studio dei cambiamenti climatici), (WWF-Italia, 2007).        
 
 
G.N.

venerdì 2 gennaio 2015

CENNI SUL PROTOCOLLO DI KYOTO

Le potenze mondiali dopo un percorso molto lungo e pieno di controversie si riunirono a Kyoto in Giappone dove stipularono un protocollo per la riduzione delle tonnellate d’anidride carbonica e gas serra emessi dalle loro economie.
All’interno del protocollo importanza è data all’incentivazione tecnologica e soprattutto all’uso e sviluppo delle fonti rinnovabili, auspicando una progressiva sostituzione delle energie fossili. Una volta ratificato nel 2005 il non rispetto degli impegni presi porge al pagamento di pesanti penali. Il protocollo è stato firmato nel dicembre 1997 a conclusione della terza sessione plenaria della conferenza delle parti, ed è entrato in vigore ufficialmente il 16 febbraio 2005, contiene obiettivi legalmente vincolanti e decisioni sull’attuazione operativa di alcuni degli impegni della convenzione quadro sui cambiamenti climatici (United Nation framework convention on climate change).
Il protocollo impegna i paesi industrializzati e quelli ad economia in transizione (Est Europa) a ridurre complessivamente del 5,2 % le principali emissioni antropogeniche di gas serra entro il 2010 e più precisamente nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012.
Il paniere di gas serra considerato nel protocollo include: l’anidride carbonica, il metano, il protossido d’azoto, i fluorocarburi idrati, i perfluorocarburi, l’esafloruro di zolfo. L’anno di riferimento per la riduzione delle emissioni dei primi tre gas è il 1990 mentre per i rimanenti tre (che sono gas lesivi dell’ozono atmosferico  e che per altri versi rientrano in un altro protocollo quello di Montreal), è il 1995.
In Italia è stato varato il “piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra” approvato con la delibera del 19 dicembre 2002 e previsto nella legge di ratifica  la quale descrive politiche e misure assunte  per il rispetto del protocollo di Kyoto e prevede di fare ricorso a meccanismi di flessibilità.
Il “Clean development mechanism” consente d’utilizzare la riduzione delle emissioni ottenuta con progetti di collaborazione in altri paesi.
La “joint implementation” consente di collaborare al raggiungimento degli obiettivi acquistando i diritti d’emissione risultanti dai progetti di riduzione delle emissioni raggiunti in un altro paese.
 La direttiva 2003/30 Ce  parte dal presupposto che:
  1. Tra il 1990 e il 2010 le emissioni di CO2 dovute ai trasporti aumenteranno del 50% per raggiungere circa 1.113 milioni di tonnellate, situazione di cui il trasporto su strada è il principale responsabile perché contribuisce per l’84% delle emissioni di CO2 imputabili ai trasporti. In una prospettiva ecologica il libro bianco chiede quindi di ridurre la dipendenza dal petrolio adesso del 98% nel settore dei trasporti mediante l’utilizzazione di carburanti alternativi come i biocarburanti. Un maggior uso dei biocarburanti nei trasporti fa parte del pacchetto di misure necessarie per rispettare gli impegni ulteriormente assunti al riguardo. In questo senso la direttiva acquista valore di piano attuativo europeo del protocollo di Kyoto per quanto concerne i combustibili destinati ai trasporti.
    La normativa fissa degli obiettivi di riferimento relativi ad una percentuale minima di biocarburanti e altri carburanti rinnovabili che gli stati membri dovrebbero immettere nel mercato e a tal fine stabiliscono i seguenti obiettivi nazionali:
  2. Il 2% calcolato sulla base del tenore energetico di tutta la benzina e del diesel immessi sui loro mercati entro il 31 dicembre 2005.
  3. Il 5,75% calcolato sulla base del tenore energetico di tutta la benzina e del diesel immessi sui loro mercati entro il 31 dicembre 2010 (Babbini, 2005).
    G.N.