lunedì 22 giugno 2015

LE COLTURE ALGALI


Le alghe sono protisti fotosintetici responsabili di circa metà della produzione fotosintetica della Terra, la restante parte è effettuata in prevalenza da piante.

Le alghe differiscono dalle piante in quanto nelle prime lo zigote non è in alcun modo protetto dai tessuti materni, mentre lo zigote di una pianta si sviluppa in un embrione pluricellulare all’interno dei tessuti materni. Le alghe mostrano una notevole varietà di forme: alcune sono unicellulari, mentre altre sono filamentose e costituite da cellule distinte o da cenociti (strutture pluricellulari provvisti di setti trasversali). Altre ancora sono pluricellulari e possono formare complesse ramificazioni oppure presentare forma laminare. Alcune alghe presentano una struttura definita in tessuti e organi( Zanichelli, 2001).

Sistematica delle alghe(Strasburger, 2001)

Alghe procariotiche
Terza divisione: Cyanobacteriota, Cyanophyta, alghe azzurre.
Quarta divisione: Prochlorobacteriota, Prochlorophyta.

Alghe eucariotiche
Sesta divisione: Glaucophyta.
Settima divisione: Euglenophyta.
Ottava divisione: Cryptophyta.
Nona divisione: Chlorarachniophyta.
Decima divisione:   Dinophyta.
Undicesima divisione:  Haptodophyta.
Dodicesima divisione:  Heterekontophyta (crysophyta).
1 classe: Chloromonadophyceae.
2 classe:  Xanthophyceae.
3 classe:  Chrysophyceae.
4 classe: Bacillariophyceae (diatomee, alghe silicee).
5 classe: Phaeophyaceae (alghe brune).
Tredicesima divisione: Rhodophyta, alghe rosse.
 1 sottoclasse: Banguiphycidae.
  2 sottoclasse: Florideophycidae.
Quattordicesima divisione: Chlorophyta, alghe verdi.
1 classe: Prainophyceae.
2 classe: Chlorophyceae.
3 classe: Ulvophyceae.
4 classe: Cladophorophyceae.
5 classe: Bryopsidophyceae.
6 classe: Dasycladophyceae.
7 classe: Trentepohliophyceae.
8 classe: Pleurastrophyceae (Trebouxiophyceae).
9 classe: Klebsormidiophyceae.
10 classe: Zygnematophyceae (Conjugatae).
11 classe: Charophyceae (alghe a candelabro).



Classificazione sintetica:

Phylum
Nome comune
Forma

Locomozione

Pyrrophyta
Dinoflaggelati
Unicellulari
Due flagelli
Chrysophyta
Diatomee
Generalmente unicellulari
Nessuna
Phaeophyta
Alghe brune
Pluricellulari
Due flagelli

Rodophyta
Alghe rosse
Pluricellulari, unicellulari
Nessuna

Chlorophyta
Alghe verdi
Unicellulari,
coloniali,
pluricellulari
Flagelli in certi stadi del ciclo vitale
(Zanichelli, 2001).

MICROALGHE

Le alghe più indicate per la produzione d'olio appartengono alla categoria delle microalghe che raggruppa organismi fotosintetici unicellulari noti per le loro alte produzioni ma anche per la loro capacità sotto stress d'azoto d'aumentare la percentuale d'olio sul totale della biomassa. Sulle microalghe abbiamo conoscenze più estese rispetto alle macroalghe perchè studiate per l’utilizzo nell’alimentazione dei pesci da più di 50 anni.
Le alghe come le piante possono assorbire il diossido di carbonio dall’atmosfera e convertirlo in biomassa.
Possono essere coltivate utilizzando acque di scarico, salmastre e  industriali.
La produttività sembra essere molto alta con un’efficienza fotosintetica del 5% e più di 50 t/ha/anno di s.s (REU technical series 46 Fao, 2004)

Vasche di più di 25 ha a microalghe sono state realizzate negli Stati Uniti per trattare acque di scarico in maniera vantaggiosa. Attualmente è molto promettente l’uso dei nuovi bio-reattori (in materiale plastico) strutturati in modo da sfruttare al massimo l’energia solare e garantire al contempo il massimo ricircolo dei nutrienti e dell’aria all’interno della biomassa algale. Questi nuovi bioreattori possono essere situati nella vicinanza delle industrie che producono abbondante diossido di carbonio  come gas esausto, per esempio le industrie elettriche alimentate a carbone. I gas esausti possono essere usati, una volta trattati, per alimentare i bio-reattori, come in parte le acque di raffreddamento delle turbine se trattate.

Anche se l’anidride carbonica è rilasciata quando il combustibile derivato dalla biomassa algale è bruciato, l'integrazione delle centrali con i bioreattori di microalghe raddoppia l'energia prodotta per unità di diossido di carbonio rilasciata.
Inoltre i materiali derivati dalla biomassa algale possono essere utili nei modi più svariati prolungando nel tempo la capacità di sequestro del diossido di carbonio
(REU technical series 46 Fao, 2004). Le microalghe indicate sono diverse e da adottare in base alle caratteristiche d'impianto e alle finalità di produzione. Ad esempio la microalga marina Botryococcus braunii BBG-1 è molto promettente avendo  un’alta produzione idrocarburica in condizioni ottimali raggiungendo fino al 60% d'olio sulla biomassa totale ma se sotto stress in condizioni non ottimali la percentuale si riduce ad un 30%.  La sua crescita ottimale si realizza tra i 20 e i 25 gradi (Sheehan, 1998).
Presso il Dipartimento di Biotecnologie dell'Università di Firenze sono state provate  colture di diverse tipologie di microalghe ottenendo spesso per alcune specie un notevole incremento d'olio sulla biomassa algale totale se le microalghe erano sottoposte ad uno stress d'azoto di breve durata. Dopo 4 giorni dalla carenza d'azoto s'aveva generalmente il picco massimo della produzione lipidica per poi scendere gradatamente e stabilizzarsi su valori comunque alti. In particolare i risultati più favorevoli sono stati ottenuti sia in termini produttivi che in resa oleica dale microalghe: Chlorella; Scenedesmus; Tetraselmis; Nannochloropsis. Per Chlorella sono state riscontrati valori massimi di 1,14 g l/d e valori di produzione lipidica sotto stress d'azoto pari al 30% dei lipidi sulla biomassa totale. Per Scendesmus invece tali valori erano dell'ordine di 1,205 g l /d e 20 % di lipidi sia in condizioni ottimali che in carenza d'azoto. Tetraselmis dava valori molto alti di 1,8 g l/d contro percentuale d'olio sul totale della biomassa sotto stress d'azoto pari a 36 % di lipidi sulla biomassa. Nannochloropsis dava invece  valori  di 1,59 g l/d contro una % d'olio sulla biomassa del 60% e che si manteneva stabile a 4-7-9 giorni dall'inizio dello stress per carenza d'azoto.
Le microalghe possono essere usate per produrre olio o biomassa adoperando acque reflue o comunque non adoperabili a fini civili o agricolturali  e per diminuire il tasso di CO2 delle emissioni delle centrali elettriche sopratutto se alimentate a carbone. L'impianto può essere a vasca all'aperto a luce naturale o in bioreattori al chiuso anche con luce artificiale.
 In tutti i casi i costi energetici maggiori si hanno nella raccolta e nel rimescolamento della sospensione acqua-alga, operazioni dispendiose in termini energetici ma che si spera nel prossimo futuro di ridimensionare (Kadam, 2002).
 Negli Stati Uniti nello stato della Carolina del nord è stato costruito nel 1998 un impianto da 140 milioni d'euro per la coltivazione d'alghe da olio in appositi bio-reattori da destinare all’industria alimentare e zootenica (Sheehan, 1998). Dalla coltivazione delle alghe però possiamo ottenere contemporaneamente olio per biocarburanti e fertilizzanti naturali, anche con impianti a bassa tecnologia ma con rese nettamente minori. Kadam (2005) prospetta un costo ad ettaro per colture d'alghe in vasche all'aperto pari a 40.000$. Nell'impianto ipotizzato le vasche di coltura delle alghe sono alimentate con le acque reflue sia civiche che agriculturali.
La scelta delle microalghe come coltura oleaginosa è dovuta alla resa oleica che secondo dati forniti dal Dipartimento di Fisica dell'università del New Hamphishire negli Stati Uniti è calcolata sui 40-150.000 litri l'anno per ogni ettaro, rispetto a 300-1.000 l/ha della colza ad esempio. Dai residui dell’estrazione dell’olio per il prof.Berzin del Massachusetts Institute of Technology è ancora possibile tramite fermentazione anaerobica ottenere etanolo in una quantità maggiore del 20% rispetto all’olio estratto (da:Sci/Tech.2006).


L'olandese Kluyer Centre e l'Msu (Università di Stato del Missisipi) stanno portando avanti diversi progetti e studi sulle microalghe come fonte d'energia. Dalla coltivazione di microalghe si possono ottenere contemporeaneamente olio per biocarburanti e fertilizzanti naturali. Il Kluyer Centre adotta impianti per il trattamento delle alghe piuttosto semplici basati su vasche esposte al sole e su apparecchi per la spremitura a freddo e per la macinatura degli scarti.  Con un impianto simile localizzato allo sbocco di acque reflue in mare sarebbe possibile depurare acque di scarto da impianti industriali (metalli pesanti), acque reflue da coltivazioni agricole sottoposte a forte concimazione chimica (i composti azotati e fosforici favoriscono la crescita delle alghe) e acque reflue da impianti per l'allevamento del bestiame(per esempio, deiezioni di maiali e del pollame).
Dalle alghe si può ottenere, oltre all'olio vegetale anche biomassa da i residui dell’estrazione lipidica da utilizzare opportunamente triturata come fertilizzante naturale.  Le varietà d'alghe consigliate sono il Phaeodactylum tricornutium e il Botryococcus braunii (Confagricoltura, 2007). Per l'impiego nei motori diesel, il biocarburante va processato e trasformato in biodiesel secondo la già nota reazione di transisterificazione usando come reagente metanolo (estraibile dalla cellulosa e dalla lignina) o etanolo che da rese minori ma ha il vantaggio d'essere meno inquinante e più facile da stoccare, inoltre può essere ricavato dalla fermentazione di canna o barbabietola da zucchero e altre risorse rinnovabili locali prodotte dalle aziende agricole.
Larga parte dell'anidride carbonica derivante dalla fermentazione verrebbe riciclata dalle alghe per produrre biomassa e olio. I ricercatori pensano alla “bio-raffineria” come estensione delle aziende agricole, finalizzata alla produzione decentrata di energia per far funzionare generatori autonomi d'elettricità e carburanti per trattori (Confagricoltura2007).  Le microalghe se coltivate in grande scala possono davvero rappresentare il futuro per la bioenergia. Da esse possiamo ricavare vettori energetici in gran quantità a patto d’avere una sufficiente convenienza energetica. Oggi l’enfasi della ricerca mondiale è su come limitare i costi di raccolta che rappresentano i ¾ dei costi energetici totali. Una strada potrebbe essere l’uso di flocculanti prodotti dalle alghe stesse tramite l’ingegneria genetica (bioflocculanti) oppure chimici o naturali. I flocculanti hanno tuttavia lo svantaggio di avere a loro volta alti costi economici ed energetici.
Si spera quindi di trovare flocculanti naturali, magari estratti da materiale di scarto che possano fare al caso nostro.




G.N.

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