Diamo un'occhiata
ai rendimenti energetici del biodiesel.
Una volta
raccolta la biomassa algale, se oleaginosa, se ne può estrarre l’olio e usarlo
per l’autotrasporto invece che bruciarlo in centrale, ma prima questo va
esterificato per ottenere biodiesel in grandi impianti e con ulteriori costi
energetici.
La Cereol
Italia rileva i seguenti costi energetici per l’esterificazione di 100 kg
d’olio:
1. Costo per esterificazione effetuato per un
ora a 80°C è pari a 4.253 kcal ovvero 0,0177 Gj.
2. Costo per distillazione semplice del
glicerolo grezzo e del metanolo pari a 5.000 kcal ovvero 0,0209Gj.
3. Costo per distillazione degli esteri metilici
pari a 15.000 kcal ovvero 0,0623Gj.
4. Costo complessivo di questa operazione è
risultato pertanto di 24.235 kcal equivalente a 0,101 Gj.
Considerando che dal processo
d’esterificazione s’ottengono 95 kg d’estere, il costo energetico espresso in t
d’estere è:
0,0101/95*100 = 0,11Gj*q¯¹ pari a 1,1Gj*t¯¹. In termini quantitativi ho che
da 1,05 t di olio e 0,11 t d’alcol ottengo 1t d’estere o 1t di glicerina e
0,023 d’acidi grassi.
Dal bilancio d’energia del biodiesel sappiamo che l’energia
prodotta dal biodiesel è doppia
rispetto a quella spesa in energia fossile
per la produzione (Riello, 2003. Specogna, 2006).
Se poi si considerano tutti i
sottoprodotti allora l’energia totale prodotta è 5,4 volte superiore all’unità
d’energia spesa per la produzione.
Il
bilancio energetico del biodiesel secondo il dipartimento di chimica
dell’Università di Siena è di soli 0,31 unità d’energia fossile per produrre un
unità di biodiesel
(Basosi, 2005).
Efficienza
conversione a etanolo.
Se la biomassa algale coltivata invece è
ad alto tenore glucidico come nel caso della
Palmiria palmata e della Laminaria saccharina può essere
convertita in etanolo. La fermentazione alcolica è un processo di tipo
microaereofilo che opera la trasformazione dei glucidi contenuti nella biomassa
in bioetanolo ovvero alcol etilico. Tra tutti i prodotti alternativi proposti
come carburanti per i trasporti il bioetanolo è quello che mostra il miglior
compromesso tra prezzo, disponibiltà e prestazioni. Da 3 t di biomassa
mediamente zuccherina s’ottengono 1 t di bioetanolo con un rapporto 3/1 di
conversione energetica.
Vale per le piante coltivate e dipende
essenzialmente dal contenuto in amidi e zuccheri fermentabili della biomassa.
Per le alghe l’efficienza energetica sarebbe maggiore non essendovi la
necessità d’essiccare la massa algale.
Efficienza conversione a idrogeno.
La biomassa algale può essere convertita attraverso un
processo di pirolisi ad esempio in olio
di pirolisi o Bco, da questo a sua volta
si può ottenere mediante il reforming catalitico un grande vettore d’energia: l’idrogeno.
Partendo da etanolo possiamo avere lo stesso risultato ma con rese inferiori.
Oppure l’idrogeno può essere ottenuto direttamente da alcune specie di alghe
fatte crescere sotto stress in determinati reattori al buio o alla luce in
fotobioreattori usando acque sporche e substrati ottenuti da materiale
agricolo-alimentare di scarto(Kapdan, 2005 e Dante,
2004).
Analisi sistemi di produzione integrata acquacoltura-energia.
Le possibili modalità d'impianto per l'utilizzo e
produzione d'alghe a fini energetici oggi giorno sono diverse e divise in
sistemi di produzione a ciclo aperto e a ciclo chiuso in rapporto al sequestro
nel tempo della CO2.
Classici sistemi chiusi sono la filiera produttiva
d'acquicoltura in cui reflui delle vasche d’allevamento dei pesci, ricche
d’azoto e fosforo e micro elementi
dovute alle deiezioni vengono utilizzate per avviare l’allevamento delle alghe
e le stesse infine sono raccolte e lavorate per estrarne l’olio da usare a
scopi energetici mentre la farina residuo d’estrazione è usata per alimentare
una vicina pescicoltura.
Un altro sistema produttivo a ciclo chiuso è rappresentato
da un industria termica per la produzione d’energia (meglio se alimentata a
carbone) le cui emissioni d’anidride sono usate per aumentare la crescita delle
alghe in vasche chiuse come le acque usate per il raffreddamento delle turbine.
L'olio ottenuto
dalle alghe verrà poi bruciato all'interno della centrale elettrica o in un
altro luogo. Possiamo identificare come sistemi produttivi a ciclo chiuso tutti
quelli ove vi sia uno spinto riciclo della materia e che nella fattispecie sono
molto adatti per impianti di piccole dimensioni che puntino al recupero di
risorse altrimenti sprecate, come ad esempio nel caso dell'associazione tra
allevamento-pescicoltura e algacoltura. In questo caso riutilizziamo le
deiezioni dei suini o dei pesci che
presentano un costo ambientale “alto” e le bonifichiamo usandole per le alghe a
loro volta utilizzate (in parte) come fonte di mangime per gli animali.
Il problema nei sistemi di produzione a ciclo chiuso è che
insieme al riciclo della sostanza organica s'attua anche un riciclo dei metalli
pesanti e dei composti tossici (fitofarmaci, ddt) che non vengono smaltiti
nell'ambiente ma reintrodotti nel ciclo produttivo con un progressivo
bioaccumulo seguendo i percorsi della catena trofica.
Un sistema produttivo a ciclo aperto è rappresentato da
una produzione principale d’alghe (usando acque e terreni non altrimenti
utilizzabili e i cui costi non saranno conteggiati) valutando gli input e gli
output energetici dati dal potere calorifico dell'olio le per tonnelate
prodotte. Il valore così ottenuto dovrà essere superiore al costo energetico
richiesto per la messa in uso dell'impianto e la sua manutenzione più i costi energetici
vari e solo se avremo un EROEI
maggiore di uno, la fattibilità dell'impianto potrà essere presa in
considerazione per l'area da noi ipotizzata.
Per intendersi:
il concetto di sistema o meglio filiera agroindustriale a ciclo chiuso vuole
essere in sintesi un transfert verso un ideale di ciclo produttivo antropico
che prenda ad esempio i cicli e microcicli naturali che integrati
nell’ecositema fanno sì che l'efficenza
d'utilizzo delle risorse sia ottimizzata al meglio; con ciò intendiamo
evidenziare il concetto secondo il quale l'autosufficienza dei processi
agroindustriali possa andare anche contro l'efficenza energetica (ed economica)
nel breve termine per guardare al medio-lungo termine. Ad esempio la produzione
di materiale plastico dalle colture d'alghe stesse che poi sarà usata per fare
i bio-reattori della loro coltura se controproducente in termini energetici nel
breve termine è comunque di per se interessante affinchè non si scarichino a
valle del processo produttivo i costi ambientali della produzione.
Il dualismo da considerare efficienza energetica ed
emissione di CO2 unito al consumo di risorse rinnovabili creano i
presupposti per una scelta più oculata degli impianti produttivi. La somma
delle microfiliere agroindustriali porta ad un ottimizzazione massima delle
risorse in un contesto globale e ipoteticamente ad un riciclo ottimale delle
risorse e all'utilizzo senza sperpero dell'energia necessaria parte della quale
viene reintegrata nei cicli naturali. Come esempio finale proviamo ad immaginare
il flusso energetico terrestre come un fiume che scorre ad anello; bene l'uomo
ha occupato tutti gli habitat terrestri ed è la specie vivente che domina la
terra grazie all'interruzione del flusso energetico ad anello che chiamiamo
ciclico e quindi all'usurpazione dell'energia destinata alle altre specie
viventi nelle varie nicchie ecologiche accrescendo ed espandendosi a danno
loro.
Invece il modello
produttivo di filiera agroindustriale entra nel principio ecologico
d’utilizzare il flusso energetico e di materia e reinserirlo nel normale ciclo
naturale
G.N.
Nessun commento:
Posta un commento