Le
alghe sono protisti fotosintetici responsabili di circa metà della produzione
fotosintetica della Terra, la restante parte è effettuata in prevalenza da
piante.
Le
alghe differiscono dalle piante in quanto nelle prime lo zigote non è in alcun
modo protetto dai tessuti materni, mentre lo zigote di una pianta si sviluppa
in un embrione pluricellulare all’interno dei tessuti materni. Le alghe
mostrano una notevole varietà di forme: alcune sono unicellulari, mentre altre
sono filamentose e costituite da cellule distinte o da cenociti (strutture
pluricellulari provvisti di setti trasversali). Altre ancora sono
pluricellulari e possono formare complesse ramificazioni oppure presentare
forma laminare. Alcune alghe presentano una struttura definita in tessuti e
organi( Zanichelli, 2001).
Sistematica delle alghe(Strasburger,
2001)
Alghe
procariotiche
Terza
divisione: Cyanobacteriota, Cyanophyta, alghe azzurre.
Quarta
divisione: Prochlorobacteriota, Prochlorophyta.
Alghe
eucariotiche
Sesta
divisione: Glaucophyta.
Settima
divisione: Euglenophyta.
Ottava
divisione: Cryptophyta.
Nona
divisione: Chlorarachniophyta.
Decima
divisione: Dinophyta.
Undicesima
divisione: Haptodophyta.
Dodicesima
divisione: Heterekontophyta
(crysophyta).
1
classe: Chloromonadophyceae.
2
classe: Xanthophyceae.
3
classe: Chrysophyceae.
4
classe: Bacillariophyceae (diatomee, alghe silicee).
5
classe: Phaeophyaceae (alghe brune).
Tredicesima
divisione: Rhodophyta, alghe rosse.
1 sottoclasse: Banguiphycidae.
2 sottoclasse: Florideophycidae.
Quattordicesima
divisione: Chlorophyta, alghe verdi.
1
classe: Prainophyceae.
2
classe: Chlorophyceae.
3
classe: Ulvophyceae.
4
classe: Cladophorophyceae.
5
classe: Bryopsidophyceae.
6
classe: Dasycladophyceae.
7
classe: Trentepohliophyceae.
8
classe: Pleurastrophyceae (Trebouxiophyceae).
9
classe: Klebsormidiophyceae.
10
classe: Zygnematophyceae (Conjugatae).
11 classe: Charophyceae (alghe a candelabro).
Classificazione
sintetica:
Phylum
|
Nome
comune
|
Forma
|
Locomozione
|
Pyrrophyta
|
Dinoflaggelati
|
Unicellulari
|
Due flagelli
|
Chrysophyta
|
Diatomee
|
Generalmente unicellulari
|
Nessuna
|
Phaeophyta
|
Alghe brune
|
Pluricellulari
|
Due flagelli
|
Rodophyta
|
Alghe rosse
|
Pluricellulari, unicellulari
|
Nessuna
|
Chlorophyta
|
Alghe verdi
|
Unicellulari,
coloniali,
pluricellulari
|
Flagelli in
certi stadi del ciclo vitale
|
(Zanichelli,
2001).
MICROALGHE
Le alghe più indicate per la produzione d'olio
appartengono alla categoria delle microalghe che raggruppa organismi
fotosintetici unicellulari noti per le loro alte produzioni ma anche per la
loro capacità sotto stress d'azoto d'aumentare la percentuale d'olio sul totale
della biomassa. Sulle microalghe abbiamo conoscenze più estese rispetto alle
macroalghe perchè studiate per l’utilizzo nell’alimentazione dei pesci da più
di 50 anni.
Le alghe come le piante possono assorbire il diossido di
carbonio dall’atmosfera e convertirlo in biomassa.
Possono essere coltivate utilizzando acque di scarico,
salmastre e industriali.
La produttività sembra essere molto alta con un’efficienza
fotosintetica del 5% e più di 50 t/ha/anno di s.s (REU technical series 46 Fao,
2004)
Vasche di più di 25 ha a microalghe sono state realizzate
negli Stati Uniti per trattare acque di scarico in maniera vantaggiosa.
Attualmente è molto promettente l’uso dei nuovi bio-reattori (in materiale
plastico) strutturati in modo da sfruttare al massimo l’energia solare e
garantire al contempo il massimo ricircolo dei nutrienti e dell’aria all’interno
della biomassa algale. Questi nuovi bioreattori possono essere situati nella
vicinanza delle industrie che producono abbondante diossido di carbonio come gas esausto, per esempio le industrie
elettriche alimentate a carbone. I gas esausti possono essere usati, una volta
trattati, per alimentare i bio-reattori, come in parte le acque di
raffreddamento delle turbine se trattate.
Anche se l’anidride carbonica è rilasciata quando il
combustibile derivato dalla biomassa algale è bruciato, l'integrazione delle
centrali con i bioreattori di microalghe raddoppia l'energia prodotta per unità
di diossido di carbonio rilasciata.
Inoltre i materiali derivati dalla biomassa algale possono
essere utili nei modi più svariati prolungando nel tempo la capacità di
sequestro del diossido di carbonio
(REU technical series 46 Fao, 2004). Le microalghe
indicate sono diverse e da adottare in base alle caratteristiche d'impianto e
alle finalità di produzione. Ad esempio la microalga marina Botryococcus braunii BBG-1 è molto
promettente avendo un’alta produzione
idrocarburica in condizioni ottimali raggiungendo fino al 60% d'olio sulla
biomassa totale ma se sotto stress in condizioni non ottimali la percentuale si
riduce ad un 30%. La sua crescita
ottimale si realizza tra i 20 e i 25 gradi (Sheehan,
1998).
Presso il Dipartimento di Biotecnologie dell'Università di
Firenze sono state provate colture di
diverse tipologie di microalghe ottenendo spesso per alcune specie un notevole
incremento d'olio sulla biomassa algale totale se le microalghe erano
sottoposte ad uno stress d'azoto di breve durata. Dopo 4 giorni dalla carenza
d'azoto s'aveva generalmente il picco massimo della produzione lipidica per poi
scendere gradatamente e stabilizzarsi su valori comunque alti. In particolare i
risultati più favorevoli sono stati ottenuti sia in termini produttivi che in
resa oleica dale microalghe: Chlorella;
Scenedesmus; Tetraselmis; Nannochloropsis. Per Chlorella sono state riscontrati valori massimi di 1,14 g l/d e
valori di produzione lipidica sotto stress d'azoto pari al 30% dei lipidi sulla
biomassa totale. Per Scendesmus invece
tali valori erano dell'ordine di 1,205 g l /d e 20 % di lipidi sia in
condizioni ottimali che in carenza d'azoto. Tetraselmis
dava valori molto alti di 1,8 g l/d contro percentuale d'olio sul totale della
biomassa sotto stress d'azoto pari a 36 % di lipidi sulla biomassa. Nannochloropsis dava invece valori
di 1,59 g l/d contro una % d'olio sulla biomassa del 60% e che si
manteneva stabile a 4-7-9 giorni dall'inizio dello stress per carenza d'azoto.
Le microalghe possono essere usate per produrre olio o
biomassa adoperando acque reflue o comunque non adoperabili a fini civili o
agricolturali e per diminuire il tasso
di CO2 delle emissioni delle centrali
elettriche sopratutto se alimentate a carbone. L'impianto può essere a vasca
all'aperto a luce naturale o in bioreattori al chiuso anche con luce
artificiale.
In tutti i casi i
costi energetici maggiori si hanno nella raccolta e nel rimescolamento della sospensione
acqua-alga, operazioni dispendiose in termini energetici ma che si spera nel
prossimo futuro di ridimensionare (Kadam, 2002).
Negli Stati Uniti
nello stato della Carolina del nord è stato costruito nel 1998 un impianto da
140 milioni d'euro per la coltivazione d'alghe da olio in appositi bio-reattori
da destinare all’industria alimentare e zootenica (Sheehan,
1998). Dalla coltivazione delle alghe però possiamo ottenere
contemporaneamente olio per biocarburanti e fertilizzanti naturali, anche con
impianti a bassa tecnologia ma con rese nettamente minori. Kadam (2005)
prospetta un costo ad ettaro per colture d'alghe in vasche all'aperto pari a
40.000$. Nell'impianto ipotizzato le vasche di coltura delle alghe sono
alimentate con le acque reflue sia civiche che agriculturali.
La scelta delle microalghe come coltura oleaginosa è
dovuta alla resa oleica che secondo dati forniti dal Dipartimento di Fisica
dell'università del New Hamphishire negli Stati Uniti è calcolata sui
40-150.000 litri l'anno per ogni ettaro, rispetto a 300-1.000 l/ha della colza
ad esempio. Dai residui dell’estrazione dell’olio per il prof.Berzin del Massachusetts Institute of Technology è ancora possibile
tramite fermentazione anaerobica ottenere etanolo in una quantità maggiore del
20% rispetto all’olio estratto (da:Sci/Tech.2006).
L'olandese Kluyer Centre e l'Msu (Università di Stato del
Missisipi) stanno portando avanti diversi progetti e studi sulle microalghe come
fonte d'energia. Dalla coltivazione di microalghe si possono ottenere
contemporeaneamente olio per biocarburanti e fertilizzanti naturali. Il Kluyer
Centre adotta impianti per il trattamento delle alghe piuttosto semplici basati
su vasche esposte al sole e su apparecchi per la spremitura a freddo e per la
macinatura degli scarti. Con un impianto
simile localizzato allo sbocco di acque reflue in mare sarebbe possibile
depurare acque di scarto da impianti industriali (metalli pesanti), acque
reflue da coltivazioni agricole sottoposte a forte concimazione chimica (i
composti azotati e fosforici favoriscono la crescita delle alghe) e acque
reflue da impianti per l'allevamento del bestiame(per esempio, deiezioni di
maiali e del pollame).
Dalle alghe si può ottenere, oltre all'olio vegetale anche
biomassa da i residui dell’estrazione lipidica da utilizzare opportunamente
triturata come fertilizzante naturale.
Le varietà d'alghe consigliate sono il Phaeodactylum tricornutium e il Botryococcus
braunii (Confagricoltura, 2007). Per l'impiego nei motori diesel, il
biocarburante va processato e trasformato in biodiesel secondo la già nota
reazione di transisterificazione usando come reagente metanolo (estraibile
dalla cellulosa e dalla lignina) o etanolo che da rese minori ma ha il
vantaggio d'essere meno inquinante e più facile da stoccare, inoltre può essere
ricavato dalla fermentazione di canna o barbabietola da zucchero e altre
risorse rinnovabili locali prodotte dalle aziende agricole.
Larga parte dell'anidride carbonica derivante dalla
fermentazione verrebbe riciclata dalle alghe per produrre biomassa e olio. I
ricercatori pensano alla “bio-raffineria” come estensione delle aziende
agricole, finalizzata alla produzione decentrata di energia per far funzionare generatori
autonomi d'elettricità e carburanti per trattori (Confagricoltura2007). Le microalghe se coltivate in grande scala
possono davvero rappresentare il futuro per la bioenergia. Da esse possiamo
ricavare vettori energetici in gran quantità a patto d’avere una sufficiente
convenienza energetica. Oggi l’enfasi della ricerca mondiale è su come limitare
i costi di raccolta che rappresentano i ¾ dei costi energetici totali. Una
strada potrebbe essere l’uso di flocculanti prodotti dalle alghe stesse tramite
l’ingegneria genetica (bioflocculanti) oppure chimici o naturali. I flocculanti
hanno tuttavia lo svantaggio di avere a loro volta alti costi economici ed
energetici.
Si spera quindi di trovare flocculanti naturali, magari
estratti da materiale di scarto che possano fare al caso nostro.
G.N.
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