Il sistema LCA è un metodo d’analisi basato sul ciclo
della vita detto LCA, che permette di
determinare la resa energetica (EROEI)
e di confrontare le tecnologie su basi oggettive e non legate alle oscillazioni
economiche del momento o sul supporto occulto o palese del governo.
E’ l’evoluzione della tecnica d’analisi energetica, un
approccio totalmente nuovo all’analisi del sistema agro-industriale perché dà
una visione d’insieme.
Grazie alla LCA
possiamo capire se il processo produttivo va nell’ottica dello sviluppo
sostenibile per conservare le risorse naturali e minimizzare l’effetto serra.
L’approccio di questa metodologia è l’analisi sistematica
che valuta i flussi di materia ed energia durante tutta la vita di un prodotto
dall’estrazione della materia prima alla produzione, all’utilizzo, fino
all’eliminazione del prodotto una volta finito.
Considerando le operazioni dell’intera catena produttiva
nel loro complesso appaiono lati oscuri che sono messi in evidenza.
L’analisi LCA è una raccolta completa di tutti i
dati concernenti, la fabbricazione di un prodotto con l’obiettivo di creare un
sistema informatico di gestione ambientale in grado di tenere sotto controllo
le emissioni di CO2, i consumi di risorse e gli effetti connessi.
LCA è fatta per
evidenziare i punti deboli del processo e intervenire per diminuire l’impatto
ambientale del prodotto o per comparare differenti prodotti e fare delle
scelte.
La metodologia LCA
è uno strumento di valutazione di scenari alternativi utilizzandola in altre
parole come strumento in supporto alle decisioni (Cosentino, 2004).
FASI LCA
LCA è composta
di diverse fasi susseguenti:
individuazione di scopi e obiettivi; inventario; analisi
impatti; interpretazione e miglioramento.
INDIVIDUAZIONE
DI SCOPI E OBIETTIVI:
sono
definite le finalità dello studio, l’unità funzionale e i confini del sistema
analizzato, dati necessari, eventuali assunzioni e procedure di verifica.
E’ importante studiare cosa intendiamo per punto d’inizio
e punto di fine analisi del processo. Per unità funzionale occorre intendere la
proiezione quantificata e per questo misurabile e oggettivamente riscontrabile
d’un prodotto da utilizzare come unità di riferimento in uno studio LCA.
ANALISI
INVENTARIO:
individuare
tutti i flussi dalle diverse fasi del processo al prodotto finale.
In
questo secondo step sono contabilizzati i flussi delle materie prime delle
emissioni e dei loro componenti (individuati e quantificati i flussi in
ingresso e uscita di un sistema prodotto lungo tutta la sua vita, i dati
relativi vanno specificati al massimo per quel determinato processo,
territorio, metodologia usata).
Serve
una gran quantità d’informazione non sempre accessibile e per lo più si basa su
dati trovati da altri e su altri lavori adattati con le conseguenze d’analisi
poco oggettive e che cambiano in base all’autore di riferimento.
VALUTAZIONE
IMPATTO:
L’analisi
dell’inventario è lo strumento di base per valutare la portata dei possibili
impatti dell’LCA. In generale il
procedimento comporta l’associazione dei dati dell’inventario a specifici
impatti (classificazione).
Nell’LCA un
impatto è il risultato fisico immediato in una data operazione che è associata
con uno o più effetti ambientali: con la correlazione dei consumi e delle
emissioni (inventario) a specifiche categorie d’impatto riferibili ad effetti ambientali conosciuti
si quantifica il contributo complessivo che il processo o il prodotto arreca
agli effetti considerati. L’impatto è rappresentato da valori numerici.
Gli specifici effetti
caratterizzanti le varie categorie d’impatto sono: effetto serra,
assottigliamento fascia ozono, acidificazione, eutrofizzazione, formazione di
smog fotochimico, tossicità per l’uomo e l’ambiente, consumo di risorse non
rinnovabili in termini d’energia e materiali.
Dal punto di vista
operativo la classificazione consiste nell’organizzare i dati dell’inventario,
in altre parole i valori di tutte le emissioni: gassose, liquide e solide;
provocate direttamente e indirettamente dalle operazioni considerate e
distribuendoli nelle varie categorie d’impatto.
INTERPRETAZIONE E MIGLIORAMENTO:
Si valutano in questa fase le opportunità per minimizzare
l’impatto associato ad un prodotto. Sono disponibili software per fare analisi
dell’impatto ambientale. Si cercano le varie proposte di miglioramento e
s’analizzano costruendo i vari profili ambientali
(Cosentino, 2004).
LIMITI
I limiti e i
significati dell’applicazione LCA riguardano la soggettività nella scelta delle
fonti dei dati e l’individuazione dei confini del sistema.
La cosa più difficile è recuperare dati attendibili e
definire entro quali confini ci si muove (se questi sono troppo ristretti,
s’ottiene un processo pulito e invece si sposta il problema più a monte o più a
valle della filiera). Non viene considerata la scala spazio temporale e non si
considerano le variabili di tipo socioeconomico.
In breve l’analisi LCA
è un primo passo verso una direzione univoca progettare gli impianti e le
attività produttive non considerando solo variabili di tipo economico ma
basandosi anche sull’impatto ambientale al fine d’ottenere la soluzione
migliore e un processo agro-industriale sostenibile. Tutto ciò grazie ai limiti
alle emissioni poste dal protocollo di Kyoto
(Chiaramonti, 2004;Riello, 2003).
ESEMPI DI CALCOLO
Per chiarezza,
riportiamo adesso uno studio LCA fatto dall’università di Padova su 450
aziende nel Veneto su alcune colture tradizionali per la produzione d’olio da
autotrazione (Riello, 2003). Le colture sono la colza e il girasole.
La filiera di
produzione energetica è considerata nel suo complesso dalla coltivazione
all’allevamento. La dimensione delle aziende del progetto varia molto così come
la loro specializzazione con ripercussioni sull’analisi LCA che diviene più complessa e con dati finali non prescindibili dalle
specifiche situazioni d’analisi adottate.
La colza e il
girasole danno rispettivamente rese ha di 2.665 kg e 3.000 kg con un bilancio
della CO2 favorevole
tanto che la quantità d’anidride carbonica complessivamente sottratta
all’atmosfera è di 2.300 e 1.850 kg/ha sottoforma di prodotti e sottoprodotti
vari.
Sono stati
considerati tutti i sink del carbonio dal sistema suolo (suolo passivo, attivo,
lento, strutturale, metabolico), pianta (biomassa radicale, essudati, biomassa
aerea) all’allevamento (carne macellata, accrescimento, urine, feci).
Per finire i
prodotti, scopo della filiera-olio-energia da usare nei vari scenari ipotizzati
sia nell’azienda per riscaldamento che come olio puro e biodiesel da
autotrazione per le trattrici, che come produzione d’energia attraverso gruppi
elettrogeni modificati per andare ad olio puro (migliori risultati da olio puro
per le trattrici, buoni per i gruppi elettrogeni, risultati molto bassi invece
per il biodiesel e il riscaldamento) e farina residua d’estrazione da destinare
all’allevamento aziendale dei bovini e pollame con il suo alto contenuto di proteine
ben il 35-30% e calorie.
Il girasole e la
colza coltivati sono utilizzati per arricchire di sostanza organica il terreno
tramite l’apporto dei loro residui. Le deiezioni degli animali erano usate per
arricchire il terreno di sostanza organica.
Nel calcolare l’LCA è attuato uno studio sulla struttura organica nel terreno e alla fine
è svolto un bilancio della CO2 come differenza tra la CO2 fissata e l’anidride carbonica emessa nelle varie fasi di decadimento
della sostanza organica. Il bilancio energetico
è risultato essere di 68,97 Gj/ha come
output finale per la colza di cui il 43% del valore energetico totale per
l’olio estratto dalla granella, e il 57% è il valore energetico della farina
residuo d’estrazione dopo il processo di disoleazione.
Gli input
energetici sono stati determinati separatamente (per ogni fase di produzione
del metilestere). Il 72% del costo
energetico complessivo è dovuto alla produzione in campo cioè 16,10 Gj/ha.
Girasole, e colza
non sono risultate essere coltivazioni low input soprattutto per quanto
riguarda la Brassica napus che abbisogna di notevoli input dai quali
riesce a trarre grandi aumenti produttivi a differenza del girasole che sfrutta
meno gli incrementi agrocolturali (soprattutto azotati). Richiede la colza almeno il 36% dell’input
complessivo sottoforma di concime. Il
girasole invece ha un output energetico complessivo pari a 80 Gj/ha.
La quota riferita
all’olio è 54,5%. I costi energetici relativi alla coltivazione sono stati
uguali a 21,6GJ per ha, ovvero il 76% degli input totali per l’ottenimento di
granella.
I concimi da soli sono il 32,4% degli input
concernenti la fase di campo.
Il bilancio
energetico delle due colture è corretto
se analizziamo l’intera produzione (olio e farina d’estrazione), ma
considerando la sola produzione d’estere questa non permette d’ottenere ampi
margini di guadagno. La resa energetica netta per ha su anno è una misura dell’efficienza dell’uso della terra e
può essere usata per attuare un confronto tra energy crops. Per quanto riguarda
la CO2, l’emissione
dovuta al procedimento di produzione del metilestere (biodiesel) per la colza è
pari a 1.506 kg/ha, di cui 1.206 kg/ha per la fase campo di CO2, pari all’80% della CO2 totale emessa.
I carburanti usati durante la fase colturale
dalle trattrici sono responsabili del 47,3% delle emissioni. I concimi sono al
secondo posto come causa d’emissioni di CO2 con 460 kg di CO2 il 38% della fase campo.
Si tratta di concimi sintetici azotati per lo
più e la CO2
calcolata è comprensiva della loro sintesi (filiera di produzione) e
degradazione in campo per opera degli agenti microbici.
Il girasole ha un
emissione per l’intero processo produttivo del metilestere pari a 1.950 kg/ha,
l’80% per la fase campo. La maggior emissione è rappresentata dai carburanti
responsabili del 53.1% delle emissioni.
I concimi danno
464 kg di CO2, il
30% della CO2 nella
fase campo.
Se analizziamo la
CO2 fissata dalle
piante e sottratta al sistema al netto degli input colturali (responsabili
dell’emissione di anidride nell’atmosfera) la colza si nota funziona da sink di carbonio meglio del girasole ma
ciò è dovuto al fatto che per far posto al girasole le aziende non hanno
piantato il mais con l’alta opera di immobilizzazione di CO2 operata da questa coltura. Il 57,4% della CO2 fissata è sequestrata dalla pianta e
ripartita tra i vari prodotti utilizzabili.
L’olio o il metilestere ricavato
assorbe carbonio fino al suo utilizzo come combustibile e la farina
stoccheranno CO2
fino al momento del suo impiego per l’alimentazione animale. Parte di questa CO2 resterà immobilizzata per un tempo più o
meno lungo in funzione della trasformazione in altri prodotti come la massa
animale e il liquame.
L’energia spesa
per la fase campo aumenta al numero d’operazioni colturali richieste. L’apporto
d’azoto è responsabile della maggior parte degli input necessari ed è meno necessario per il girasole. Il
controllo chimico delle malerbe e le
concimazioni sono una forte sorgente
d’emissioni di CO2.
Aumentando
l’input si ha una correlazione stretta per la colza e leggermente meno stretta
per il girasole in termini produttivi. La colza utilizza meglio alti input, il
girasole da rese più alte rispetto alla colza con bassi input.
L’intensificazione
colturale è controproducente perchè aumenta l’emissione di CO2 nonostante aumentino le rese perché
l’aumento delle lavorazioni, che diventa necessario, provocano una degradazione della sostanza
organica del terreno emettendo CO2 e questi effetti si bilanciano alla fine.
Il guadagno
energetico invece è positivo e direttamente proporzionale alla resa colturale.
Per entrambe le
colture più aumenta la resa, più si ha un incremento nella quantità di CO2 fissata.
Nella colza la
quantità minima di resa necessaria per avere uno stoccaggio di sostanza
organica è di 2.647 kg su ha di fronte a 2.666 kg su ha del girasole.
Solo il 50% delle
aziende è in grado di stoccare CO2, che aumenta con la resa.
Riassumendo: i
risultati ci dicono che la spesa energetica nella fase campo è correlata
direttamente con gli input dovuti alla concimazione che sono il costo più
importante. L’incremento del costo energetico per le colture aumenta all’aumentare dell’output
conseguibile, quindi ad un aumento della spesa energetica s’ottiene una
riduzione del guadagno energetico. Con
l’intensificazione colturale, le colture hanno un incremento delle emissioni.
L’effetto dell’incremento delle concimazioni si traduce in una diminuzione della quantità di CO2 sottratta dall’atmosfera poiché una delle
più importanti fonti d’emissione di CO2 è legata alle concimazioni. Nel girasole
l’effetto è più marcato perchè all’aumentare degli input azotati non
corrisponde un aumento degli output energetici.
L’intensificazione colturale non comporta
variazioni nella quantità di CO2 fissata nel terreno, nonostante aumentino i residui colturali.
L’ efficienza
d’immobilizzazione della CO2 per entrambe le colture tende a diminuire con
l’aumento dell’input energetico. La
maggior efficienza d’immobilizzazione della CO2 è ottenuta dal girasole essendo più rustico
delle brassicacee e dimostrando come una coltura low o medium input
abbia a questo riguardo efficienze maggiori.
Con questi dati è
stato realizzato un software per la valutazione ambientale dell’azienda.
Tralasciando il lavoro in esame soffermiamoci ora sugli input e gli otuput
scelti per il calcolo del bilancio energetico e della CO2.
La resa in
granella della coltura oleaginosa è quantificabile sia come energia generata
dal processo di coltivazione che come
sink di CO2, poiché
costituita da carbonio.
Tale energia e CO2 richiedono altra energia e anidride per
essere prodotte (macchine, combustibili fossili, prodotti) è possibile stilare
un bilancio energetico e della CO2.
Per fare ciò i
dati colturali immessi dall’utente (resa coltura, tipo operazioni colturali,
erbicidi) sono quantificate e commentate con un giudizio di convenienza ovvero
una valutazione di carattere ambientale sull’energia consumata nella gestione
della coltura. Ogni processo che utilizza energia, libera nell’ambiente CO2 e il programma tenendo conto della quantità
di carbonio contenuta nella biomassa e nei possibili prodotti derivati,
dell’anidride carbonica rilasciata nella fase di coltivazione e trasformazione
dei prodotti, della quantità di CO2 immagazzinata nei residui colturali e nella sostanza organica del
terreno, calcola un bilancio finale dell’anidride carbonica.
Anche qui attraverso le voci del bilancio
s’ottiene una valutazione ambientale delle tecniche colturali adottate in
termini di CO2.
Vediamo ora gli
input e output considerati per una parcella di terreno, per stilare
IL BILANCIO ENERGETICO:
Input: consumo
gasolio, lubrificanti, quantità semi, fitofarmaci, concimi, trattamenti, quota
ammortamento per la costruzione della trattrice, quota per la manutenzione
della trattrice, quota ammortamento per la costruzione dell’operatrice, quota
manutenzione operatrice.
Voci negative:
sommatoria
energia consumata nella singola operazione colturale, energia consumata nel
trasporto dei prodotti, energia consumata nella trasformazione prodotti,
essiccazione, macinazione, disoleazione, mutilazione.
Voci positive:
energia nel
terreno, energia nei prodotti finali ovvero farina e metilestere
BILANCIO CO2 :
Voci
positive: CO2
stoccata nel terreno, CO2 stoccata nei prodotti finali metilestere e farina.
Voci
negative: somma CO2
emessa singola operazione colturale, CO2 emessa trasporto prodotti, CO2 emessa nella trasformazione prodotti
(essiccazione, macinazione, disoleazione, mutilazione).
Per
la trasformazione in CO2 della quantità di materia si procede attraverso la conversione con
coefficienti dell’energia del prodotto.
Il
software da come risultati i Gj /ha d’energia spesa e guadagnata.
Costo energetico della fase campo, costo energetico
totale.
Output energetico
totale (energia contenuta nel metilestere e nella farina). Guadagno energetico
totale = output-input ).
Analogamente per la CO2 (g/ha) si riporta:
CO2
emessa nella fase di campo, CO2 fissato output totale (stoccata nel metilestere e nella farina) CO2 sottratta all’atmosfera (fissata totale
–emessa totale), CO2
incorporata nel terreno e nella coltura (fissata totale più fissata terreno), CO2 fissata nel terreno,
CO2 bilancio totale (sottratta atmosfera più fissata terreno).
Alla fine il
software da 2 valori d’efficienza uno per l’efficienza d’immobilizzazione della
CO2 nella fase campo
e l’altro per l’efficienza d’immobilizzazione della CO2 totale calcolata secondo il rapporto:
efficienza= CO2
fissata/energia spesa.
Con questi valori
si vuole dare un’idea di quanta energia è utilizzata per ottenere uno
stoccaggio di CO2
(Riello, 2005).
Nella Tab.1 riporto valori relativi alle emissioni di anidride carbonica in una filiera
produttiva di girasole alto oleico destinato all’autotrazione.
Tab.1 Valori relativi ad una filiera di girasole
alto oleico destinato all’autotrazione.
(Riello, 2003).
Equivalente energetico
|
“
|
|
Kg CO2 su ha.
|
%
|
|
Fase di campo
|
“
|
“
|
Emissioni dirette
|
301,85
|
18,9
|
Emissioni indirette
|
1.025,35
|
64,3
|
Totale
|
1.327,18
|
83,2
|
Fase d’estrazione dell’olio
|
“
|
“
|
Emissioni dirette
|
246,22
|
15,4
|
Emissioni indirette
|
9,59
|
0,6
|
Totale
|
255,81
|
16
|
Fase utilizzo dell’olio
|
“
|
“
|
Emissioni indirette
|
9,59
|
0,6
|
Totale
|
255,81
|
16
|
Totali emissioni
|
1.594,15
|
100
|
L’analisi LCA
può anche essere usata per comparare la resa di diverse colture da energia e la
loro coltivazione a alti e bassi input come fatto dal progetto Tisen con cardo,
arundo, miscanto, sorgo var.abetone, mais (Tisen, 2004).
Nel prossimo paragrafo è illustrato il bilancio energetico
del progetto Tisen.
Bilancio CO2
equivalente nella filiera bioenergica:
Nel biennio 2002-2004 è stata applicata l’analisi LCA per valutare gli effetti ambientali
della produzione di bioenergia da colza, sorgo, miscanto, Cardo cynara in varie zone italiane.
E’ stato poi ottenuto etbe
ovvero etil-ter-butil-eter(un alcol)
dal sorgo zuccherino e rme ovvero metilestere (estere) la colza.
L’etbe ha
mostrato in media un risparmio energetico quasi doppio rispetto agli altri
biocombustibili liquidi.
Le categorie consumo di risorse abiotiche ed effetto serra
hanno fatto registrare significativi vantaggi a carico dei biocombustibili
rispetto ai carburanti fossili.
La CO2
conservata riferita all’ettaro è stata cospicua
per le colture più produttive ovvero l’Arundo
donax e il Miscanto, avendo fatto registrare emissioni di CO2
evitate pari a 30 t/ha. Una serie di
categorie d’impatto sono a favore del combustibile fossile quali :
l’eutrofizzazione acque, acidificazione dell’atmosfera, esaurimento dell’ozono
atmosferico da attribuire essenzialmente ad alcune operazioni colturali che
incidono su di loro.
Nel complesso la
filiera biodiesel e la filiera produzione d’energia termica hanno fatto avere
valori d’impatto ambientale più bassi rispetto alla filiera etbe, questo perchè v’è una fase
industriale molto complessa per la produzione d’etil-ter-butil-eter dal sorgo.
G.N.
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