mercoledì 18 febbraio 2015

INDICE LCA (Life Cycle Assestment).

Proseguiamo nel nostro percorso di conoscenza sui metodi d'analisi per la resa energetica.

Il sistema LCA è un metodo d’analisi basato sul ciclo della vita detto LCA, che permette di determinare la resa energetica (EROEI) e di confrontare le tecnologie su basi oggettive e non legate alle oscillazioni economiche del momento o sul supporto occulto o palese del governo.
E’ l’evoluzione della tecnica d’analisi energetica, un approccio totalmente nuovo all’analisi del sistema agro-industriale perché dà una visione d’insieme.
Grazie alla LCA possiamo capire se il processo produttivo va nell’ottica dello sviluppo sostenibile per conservare le risorse naturali e minimizzare l’effetto serra.
L’approccio di questa metodologia è l’analisi sistematica che valuta i flussi di materia ed energia durante tutta la vita di un prodotto dall’estrazione della materia prima alla produzione, all’utilizzo, fino all’eliminazione del prodotto una volta finito.
Considerando le operazioni dell’intera catena produttiva nel loro complesso appaiono lati oscuri che sono messi in evidenza.
L’analisi LCA è una raccolta completa di tutti i dati concernenti, la fabbricazione di un prodotto con l’obiettivo di creare un sistema informatico di gestione ambientale in grado di tenere sotto controllo le emissioni di CO2, i consumi di risorse e gli effetti connessi.
LCA è fatta per evidenziare i punti deboli del processo e intervenire per diminuire l’impatto ambientale del prodotto o per comparare differenti prodotti e fare delle scelte.
La metodologia LCA è uno strumento di valutazione di scenari alternativi utilizzandola in altre parole come strumento in supporto alle decisioni (Cosentino, 2004).

FASI LCA

LCA è composta di diverse fasi susseguenti:
individuazione di scopi e obiettivi; inventario; analisi impatti; interpretazione e miglioramento.


INDIVIDUAZIONE DI SCOPI E OBIETTIVI:

sono definite le finalità dello studio, l’unità funzionale e i confini del sistema analizzato, dati necessari, eventuali assunzioni e procedure di verifica.
E’ importante studiare cosa intendiamo per punto d’inizio e punto di fine analisi del processo. Per unità funzionale occorre intendere la proiezione quantificata e per questo misurabile e oggettivamente riscontrabile d’un prodotto da utilizzare come unità di riferimento in uno studio LCA.

ANALISI INVENTARIO:

individuare tutti i flussi dalle diverse fasi del processo al prodotto finale.
In questo secondo step sono contabilizzati i flussi delle materie prime delle emissioni e dei loro componenti (individuati e quantificati i flussi in ingresso e uscita di un sistema prodotto lungo tutta la sua vita, i dati relativi vanno specificati al massimo per quel determinato processo, territorio, metodologia usata).
Serve una gran quantità d’informazione non sempre accessibile e per lo più si basa su dati trovati da altri e su altri lavori adattati con le conseguenze d’analisi poco oggettive e che cambiano in base all’autore di riferimento.

VALUTAZIONE IMPATTO:

L’analisi dell’inventario è lo strumento di base per valutare la portata dei possibili impatti dell’LCA. In generale il procedimento comporta l’associazione dei dati dell’inventario a specifici impatti (classificazione).
Nell’LCA un impatto è il risultato fisico immediato in una data operazione che è associata con uno o più effetti ambientali: con la correlazione dei consumi e delle emissioni (inventario) a specifiche categorie d’impatto  riferibili ad effetti ambientali conosciuti si quantifica il contributo complessivo che il processo o il prodotto arreca agli effetti considerati. L’impatto è rappresentato da valori numerici.
Gli specifici effetti  caratterizzanti le varie categorie d’impatto sono: effetto serra, assottigliamento fascia ozono, acidificazione, eutrofizzazione, formazione di smog fotochimico, tossicità per l’uomo e l’ambiente, consumo di risorse non rinnovabili in termini d’energia e materiali.
Dal punto di vista operativo la classificazione consiste nell’organizzare i dati dell’inventario, in altre parole i valori di tutte le emissioni: gassose, liquide e solide; provocate direttamente e indirettamente dalle operazioni considerate e distribuendoli nelle varie categorie d’impatto.

INTERPRETAZIONE E MIGLIORAMENTO:

Si valutano in questa fase le opportunità per minimizzare l’impatto associato ad un prodotto. Sono disponibili software per fare analisi dell’impatto ambientale. Si cercano le varie proposte di miglioramento e s’analizzano costruendo i vari profili ambientali

(Cosentino, 2004).

LIMITI

I limiti e i significati dell’applicazione LCA  riguardano la soggettività nella scelta delle fonti dei dati e l’individuazione dei confini del sistema.
La cosa più difficile è recuperare dati attendibili e definire entro quali confini ci si muove (se questi sono troppo ristretti, s’ottiene un processo pulito e invece si sposta il problema più a monte o più a valle della filiera). Non viene considerata la scala spazio temporale e non si considerano le variabili di tipo socioeconomico.
In breve l’analisi LCA è un primo passo verso una direzione univoca progettare gli impianti e le attività produttive non considerando solo variabili di tipo economico ma basandosi anche sull’impatto ambientale al fine d’ottenere la soluzione migliore e un processo agro-industriale sostenibile. Tutto ciò grazie ai limiti alle emissioni poste dal protocollo di Kyoto (Chiaramonti, 2004;Riello, 2003).

ESEMPI DI CALCOLO

Per chiarezza, riportiamo adesso uno studio LCA fatto dall’università di Padova su 450 aziende nel Veneto su alcune colture tradizionali per la produzione d’olio da autotrazione (Riello, 2003). Le colture sono la colza e il girasole.
La filiera di produzione energetica è considerata nel suo complesso dalla coltivazione all’allevamento. La dimensione delle aziende del progetto varia molto così come la loro specializzazione con ripercussioni sull’analisi LCA che diviene più complessa e con dati finali non prescindibili dalle specifiche situazioni d’analisi adottate.
La colza e il girasole danno rispettivamente rese ha di 2.665 kg e 3.000 kg con un bilancio della CO2 favorevole tanto che la quantità d’anidride carbonica complessivamente sottratta all’atmosfera è di 2.300 e 1.850 kg/ha sottoforma di prodotti e sottoprodotti vari.
Sono stati considerati tutti i sink del carbonio dal sistema suolo (suolo passivo, attivo, lento, strutturale, metabolico), pianta (biomassa radicale, essudati, biomassa aerea) all’allevamento (carne macellata, accrescimento, urine, feci).
Per finire i prodotti, scopo della filiera-olio-energia da usare nei vari scenari ipotizzati sia nell’azienda per riscaldamento che come olio puro e biodiesel da autotrazione per le trattrici, che come produzione d’energia attraverso gruppi elettrogeni modificati per andare ad olio puro (migliori risultati da olio puro per le trattrici, buoni per i gruppi elettrogeni, risultati molto bassi invece per il biodiesel e il riscaldamento) e farina residua d’estrazione da destinare all’allevamento aziendale dei bovini e pollame con il suo alto contenuto di proteine ben il 35-30% e calorie.
Il girasole e la colza coltivati sono utilizzati per arricchire di sostanza organica il terreno tramite l’apporto dei loro residui. Le deiezioni degli animali erano usate per arricchire il terreno di sostanza organica.
Nel calcolare l’LCA è attuato uno studio sulla struttura organica nel terreno e alla fine è svolto un bilancio della CO2 come differenza tra la CO2 fissata e l’anidride carbonica emessa nelle varie fasi di decadimento della sostanza organica.  Il bilancio energetico è risultato essere di 68,97 Gj/ha  come output finale per la colza di cui il 43% del valore energetico totale per l’olio estratto dalla granella, e il 57% è il valore energetico della farina residuo d’estrazione dopo il processo di disoleazione.
Gli input energetici sono stati determinati separatamente (per ogni fase di produzione del metilestere).  Il 72% del costo energetico complessivo è dovuto alla produzione in campo cioè 16,10 Gj/ha.
Girasole, e colza non sono risultate essere coltivazioni low input soprattutto per quanto riguarda la Brassica napus che abbisogna di notevoli input dai quali riesce a trarre grandi aumenti produttivi a differenza del girasole che sfrutta meno gli incrementi agrocolturali (soprattutto azotati).  Richiede la colza almeno il 36% dell’input complessivo sottoforma di concime.  Il girasole invece ha un output energetico complessivo pari a 80 Gj/ha.
La quota riferita all’olio è 54,5%. I costi energetici relativi alla coltivazione sono stati uguali a 21,6GJ per ha, ovvero il 76% degli input totali per l’ottenimento di granella.
I concimi da soli sono il 32,4% degli input concernenti la fase di campo.
Il bilancio energetico delle due colture è  corretto se analizziamo l’intera produzione (olio e farina d’estrazione), ma considerando la sola produzione d’estere questa non permette d’ottenere ampi margini di guadagno. La resa energetica netta per ha su anno è una  misura dell’efficienza dell’uso della terra e può essere usata per attuare un confronto tra energy crops. Per quanto riguarda la CO2, l’emissione dovuta al procedimento di produzione del metilestere (biodiesel) per la colza è pari a 1.506 kg/ha, di cui 1.206 kg/ha per la fase campo di CO2, pari all’80% della CO2 totale emessa.
I carburanti usati durante la fase colturale dalle trattrici sono responsabili del 47,3% delle emissioni. I concimi sono al secondo posto come causa d’emissioni di CO2 con 460 kg di CO2 il 38% della fase campo.
Si tratta di concimi sintetici azotati per lo più e la CO2 calcolata è comprensiva della loro sintesi (filiera di produzione) e degradazione in campo per opera degli agenti microbici.
Il girasole ha un emissione per l’intero processo produttivo del metilestere pari a 1.950 kg/ha, l’80% per la fase campo. La maggior emissione è rappresentata dai carburanti responsabili del 53.1% delle emissioni.
I concimi danno 464 kg di CO2, il 30% della CO2 nella fase campo.
Se analizziamo la CO2 fissata dalle piante e sottratta al sistema al netto degli input colturali (responsabili dell’emissione di anidride nell’atmosfera) la colza si nota funziona  da sink di carbonio meglio del girasole ma ciò è dovuto al fatto che per far posto al girasole le aziende non hanno piantato il mais con l’alta opera di immobilizzazione di CO2 operata da questa coltura. Il 57,4% della CO2 fissata è sequestrata dalla pianta e ripartita tra i vari prodotti utilizzabili.  L’olio  o il metilestere ricavato assorbe carbonio fino al suo utilizzo come combustibile e la farina stoccheranno CO2 fino al momento del suo impiego per l’alimentazione animale. Parte di questa CO2 resterà immobilizzata per un tempo più o meno lungo in funzione della trasformazione in altri prodotti come la massa animale e il liquame. 
L’energia spesa per la fase campo aumenta al numero d’operazioni colturali richieste. L’apporto d’azoto è responsabile della maggior parte degli input necessari  ed è meno necessario per il girasole. Il controllo chimico delle malerbe  e le concimazioni sono una forte  sorgente d’emissioni di CO2.
Aumentando l’input si ha una correlazione stretta per la colza e leggermente meno stretta per il girasole in termini produttivi. La colza utilizza meglio alti input, il girasole da rese più alte rispetto alla colza con bassi input.
L’intensificazione colturale è controproducente perchè aumenta l’emissione di CO2 nonostante aumentino le rese perché l’aumento delle lavorazioni, che diventa necessario,  provocano una degradazione della sostanza organica del terreno emettendo CO2 e questi effetti si bilanciano alla fine.
Il guadagno energetico invece è positivo e direttamente proporzionale alla resa colturale.
Per entrambe le colture più aumenta la resa, più si ha un incremento nella quantità di CO2 fissata.
Nella colza la quantità minima di resa necessaria per avere uno stoccaggio di sostanza organica è di 2.647 kg su ha di fronte a 2.666 kg su ha del girasole.
Solo il 50% delle aziende è in grado di stoccare CO2, che aumenta con la resa.
Riassumendo: i risultati ci dicono che la spesa energetica nella fase campo è correlata direttamente con gli input dovuti alla concimazione che sono il costo più importante. L’incremento del costo energetico per le colture  aumenta all’aumentare dell’output conseguibile, quindi ad un aumento della spesa energetica s’ottiene una riduzione del guadagno energetico.  Con l’intensificazione colturale, le colture hanno un incremento delle emissioni. L’effetto dell’incremento delle concimazioni si traduce in una diminuzione  della quantità di CO2 sottratta dall’atmosfera poiché una delle più importanti fonti d’emissione di CO2 è legata alle concimazioni. Nel girasole l’effetto è più marcato perchè all’aumentare degli input azotati non corrisponde un aumento degli output energetici.
L’intensificazione colturale non comporta variazioni nella quantità di CO2 fissata nel terreno, nonostante aumentino i residui colturali.
L’ efficienza d’immobilizzazione della CO2 per entrambe le colture tende a diminuire con l’aumento dell’input energetico.  La maggior efficienza d’immobilizzazione della CO2 è ottenuta dal girasole essendo più rustico delle brassicacee e dimostrando come una coltura low o medium input abbia a questo riguardo efficienze maggiori.
Con questi dati è stato realizzato un software per la valutazione ambientale dell’azienda. Tralasciando il lavoro in esame soffermiamoci ora sugli input e gli otuput scelti per il calcolo del bilancio energetico e della CO2.
La resa in granella della coltura oleaginosa è quantificabile sia come energia generata dal processo di coltivazione  che come sink di CO2, poiché costituita da carbonio.
Tale energia e CO2 richiedono altra energia e anidride per essere prodotte (macchine, combustibili fossili, prodotti) è possibile stilare un bilancio energetico  e della CO2.
Per fare ciò i dati colturali immessi dall’utente (resa coltura, tipo operazioni colturali, erbicidi) sono quantificate e commentate con un giudizio di convenienza ovvero una valutazione di carattere ambientale sull’energia consumata nella gestione della coltura. Ogni processo che utilizza energia, libera nell’ambiente CO2 e il programma tenendo conto della quantità di carbonio contenuta nella biomassa e nei possibili prodotti derivati, dell’anidride carbonica rilasciata nella fase di coltivazione e trasformazione dei prodotti, della quantità di CO2 immagazzinata nei residui colturali e nella sostanza organica del terreno, calcola un bilancio finale dell’anidride carbonica.
Anche qui attraverso le voci del bilancio s’ottiene una valutazione ambientale delle tecniche colturali adottate in termini di CO2.
Vediamo ora gli input e output considerati per una parcella di terreno, per stilare

IL BILANCIO ENERGETICO:

Input: consumo gasolio, lubrificanti, quantità semi, fitofarmaci, concimi, trattamenti, quota ammortamento per la costruzione della trattrice, quota per la manutenzione della trattrice, quota ammortamento per la costruzione dell’operatrice, quota manutenzione operatrice.

Voci negative:
sommatoria energia consumata nella singola operazione colturale, energia consumata nel trasporto dei prodotti, energia consumata nella trasformazione prodotti, essiccazione, macinazione, disoleazione, mutilazione.

Voci positive:
energia nel terreno, energia nei prodotti finali ovvero farina e metilestere 

BILANCIO CO2 :

Voci positive: CO2 stoccata nel terreno, CO2 stoccata nei prodotti finali metilestere e farina.
Voci negative: somma CO2 emessa singola operazione colturale, CO2 emessa trasporto prodotti, CO2 emessa nella trasformazione prodotti (essiccazione, macinazione, disoleazione, mutilazione).
Per la trasformazione in CO2 della quantità di materia si procede attraverso la conversione con coefficienti dell’energia del prodotto.
Il software da come risultati i Gj /ha d’energia spesa e guadagnata.
Costo  energetico della fase campo, costo energetico totale.
Output energetico totale (energia contenuta nel metilestere e nella farina). Guadagno energetico totale = output-input ).
 Analogamente per la CO2 (g/ha) si riporta:

CO2 emessa nella fase di campo, CO2 fissato output totale (stoccata nel metilestere  e nella farina) CO2 sottratta all’atmosfera (fissata totale –emessa totale), CO2 incorporata nel terreno e nella coltura (fissata totale più fissata terreno), CO2 fissata nel terreno,
 CO2 bilancio totale (sottratta atmosfera più fissata terreno).
Alla fine il software da 2 valori d’efficienza uno per l’efficienza d’immobilizzazione della CO2 nella fase campo e l’altro per l’efficienza d’immobilizzazione della CO2 totale calcolata secondo il rapporto: efficienza= CO2 fissata/energia spesa.
Con questi valori si vuole dare un’idea di quanta energia è utilizzata per ottenere uno stoccaggio di CO2 (Riello, 2005).
Nella Tab.1 riporto valori relativi alle emissioni di anidride carbonica in una filiera produttiva di girasole alto oleico destinato all’autotrazione.



Tab.1 Valori relativi ad una filiera di girasole alto oleico destinato all’autotrazione.

(Riello, 2003).



Equivalente energetico
Kg CO2 su ha.
%
Fase di campo
Emissioni dirette
301,85
18,9
Emissioni indirette
1.025,35
64,3
Totale
1.327,18
83,2
Fase d’estrazione dell’olio
Emissioni dirette
246,22
15,4
Emissioni indirette
9,59
0,6
Totale
255,81
16
Fase utilizzo dell’olio
Emissioni indirette
9,59
0,6
Totale
255,81
16
Totali emissioni
1.594,15
100



L’analisi LCA può anche essere usata per comparare la resa di diverse colture da energia e la loro coltivazione a alti e bassi input come fatto dal progetto Tisen con cardo, arundo, miscanto, sorgo var.abetone, mais (Tisen, 2004).
Nel prossimo paragrafo è illustrato il bilancio energetico del progetto Tisen.



Bilancio CO2 equivalente nella filiera bioenergica:

Nel biennio 2002-2004 è stata applicata l’analisi LCA per valutare gli effetti ambientali della produzione di bioenergia da colza, sorgo, miscanto, Cardo cynara in varie zone italiane.
E’ stato poi ottenuto etbe ovvero etil-ter-butil-eter(un alcol) dal sorgo zuccherino e rme ovvero metilestere (estere) la colza.
L’etbe ha mostrato in media un risparmio energetico quasi doppio rispetto agli altri biocombustibili liquidi.
Le categorie consumo di risorse abiotiche ed effetto serra hanno fatto registrare significativi vantaggi a carico dei biocombustibili rispetto ai carburanti fossili.
La CO2 conservata riferita all’ettaro è stata cospicua  per le colture più produttive ovvero l’Arundo donax e il Miscanto, avendo fatto registrare emissioni di CO2 evitate pari a 30 t/ha.  Una serie di categorie d’impatto sono a favore del combustibile fossile quali : l’eutrofizzazione acque, acidificazione dell’atmosfera, esaurimento dell’ozono atmosferico da attribuire essenzialmente ad alcune operazioni colturali che incidono su di loro.
Nel complesso la filiera biodiesel e la filiera produzione d’energia termica hanno fatto avere valori d’impatto ambientale più bassi rispetto alla filiera etbe, questo perchè v’è una fase industriale molto complessa per la produzione d’etil-ter-butil-eter dal sorgo.



G.N.

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