L’Italia ha avuto un passato da pioniere per
quel che riguarda i nuovi combustibili alternativi. La prima società italiana
che si interessò nella produzione del biodiesel fu la Estereco di Umbertide nel
1993. Era un’azienda all’avanguardia, finanziata in parte dalla CEE in un
progetto che prevedeva due impianti simili in Francia e Germania. Costata circa
10 miliardi (di cui circa 3 pubblici per il finanziamento europeo), produceva
biocombustibili ecologici da materie agricole, in particolare produceva
biodiesel per esterificazione dell’olio di colza e aveva una capacità
produttiva di 30 mila tonnellate all’anno. Tuttavia questa trovò molti dissensi
da parte di alcune case petrolifere che limitarono il suo sviluppo (Portanova,
2005). Le società che attualmente producono il biodiesel sono nove: la Comlube
S.r.l. di Brescia, la DP Lubrificanti di Genova, la Fox Petroli S.p.A. di
Pesaro, la GDR Biocarburanti di Cernusco sul Naviglio (MI), la Ital Bi Oil
S.r.l. di Bari, la Mythen di Matera, la Novaoil di Milano, la Oil.b S.r.l. di
Varese e la Redoil Italia S.p.A. di Napoli. Queste società sono raccolte in
un’associazione, Assobiodiesel, che svolge attività istituzionali tutelando
interessi di ordine economico, tecnico e sindacale dei singoli associati (www.assobiodiesel.it).
Tuttavia le capacità produttive di tali società sono ben superiori ai limiti di
defiscalizzazione imposti dalla legge e oggi il biocarburante prodotto oltre la
quota fissata paga le stesse imposte del gasolio. A livello comunitario, queste
aziende produttrici sono raggruppate nell’EBB, European Biodiesel Board, che ne
rappresenta gli interessi di fronte a tutti gli organismi internazionali.
Oggi,
tuttavia, con il cambiamento del quadro normativo rispetto alla
commercializzazione del bioetanolo, si punta sempre di più allo sviluppo della
produzione di questo biocarburante. Ne è un
esempio la recente nascita di Alcoplus, il più importante polo italiano, nonché
il quinto europeo, per la produzione di bioetanolo destinato all’uso come carburante
alternativo. Questa società è nata a Faenza nel luglio del 2005 dalla joint
venture sottoscritta da Alc.Este. S.p.A. per il 40% e da Caviro Sca per il 60%.
Il suo obbiettivo è quello di diventare il più grande polo produttivo italiano
di alcool etilico destinato alla biocarburazione. La struttura produttiva sarà
composta inizialmente da due presidi industriali già operanti: la distilleria
Alc.Este. di Ferrara e la distilleria Caviro di Faenza, che garantiranno una
capacità produttiva di circa 120 milioni di litri di alcol annui, ponendo
Alcoplus, fra i principali produttori europei fin dalla sua partenza. Secondo
le stime svolte nella fase progettuale, Alcoplus dovrebbe essere in grado di
fatturare circa 50 milioni di Euro all’anno. Per avviare la commercializzazione
del bioetanolo, necessario per la produzione di Etbe (etil terbutil-etere)
utilizzato come additivo ossigenato e antidetonante nelle benzine verdi, ha
aderito alla Sibe (Società italiana bioetanolo), che rappresenta l’unica realtà
italiana in grado di fornire bioetanolo alle società petrolifere. Alla Sibe,
oltre ad Alcoplus, partecipano anche Ima con una distilleria, e Sedamyl, una
Joint venture italo-belga (Collina, 2006; www.biofox.com).
G.N.
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