venerdì 26 dicembre 2014

MESSICO, UN PAESE MEGADIVERSO


Il Centro America condensa dentro di sé una grande biodiversità antropologica e culturale, che deriva dal continuo passaggio su questa terra di uomini di culture ed etnie diverse. Tutte queste peculiarità biologiche ed antropologiche hanno fatto del Centroamerica un luogo unico. Ciò che arricchisce ulteriormente questa diversità bioantropologica è la convivenza tra specie e culture differenti che ha avuto il merito di sviluppare espressioni importanti in termini agronomici, artistici ed astronomici. Questo ha contribuito ad una unità culturale fondamentale: la cosiddetta mesoamerica - America Centrale, un territorio che va dal Messico meridionale fino a Panama. L’economia di questa regione si fonda su un’agricoltura nella quale la coltura del mais riveste un ruolo molto importante, ed è riuscita ad approntare politiche e strategie che sono riuscite a far fronte alle esigenze alimentari della popolazione centroamericana.
Il Messico è con il Costa Rica il paese Centroamericano dal maggiore interesse naturalistico: è il quarto della Terra per biodiversità, dopo Indonesia, Brasile e Colombia. Il Messico detiene circa 200.000 specie differenti, è la patria di 10-12% della biodiversità globale (SEMARNAT, 2010).
E’ capofila nella biodiversità dei rettili con 707 specie conosciute, al secondo posto con 438 specie di mammiferi, quarto con 290 specie di anfibi, e sempre quarto per la propria flora, con 26.000 specie diverse (CONEVYT, 2010). Il Messico è anche considerato il secondo paese al mondo per gli ecosistemi e il quarto per specie totali (CONABIO, 2010). Le foreste e i boschi coprono un'area di 487.000 km² (oltre il 24,9% della superficie territoriale).
La grande varietà della flora messicana è strettamente legata alle differenze climatiche: cactus vari, yucca sp. L., agave sp. L, mesquite- Prosopis sp. Humb.- crescono nelle regioni semidesertiche del nord, mentre le tierras calientes offrono una lussureggiante vegetazione che in alcune zone si infittisce fino a dar luogo a Sempre in queste regioni crescono, oltre ai legnami pregiati, palme da cocco, caucciù, mandorli, fichi e olivi.
Sulle pendici montane s’incontrano boschi di querce, pini e abeti. Infine nelle cosiddette tierras hieladas, ovvero oltre i 4.000 metri di quota, vivono esemplari di vegetazione artica.


Fauna
Anche la fauna è estremamente diversificata a seconda delle differenti fasce climatiche; il lupo e il coyote abitano le aride regioni settentrionali, mentre nei boschi delle pendici montane trovano riparo l’ocelot, il giaguaro, i pecari, l’orso e il puma. Numerose sono anche le specie di rettili – tra cui la tartaruga, l’iguana, il serpente a sonagli e l’alligatore – e, lungo la costa e negli estuari dei fiumi, di pesci.
Le coste del Messico sono i luoghi preferiti dalle tartarughe marine: la maggior parte delle specie esistenti va a deporre le uova sotto la sabbia delle spiagge che si estendono tra la Baja California e lo stato di Oaxaca: qui si possono vedere anche elefanti e leoni marini. Le acque della Baja California sono famose anche per le balene che in inverno vengono a riprodursi. 
Tra le molte varietà di uccelli vi sono anche pellicani, cormorani, aironi, fenicotteri, colibrì. Nelle zone paludose e nelle lagune si trovano alligatori, caimani e rettili, compreso il boa constrittore.
L’Inquinamento
L’esplosiva crescita demografica del paese e il suo notevole fabbisogno di risorse hanno avuto conseguenze molto pesanti sull’ambiente. L’espansione agricola e i metodi di coltivazione non sono ben controllati. Erosione e salinizzazione del suolo, inquinamento dei corsi d’acqua e delle falde freatiche ad opera dei prodotti chimici per l’agricoltura sono fenomeni molto diffusi. I problemi ambientali più gravi si riscontrano a Città di Messico, una tra le metropoli più popolose del mondo. L’alta concentrazione d’industrie, il traffico e gli elevati consumi energetici per uso domestico, uniti alle sfavorevoli condizioni geografiche e meteorologiche, si traducono in un grave inquinamento dell’aria. Il tasso di deforestazione è elevato (0,46%) e una quantità sempre maggiore d’area boschiva lascia il posto alle colture.
La foresta tropicale umida, che una volta copriva il 6% del territorio, è ora ridotta della metà. Tutti gli habitat naturali sono minacciati: le foreste montane di latifoglie, le foreste di mangrovie, le zone umide costiere, la foresta tropicale umida, la foresta tropicale secca e le zone aride. La difficile situazione determinatasi nell'ambiente messicano ­ in termini di scadente qualità dell'aria, di grande produzione di rifiuti e di scarsa disponibilità di acqua potabile ­ è emblematicamente rappresentata dalla capitale, Città di Messico. Nella sua area (circa 1.200 kmq) non solo si accalca una popolazione superiore a venti (secondo altre stime vicina, addirittura, a trenta) milioni di abitanti, ma sono funzionanti circa 30.000 stabilimenti industriali e vi si sviluppa una caotica circolazione automobilistica. Tutto ciò provoca un inquinamento atmosferico tale che non ha eguale in altri Paesi. Inoltre la città, che sorgeva in origine su un lago, oggi quasi totalmente prosciugato, è cresciuta su un suolo rimasto impregnato d'acqua e poco stabile. Per questo motivo essa tende a sprofondare sotto il peso delle costruzioni tanto che il centro si è abbassato di circa cinque metri in un secolo. Se si considera, poi, che la città si è sviluppata in un'area a forte sismicità, si può comprendere anche perché i due fenomeni si siano sommati e abbiano reso ancor più insicura la vita di milioni di cittadini. Il terremoto verificatosi nel 1985, proprio per questi motivi, ha fatto registrare un gran numero di vittime e ha provocato gravissimi danni. L’attività antropica e l’inquinamento determinano una  forte erosione genetica, fenomeno molto grave. In Messico negli ultimi anni è stato perso l’80% della biodiversità.

La protezione  dell’ecosistema
Circa 2.500 sono le specie protette dalla legislazione messicana.
Il governo messicano ha istituito il Sistema Nazionale d’informazione sulla Biodiversità, incaricato di studiare e promuovere l'utilizzo sostanziale degli ecosistemi.
 La tutela dell’ambiente in Messico risale al tempo dei maya, quando furono riconosciute speciali riserve forestali e lo sviluppo dell’agricoltura obbediva a un rigido sistema di criteri ecologici. Le antiche tradizioni di gestione del territorio andarono perdute dopo la conquista del Messico da parte degli spagnoli e il degrado proseguì sin verso la fine del XIX secolo, quando prese avvio la moderna legislazione in materia di protezione ambientale. In Messico 170.000 chilometri quadrati sono considerati "Aree Naturali Protette". Nel paese sono state istituite nuove 16 Riserve della biosfera nell’ambito del programma MAB (Man and the Biosphere, l’uomo e la biosfera) dell’UNESCO. In totale abbiamo 34 riserve della biosfera - ecosistemi inalterati - 64 parchi nazionali, 4 monumenti naturali, 26 aree per proteggere la flora e la fauna, 4 zone di protezione naturale e 17 santuari - zone con una ricca diversità delle specie. L’estensione di molte di queste aree non è tuttavia ben definita e il grado di protezione varia a seconda della classificazione del territorio. Soltanto lo 8,7% della superficie del paese è dunque effettivamente protetto; deforestazione, bracconaggio, discariche, devastazioni attuate dall’industria mineraria, eccessivo sfruttamento dei pascoli ed erosione rappresentano una costante minaccia. Il Messico ha ratificato la Convenzione sul diritto del mare e ha aderito a numerosi accordi ambientali internazionali in tema di: cambiamento climatico, desertificazione, specie in via d’estinzione, smaltimento di rifiuti nocivi, scarico dei rifiuti in mare, tutela della vita marina, abolizione dei test nucleari, protezione dell’ozonosfera, inquinamento navale, conservazione delle zone umide e caccia alle balene. A livello locale esistono poi degli accordi per la protezione del mar dei Caraibi e una convenzione per la salvaguardia della natura e la conservazione della fauna nell’emisfero occidentale.

G.N.


martedì 23 dicembre 2014

UN ESEMPIO VIRTUOSO DI ENERGIA ECOSOSTENIBILE



Al North American International AutoShow (NAIAS) di Detroit, il presidente del consiglio di sorveglianza della casa tedesca Volkswagen, Bernard Pischetsrieder, ha annunciato lo studio di fattibilità economica della trasformazione di cellulosa in etanolo, ed a breve comunicherà la decisione definitiva. Inoltre ha affermato che la sua società è fortemente impegnata nel ridurre la dipendenza dai carburanti fossili, cercando il migliore approccio per sostituire i carburanti tradizionali con i biocarburanti, l’unico modo per soddisfare l’individuale bisogno di mobilità delle persone nel lungo periodo. Per fare questo occorrono tecnologie più complesse rispetto alla trasformazione in bioetanolo degli zuccheri di scarto come le melasse o amido, in quanto la cellulosa è molto più resistente all’idrolisi pur essendo un polisaccaride. La VW progetta di far entrare in funzione un impianto di questo tipo entro il 2008. La joint study è sviluppata insieme alla Royal Dutch Shell e alla canadese Iogen Corporation. La società canadese, esperta nella produzione di enzimi biotecnologicamente avanzati, ha sviluppato un prodotto che fa parte dei così detti biocarburanti di seconda generazione, prodotti da scarti agricoli, risultato di più di 25 anni di ricerca e sviluppo. Anche da parte della Shell, la multinazionale anglo-olandese, leader mondiale nella distribuzione di carburanti, stiamo osservando un forte interesse nei biocarburanti: sta investendo in nuove tecnologie e in partnership per diventare il principale fornitore di carburanti di nuova generazione con l’intenzione di provvedere ad un aumento della coscienza ambientale e delle prestazioni dei veicoli. Infatti, oltre alla joint venture con la VW e la Iogen Corporation per la produzione di bioetanolo, ha acquistato nell’agosto 2005 una partecipazione della Choren Industries di Freiberg, una società produttrice di biocarburanti, che costruirà un impianto sperimentale di SunDiesel (diesel sintetico ottenuto tramite una tecnica che permette di sfruttare scarti agricoli, come paglia e legno) da 15.000 t/anno entro il 2005. Questo prodotto è stato provato con successo dalla Daimler-Chrysler e dalla Volkswagen e in breve tempo sarà immesso sul mercato.
In Gran Bretagna la Green Spirit Fuels è stata autorizzata a costruire un impianto per la produzione di biocarburante dal grano, nell’ambito del progetto biocarburanti varato dall’amministrazione del Somerset, una regione inglese in cui l’agricoltura è fortemente presente. La costruzione dell’impianto che sarà in grado di produrre 100.000 t/anno di etanolo inizierà quest’anno, mentre la produzione inizierà nel 2007 (Hi-tech ambiente, marzo 2006). In Brasile stiamo osservando al ritorno al massiccio utilizzo di etanolo come combustibile. Infatti in questo paese, negli anni ’70 a causa della crisi petrolifera, era stato fortemente sviluppato l’utilizzo di etanolo al posto della benzina tradizionale. L’etanolo veniva prodotto per fermentazione dalla canna da zucchero, pianta coltivata in gran quantità in Brasile. Tuttavia negli anni ’90, il petrolio era tornato ad essere il principale combustibile, anche se tutta la benzina messa in commercio aveva ancora un contenuto in etanolo pari al 20% (chiamata gasolina). Oggi con lo sviluppo di nuovi motori e con il nuovo  aumento dei prezzi del petrolio, l’etanolo è tornato ad essere molto competitivo e la vendita di auto funzionanti con la tecnologia Flex Fuel (tecnologia sviluppata da Magneti Marelli e Fiat: motori in grado di funzionare con qualsiasi miscela etanolo/benzina) lo dimostrano (Collina, 2006).

G.N.

mercoledì 17 dicembre 2014

L'ENERGIA, L'UOMO E L'AMBIENTE



Nella terra le fonti energetiche primarie sono essenzialmente: l’energia solare, l’energia geotermica, i movimenti idrodinamici (maree, dovute all’attrazione esercitata dal nostro satellite la luna) e l’uranio. L’energia poiché non si crea né si distrugge ma è in continua trasformazione o proviene continuamente da fonti esterne (solare) o è propria del nostro pianeta ove è stata immagazzinata al momento della sua formazione (energia, geotermica, l’uranio) e quindi è esauribile. Tutte le altre forme d’energia si possono definire secondarie perchè da queste derivate o formate dall’unione di due o più forme.


L’energia solare sulla terra s’è accumulata nel corso delle ere sottoforma di composti carbonici. Il regno vegetale (e i microrganismi autotrofi) accumula energia, sottoforma di composti del carbonio, il quale, base di tutti gli organismi viventi, è prelevato dall’atmosfera, ove vi si trova sottoforma d’anidride carbonica e l’energia necessaria al processo, dal sole. Codesto processo è chiamato fotosintesi. La biomassa vegetale così generatasi, finendo il suo ciclo vitale, con i suoi residui nel corso di milioni di anni ha dato vita ai giacimenti odierni di carbone, petrolio, gas naturale, ovvero sink di carbonio subito disponibili. Questi giacimenti sono detti fossili, perché formatisi in ere precedenti, e si sono accumulati nella profondità della crosta terrestre.
La crescente concentrazione della quantità di anidride carbonica nell'atmosfera è indice che i fenomeni naturali che la regolano, racchiusi nella definizione collettiva di ”ciclo del carbonio”, non sono più in grado di assorbire le emissioni di carattere antropogenico (Coiante, 2004). La necessità d’approvvigionamento d’energia in tutte le sue forme (calore, energia elettrica e meccanica) entrano quindi inevitabilmente in conflitto con la necessità di non compromettere in maniera non reversibile gli equilibri ambientali. In questo quadro le biomasse ed i biocarburanti si collocano in una posizione favorevole rispetto ai combustibili di origine fossile, soprattutto dal punto di vista di un’analisi concernente il ciclo vita del combustibile.
L’assunzione di partenza per l’analisi del ciclo vita delle colture energetiche è che il bilancio relativo della CO2 biogena sia pari a zero. Di fatto, la pianta sequestra  la CO2 atmosferica (unica fonte di carbonio per la pianta) durante la fotosintesi  e la immagazzina (organicazione) all’interno delle cellule. Tutto il carbonio contenuto nella pianta è quindi di provenienza atmosferica. Il carbonio ritorna in atmosfera nel corso dei processi di decomposizione dei residui vegetali che rimangono sul campo, dei processi di combustione dell’olio ottenuto dai semi  e dei processi di assimilazione animale dei pannelli utilizzati per l’alimentazione.
L’assunzione di un bilancio nullo per tutti questi flussi deriva anche dal concetto che la CO2 è considerata rinnovabile quando lo sfasamento temporale tra la sua organicazione in strutture vegetali e il suo utilizzo in processi energetici è breve (mesi o di pochi anni) se paragonato ai milioni di anni necessari per inglobare il carbonio all’interno dei combustibili fossili (Cti, 2006).
Conseguentemente, i bilanci dei combustibili rinnovabili e fossili devono tenere conto della sola CO2 di natura fossile emessa nel corso del ciclo di vita delle diverse filiere (Comitato Termotecnica Italiano, 2005).


Tab.1. CO2 emessa dai combustibili fossili (Riello, 2003).


Combustibile
Contenuto di carbonio                                         unitario.
CO2 emessa con la diretta combustione kg CO2/Gj.    
CO2 emessa nell’intero ciclo di produzione kg CO2/Gj.   
Diesel
20
73,33
84,33
Olio combustibile
20
73,33
84,33
Gas naturale
15
55
66
Carbone
15
91,66
110


Tab.2 Negli Stati Uniti le emissioni antropogeniche di CO2 sono così suddivise

(Kadam, 2005).


Settore
Gt
 carbone /anno
Gt di
CO2/ anno
%del totale
Trasporto
517
1.896
33,3
Industriale
470
1.723
30,3
Commerciale
259
950
16,7
Residenziale/ediliz.
306
1.122
19,7
Totale
1.552
5.691
100



Come si nota dalla tab.1 e 2,  i combustibili fossili e quindi i settori produttivi ove sono più usati ovvero il trasporto e l’industria incidono per la maggior parte sul totale delle emissioni. L’energia richiesta dai vari settori economici è fornita per la maggior parte dalla combustione di combustibili fossili in impianti termoelettrici o dalla fissione nucleare in impianti termonucleari.
Invece l’energia per il trasporto è fornita per la stragrande maggioranza da combustibili ad alta densità energetica ottenuti dalla raffinazione del petrolio in impianti petrolchimici (anche questi producono gas serra) e gas naturale liquefatto (GPL).
In totale nei soli Stati Uniti le emissioni degli impianti generatori d’elettricità ammontano a 1,7 Gt per anno (Kadam, 2004).


G.N.

martedì 16 dicembre 2014

I FIORI EDULI


Un'altra passione fortemente legata all'etnobotanica, che ho avuto modo di sviluppare durante i miei viaggi, è quella di prendere nota di tutte le nozioni relative ai fiori eduli con cui sono entrato in contatto.
Nel corso dei secoli i fiori hanno avuto un ruolo importante nelle diverse gastronomie del mondo, e usarli per guarnire un piatto o una bevanda è sempre stata una “ricercatezza”.


Il Vecchio Testamento, il Corano e molti altri documenti religiosi, contengono dettagli circa le qualità “gastronomiche” di alcuni fiori. Nelle diverse epoche si sono usati, per le occasioni speciali, i petali di rosa; gli antichi romani li utilizzavano assieme alle violette per profumare e insaporire le pietanze servite nei banchetti, mentre nella Londra di Shakespeare, durante gli spettacoli teatrali, era sorseggiata acqua di rose o liquore aromatizzato con garofani.
Sempre con l’essenza di quest’ultimo fiore, l’imperatore Carlo Magno amava ingentilire il vino, mentre i nomadi del Sahara, dopo un lungo e polveroso viaggio nel deserto, per rinfrescare il palato, e lavare mani e viso, offrivano acqua al fior d'arancio.
Virginia Galilei, figlia di Galileo, suora in un convento di Arcetri, ricorda la delicata marmellata di fiori di rosmarino. Ma fu durante il regno di Elisabetta I , che nelle macedonie di frutta vennero “apprezzate” le primule.
E' stata la gastronomia italo-messicana a creare i fiori di zucca ripieni
 e nel Nuovo Mondo, i padri pellegrini usavano le violette per aromatizzare l'aceto, e le calendule per insaporire i brodi di carne.
In Occidente, i fiori hanno rappresentato sopratutto patrimonio dell'erboristeria, eccetto alcune ricette come l'insalata di crisantemi milanese o il riso alla malva veneto. Invece in Oriente, in quei paesi particolarmente poveri di apporti proteici e sali minerali, hanno valorizzato al massimo la ricchezza del mondo vegetale. Il cibo è un tutto armonico tra natura, ambiente e umanità. Nella tradizione gastronomica cinese sono esaltate, da oltre sei secoli, le qualità aromatiche di crisantemi, gigli e fiori di loto. Mentre nella tradizione della cucina vegetariana giapponese, per integrare le carenze vitaminiche patite d'inverno, c'era l'uso in primavera d'andare per i campi a cercare le "sette erbe" (Sorini, 2010).
Nei  paesi poveri o in via di sviluppo delle diverse zone tropicali e subtropicali i fiori, di piante spontanee o coltivate, rivestono una grande importanza commerciale per gli addobbi e largo interesse nell’alimentazione non soltanto come complemento della dieta ma spesso anche come fonte di sopravvivenza. Inoltre, nelle aree agricole situate in zone  disagiate collegate ai mercati da strade difficoltose, le piante da fiori vengono coltivate  negli orti o in modeste appezzamenti   attorno alle abitazioni ed ai villaggi e quindi essere facilmente disponibili per le popolazioni locali.
Per il valore nutrizionale e per l’adattamento alle condizioni climatiche dei paesi tropicali e subtropicali, i fiori tradizionali possono inoltre contribuire significativamente alla sicurezza alimentare, che costituisce un prerequisito fondamentale per tutte le forme di sviluppo.
Secondo alcuni autori, i fiori tradizionali rientrano tra le categorie di piante erbacee arbustive o arboree usate per abitudine e tradizione dalle comunità rurali e urbane. In diverse zone, prima dell’introduzione di specie “esotiche”, essi venivano consumati ampiamente, soprattutto in periodi di carestia.
 La maggior parte di questi fiori veniva raccolta spontaneamente oppure coltivata come “intercrop” (in consociazione) con le ortive di base, ma potevano anche essere indirizzati verso i mercati urbani ed extraurbani.
I fiori eduli possiedono importanti caratteristiche tra le quali si evidenziano: il valore nutritivo il valore ecologico, il valore agronomico o di biodiversità, la sicurezza alimentare, il valore culturale e altre possibilità di impiego per gli agricoltori.
Più avanti nel testo sarà trattata ognuna di queste nello specifico mentre per il momento ci si limita a sottolineare come i fiori tradizionali siano una importante risorsa alimentare in zone dove non siano disponibili o scarsamente coltivabili molte specie alimentari, contribuendo sostanzialmente all’apporto di sali minerali e vitamine.
Vengono consumati in abbinamento agli alimenti a base di amido e possono migliorare la qualità della nutrizione nelle aree rurali o urbane dove la malnutrizione è diffusa, con un costo inferiore a quello delle specie esotiche. Molte specie di fiori ampliano sicuramente il ventaglio di scelta dei prodotti alimentari  e sono accessibili  alle comunità a basso reddito. Inoltre il loro utilizzo dalla flora spontanea li rende molto utili nei programmi di immediato sostegno alimentare.
L’uso di queste piante da fiore è parte integrante del patrimonio culturale delle popolazioni locali ed ha sempre giocato un ruolo importante nelle tradizioni e nel mantenimento delle strutture sociali, anche a livello familiare.
Infine, se il potenziale dei fiori tradizionali fosse riconosciuto e valorizzato con politiche e mezzi di produzione appropriati, essi potrebbero generare dei ritorni di “cash” che invoglierebbero gli agricoltori ad impegnare maggiormente la forza lavoro in queste produzioni, generando possibilità di impiego, soprattutto a favore delle donne.
Purtroppo, nonostante queste caratteristiche positive la ricerca in questo comparto è stata spesso trascurata per numerose ragioni, quali la scarsa richiesta del prodotto, l’importanza molto localizzata (a livello di comunità o regioni) o stagionale, il cambiamento dei modelli alimentari, il grande numero di specie selvatiche o addirittura infestanti (per cui tendono ad essere eradicate invece che conservate) e la carenza di conoscenze soprattutto sul loro valore nutritivo, sui metodi di produzione, conservazione e utilizzazione.
Negli ultimi anni però si è riconosciuta la loro importanza e diversi  paesi tentano di portare avanti dei programmi di ricerca a loro dedicata.
In prima fila vi è il Messico che partendo sulle consolidate basi delle conoscenze indigene tradizionali e su una biodiversità unica al mondo da anni sta portando avanti con i suoi centri universitari ricerche mirate a riscoprire questa risorsa e a valorizzarne il lato commerciale e industriale.   
Sebbene tali programmi di ricerca mirati sulle possibilità di coltivazione di piante da fiore riconoscano tutte le problematiche legate a queste colture, la capacità di risolverle è spesso ostacolata dalla mancanza di risorse, attrezzature e personale qualificato soprattutto in taluni settori come per esempio quello della coltura in vitro e sviluppo del vivaismo.


 G.N

lunedì 15 dicembre 2014

PERCHE' PARLARE DI BIOENERGIE?

Il desiderio di parlare delle bioenergie su questo blog, nasce dalla necessità di dare uno sguardo più ampio e chiaro possibile ad una realtà così sfaccettata e in continua evoluzione come quella delle energie rinnovabili e dal desiderio di creare una rete di persone interessate all'argomento.
Da un po’ di tempo, dopo decenni di stasi, questo importante settore, decisivo per il futuro dell’umanità, ha ripreso vigore.
Il suo massimo splendore anche in termini di ricerca è stato negli anni  settanta-ottanta, nel periodo delle crisi petrolifere e del cosiddetto “caro-petrolio”
Gran parte dei progetti e ricerche odierne traggono spunto dai febbrili lavori svolti in quegli anni sotto lo stimolo dettato dal bisogno.



Su queste pagine cercherò di comparare tra loro tutte le varie forme d’energia rinnovabile ricorrendo all’uso di coefficienti d’efficienza energetica per dare un giudizio il più obiettivo possibile. Il settore di punta delle rinnovabili è oggi senza dubbio la bioenergia, con la quale traiamo energia dalle piante e dagli organismi viventi coltivandoli. Alla base di tutto v’è ovviamente la fotosintesi che utilizza l’energia solare.
Tra gli organismi sul nostro pianeta con la più alta efficienza fotosintetica che conosciamo abbiamo le alghe, alla base dell’acquicoltura per energia così come alla base dell’agricoltura da energia troviamo le piante. S’è voluto attuare un confronto tra le piante e alghe come produttori di bioenergia in termini d’efficienza energetica e benefici ambientali così come fatto con le varie forme d’energia rinnovabile.
Ai tropici la bioenergia sotto forma di biomassa da legna è sempre stata al centro della vita sociale ed economica delle comunità rurali. Il settore bioenergetico può in effetti  migliorare le condizioni di vita delle popolazioni rurali nei paesi in via di sviluppo  tropicali, così come già accade alle nostre latitudini. Illustrare le potenzialità di tale settore nei Pvs tropicali anche in termini di difesa ambientale è uno degli argomenti più importanti di cui desidero parlarvi.

G.N.

sabato 13 dicembre 2014

LE MIE LETTURE - UN ELENCO DEI LIBRI CONSULTATI PRIMA DI SCRIVERE IL BLOG

    • 
      
    • 
      
    • Allen,  1981. The Leguminosae. The University of Wisconsin Press. Pg 812.
  •  Alpi, 2005. La pianta come fonte di biomassa rinnovabile: efficienza energetica e produttiva delle piante. Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie, Università di Pisa. Rivista Quadrimestrale  Agroindustria, volume 4, numero1.
  • Apat, 2006. Colture a scopo energetico e ambiente: sostenibilità, diversità e conservazione del territorio. Conferenza Apat a Roma, 5/10/2006. Visione diretta.
  •  Aresta, 2004. Aresta, Di Benedetto, Barberio, Life Cycle Assestment (LCA) of fuel production from macro-algae: evalution of the net energy gainand CO2 atmospheric loading reduction, GhGT-7,5-9 september, Vancouver, Bc,Canada 2004.
  • Aresta 2005. Di Benedetto, Barberio. Utilization of macro-algae for enhanced CO2 fixation and Biofuels production: development of a computing software for an LCA study. Elsevier. 
  • Aresta, 2005. Fuel Processing Technology 86, pg 1679-1693, Elsevier.
  • Aresta, 2004. Di Benedetto, Barberio. Utilization of macroalgae for enhanced CO2 fixation and  energy production, Prepints of Papers-American chemical Society 2004. 348-349.
  • Aresta, 2002. Energy from marine biomass.  Polish Journal of Enviromental Studies.
  • Ayerza, 1996. Coates. 1996. New industrial crops: Northwestern Argentina Regional Project. p. 45-51. In: Janick (ed.), Progress in New Crops. ASHS Press, Alexandria, Vachan.

  • Babbini, 2005. Tesi di laurea specialistica in ingegneria ambientale di Babbini.  Olio di girasole puro per la produzione d’energia. Pg.22-11-45-66-79.
  • Bardi, 2004. La nuova via per le rinnovabili.Sintesi dell’intervento di Ugo Bardi alla conferenza programmatica dei Verdi Toscani, Chianciano 18 settembre 2004.
  • Basosi, 2005. Graniglia. Università degli studi di Siena Dipartimento di Chimica. Appunti del modulo di bioenergia del corso in tecnologia ed economia delle fonti energetiche.  
  • Becker, 2005. George Francis, Raphael Edinger. A concept for simultaneous wasteland reclamation, fuel production and socio-economic development in degraded areas in India: need, potential and perspectives of jatropha plantations. Natural Resources Forum 29 pg.12–24. United Nations. Published by Blackwell Publishing, 9600 Garsington Road, Oxford OX4 2DQ, UK and 350 Main Street, Malden, MA 02148, USA

  • Berger, 2005. Nils, Rodriguez, Viviana da Encarnacao.  Conference on International Agricolture Research For Development.Artisan oil extraction methods for oleaginous cultures of the Santarèm District, Parà State,  middle Amazon, Brasil. Tropentag, Stuttgart, Honenheim.
  • Berger, 2005. Nils. Conference on International Agricultural Research for Development. Identification of Botanical species of oil crops in the region of West Parà, Brasil as sources for Biodiesel. Tropentag.Stuttgart-Hohenheim.

  • Bermejo, 1994. J.E.H. Bermejo, J.León.  Neglected Crops: 1492 from a Different Perspective. Plant Production and Protection Series n. 26. FAO, Rome, Italy.
ISBN: 9251032173

  • Bhardwaj, 1996. Hankins, Mebrahtu, Mullins, Rangappa, Abaye, Welbaum.  Alternative Crops Research in Virginia. p. 87-96. In: Janick (ed.), Progress in new crops. ASHS Press, Alexandria, VA.

  • Bhattuse, 2005. Use of Mahua Oil (Madhuca indica) as a Diesel Fuel Extender, Y. C. Bhatt, Member, Murthy, Fellow. Elsevier
  • Brucher, 1989. Useful plants of neotropical origin. H.Brucher. Ed.Springer-Verlag.
  • Shumacher, 2004. Yuan. Biodiesel engine. Elsevier.

  • Bonciarelli, 1970. Agronomia. pg. 22-28.30-35.
  •  Byllie, 1999. Fuel production potential of several agricultural crops. Bul. Y-186. Tennessee Valley Authority, Muscle Shoals. 
  •  
  •  
  •  
  •  

  • Bollati. Boringh, 2005. Dipartimento di Chimica Università di Firenze, Consorzio. Universitario per i Sistemi a Grande Interfase.
  • Bonsembiante, 1983. Il Mais. Liviana editore.
  • Bazzocchi 2003. Bizzi. Produzione d'alcune specie per il bioenergico provate nel padovano.www.energiapulita.it/Padova/sperimentazioni/nuove

  • Produzione d'alcune specie per il bioenergico provate nel padovano. Roberta Bazzocchi, Laura Bizzi. www.energiapulita.it/Padova/sperimentazioni/nuove Casini, 2003. Leguminose da granella degli ambienti tropicali. Università di Firenze. Seconda edizione. 

  • CATIE 1983. Palmeras poco utilizadas de América Tropical. Informe de la Reunión de Consulta organizada por la FAO y el CATIE. Turrialba. Costa Rica. pg 9-10. 

  • Chiaramonti 2005. Biocombustibili: aspetti energetico ambientali e prospettive future. Energia e ambiente. Rivista la Termotecnica 3/2005.

  • Choren.http.www.choren.com/petrol.

  • Coiante, 2004. Le nuove fonti d’energia rinnovabile. Tecnologie, costi e prospettive. Franco Angelini Milano.
  • Collina, 2006. I carburanti d’origine biologica; tesi di laurea da www.biofox.com.

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