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martedì 3 febbraio 2015

GLI INDICI DI EFFICIENZA ENERGETICA

Nei prossimi post intendo spendere due parole per farvi conoscere meglio i diversi indici di efficienza energetica, necessari per confrontare tra loro le diverse tecnologie e persino le diverse colture. Iniziamo con l'indice noto come “Densità energetica”

Densità energetica

La densità energetica è di fondamentale importanza per attuare un confronto numerico tra le varie possibili fonti produttive d’energia in termini d’efficienza produttiva.
Viene definita come la quantità d’energia per unita di superficie.

Tab.1 Densità energetica dell’energia rinnovabile (Coiante, 2000).


Fonte rinnovabile
Tipo d’energia prodotta
Densita energetica sul terreno(E/km²)
Energia chimica equivalente al petrolio per km²
Eolico
Elettrica
20-47 gwh
5-10
Solare termico
Termica
468-756
13-21 *
Fotovoltaico
Elettrica
65-70
14-15
Solare termodinamica tecnologia crs tecnologia             dcs.
Elettrica
33-39 crs.
49-59 dcs.
Da 7 a 13
Biomasse usi termici
Termica
16-41
0,38 – 0,98
Biomasse metilestere
Chimica
2,6-3,2
0,063 – 0,076

*per10 alla 3 tep.

Crs=central recevier sistem; dcs=distribuited collector system (Coiante, 2000).

 Come si nota dalla Tab. 1, il valore della densità energetica per la biomassa è situato nel caso migliore a 0,076 ktep/km2, valore più basso rispetto al fotovoltaico di 197 volte e di 27 volte rispetto al solare termico. Inoltre il pannello fotovoltaico ha un’efficienza nell’utilizzo della radiazione solare del 20 % contro un’efficienza di 1,2 % per le piante e 5-10 % delle alghe.
Incentivato da politiche comunitarie con un costo che s’abbasserà sempre più (Coiante, 2005), è più conveniente sfruttare il solare e lasciare le biomasse in Europa solo ai terreni set–aside ovvero quelli per cui la PAC (politica agricola comune europea) da un contributo perchè rimanghano incolti.
L’eroi d’un panello è 9 volte in 25 anni l’energia usata nella produzione.
Il fotovoltaico ha un etp circa di 3 anni ottenuto dividendo 30, ovvero la vita d’un pannello fotovoltaico, per 9, il suo eroi (biolab.com).
L'etp è il tempo necessario affinché un impianto produca la stessa energia necessaria per costruirlo.
Per il fotovoltaico è compreso tra 2-5 anni mentre l’etp della biomassa essendo annuale è molto più alto e da subito un ritorno energetico. 
A favore della biomassa giocano i valori d’etp migliori nonostante valori d’Eroi non esaltanti. Inoltre accumulare l’energia costa, e nel caso delle oleaginose ad esempio essendo prontamente disponibile sottoforma d’un vettore quale l’olio sink temporaneo di carbonio ad altissima densità energetica posso tollerare un minore Eroi.
L’idrogeno non è altro che un vettore d’energia, non basato sul carbonio, con una densità energetica se pressurizzato maggiore degli altri vettori-combustibili ma per ottenerlo consumo una quantità d’energia notevole.
L’energia può essere trasformata in elettrica e usata essa stessa come vettore e conservata in speciali accumulatori (batterie) ma  vi sono dei limiti, dovuti alle scarse proprietà anche se in continua evoluzione delle “batterie” a nostra disposizione, limiti che segnano il passo anche per l’eolico e il solare che producono energia per lo più non disponibile in modo continuo e con intensità variabile secondo gli eventi climatici e che esigono quindi efficienti accumulatori per essere competitivi con le altre forme energetiche.       


G.N.

domenica 25 gennaio 2015

I BIOCOMBUSTIBILI

Con il termine "biocombustibili" per autotrazione s’indicano tutte le sostanze idonee ad essere utilizzate nei processi di combustione dei motori e ottenute da prodotti vegetali, quindi rinnovabili su base annuale o pluriennale. Ora i principali bio-combustibili liquidi utilizzabili al posto dei tradizionali carburanti d’origine fossile sono il biodiesel, prodotto per transisterificazione d’oli vegetali e il bio-etanolo, prodotto per fermentazione di substrati contenenti zuccheri o amidi e successiva distillazione.
L’utilizzo di questi biocombustibili porta a molteplici vantaggi: consentono di tagliare le importazioni di petrolio da altri paesi riducendo la nostra dipendenza dai combustibili fossili; consentono la riduzione dell’immissione in aria di tonnellate di CO2, il principale gas responsabile dell’effetto serra, con la restituzione all’atmosfera della sola anidride carbonica che le piante hanno utilizzato durante la loro crescita; hanno una maggiore stabilità dei prezzi rispetto a combustibili d’origine fossile; infine portano ad un maggiore sostentamento delle zone rurali.

Situazione legislativa

Sia a livello italiano che europeo il quadro legislativo riguardante, la produzione e la commercializzazione dei biocombustibili è in continua evoluzione.
A livello comunitario, l’Unione Europea si è posta l’obiettivo di incrementare il consumo dei biocombustibili nei trasporti dallo 0,3% del 2005 al 5,75% entro il 2010, attraverso la direttiva 2003/30/CE.  In Italia questa direttiva è stata accolta con il D.lg. n. 128 del 13/7/2005  (in G.U. il 12/7/2005, n. 160), ma è oggetto d’opinioni contrastanti.
Questo provvedimento normativo stabilisce che una percentuale prefissata di tutto il carburante impiegato per i trasporti deve essere sostituito con biocarburanti e altri prodotti rinnovabili, ma gli obiettivi nazionali d’immissione al consumo di biocarburanti sono del 2,5% entro il 31/12/2010, significativamente inferiori ai valori stabiliti dalla direttiva europea (Hi-tech ambiente, 2006).
In particolare l’Italia ha tagliato di un terzo la detassazione per la produzione di biodiesel approvando 200.000 t nel 2005, contro le 320.000 t approvate nel 2004, in netta controtendenza rispetto agli altri paesi dell’UE.
In Francia infatti il governo ha deciso di aumentare la produzione fino alla quota di 1,25 milioni di tonnellate nel 2007, agevolando la produzione con tasse sulle attività inquinanti e aumentando progressivamente il contingente di biodiesel prodotto, che permette lo sviluppo di nuove realtà industriali produttive.
Invece in Germania gli incentivi sono fiscali e prevedono una completa detassazione del biodiesel (470 Euro/m³) senza limitazioni di volume.
In Austria è stata recentemente introdotta una nuova legge che penalizza l’uso del gasolio d’origine fossile aumentandone la tassa dai 317 Euro/m³ ai 325 Euro/m³ e detassandolo nel caso di gasolio a basso contenuto di zolfo e se aggiunto per più del 4,4 % di biodiesel.

Tuttavia in Italia la riduzione del contingente di biodiesel detassato è compensata dalla produzione di bio-etanolo, approvato per oltre 79.390 t per i prossimi tre anni.
Affinché i biocarburanti siano competitivi per il mercato, devono essere privi delle normali accise presenti sui prodotti petroliferi (sembra un controsenso, ma anche i combustibili d’origine vegetale sono soggetti da parte dello stato alle accise sui prodotti petroliferi), perché hanno un maggiore costo di produzione, ricompensato con i maggiori benefici che si hanno col loro utilizzo.
In Europa spicca fra tutte la Svezia, dove il primo ministro Mona Sahlin ha lanciato un ambizioso progetto: creare le condizioni necessarie affinché il paese sia in grado di fare totalmente a meno del petrolio entro il 2020.
Per far ciò sono stati indicati una serie d’interventi, fra i quali: sgravi fiscali per la conversione di vecchi impianti funzionanti a petrolio, promuovere la ricerca sulle fonti di energia rinnovabile, investire nel tele-riscaldamento (tecnica che permette di recuperare il calore residuo dalle centrali termoelettriche e dai termo-valorizzatori), favorire l’utilizzo di biocarburanti.
L’istituto tedesco CES-IFO di Monaco ha eseguito uno studio sugli effetti socio-economici ottenuti dalla produzione del biodiesel attraverso la coltivazione della colza.
Ipotizzando di coltivare 300.000 ettari di terreno con la colza, si otterrebbe una resa teorica di 3 t/ha, quindi 900.000 t/anno di semi di colza che elaborati porterebbero a 531.000 t di pannello proteico (residui di lavorazione sfruttabili in altri settori) e più di 350.000 t d’olio di colza, che porterebbe ad ottenere 336.300 t di biodiesel (corrispondenti a circa 858.000 t di CO2 non emessa) e 40.356 t di glicerina (riutilizzabili nel settore farmaceutico).
Secondo questo studio si potrebbero creare fino a 5.000 nuovi posti di lavoro (uno ogni 70 t/anno). Inoltre, i minori introiti statali derivati dalla defiscalizzazione del biocarburante sarebbero compensati per il 70% dalla tassazione dell’aumento del fatturato totale indotto dalla produzione.
Il resto potrebbe essere considerato come un vantaggio sociale e ambientale acquisito, corrispondente ai mancati costi per mantenimento di beni preziosi come la salute, il territorio e per rispettare gli impegni stabiliti a livello internazionale per la riduzione dei gas in atmosfera (Biofox, 2006).



G.N.




martedì 20 gennaio 2015

LE RISORSE ENERGETICHE RINNOVABILI

Come si decide se una risorsa è davvero rinnovabile?
In linea di massima, le risorse rinnovabili hanno un tempo medio di rigenerazione plausibile col loro stock e con il consumo corrente dello stesso.
A questa definizione aggiungiamo due elementi chiave ovvero: disponibilità, sicurezza e in una parola sostenibilità.
Vengono dette tali e correntemente usate: l’energia solare, l’energia eolica, le maree, l’energia geotermica, l’energia idroelettrica, la biomassa.
L’atomica, già da 50 anni una realtà, può sostituire da sola i combustibili a base di carbonio tradizionali per la produzione d’energia ma ha concreti svantaggi nell’eliminazione  delle scorie, nell’elevatissimo potenziale rischio ambientale e non è inclusa nel gruppo delle rinnovabili perchè esauribile.
Grandi speranze sono racchiuse nella fusione nucleare ma per ora la ricerca è di fronte ad ostacoli tecnici. Nessuna di queste energie rinnovabili può aspirare ad essere la predominante in un prossimo futuro ma solo a far la sua parte insieme alle altre fonti per contribuire ad una sostituzione parziale o totale dei fossili non sostenibili.
Nel futuro si va verso un insieme ben assortito di varie energie alternative usate  per sostituire la penuria di fonti alternative e lo sviluppo e la commercializzazione di quelle esistenti va di pari passo alla riduzione totale dei consumi mondiali, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie unite alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica per abbattere gli sprechi e favorire il riciclo (Tab 1.6.1).
Di fronte a questi intenti s’oppone il potentato formato dalle lobby petrolifere, i paesi produttori e i politici che in conformità a logiche speculative s’oppongono o rallentano l’avanzare dell’ energia alternativa.
Il protocollo di Kyoto da solo non basta per favorire le rinnovabili, è solo un inizio, ma le energie alternative sostenibili non sono concorrenziali ai fossili per il mercato economico e se non adeguatamente incoraggiate soccombono inesorabilmente senza conquistare quegli ampi e duraturi settori di mercato, indispensabili a contrastare l’effetto serra.
Il problema nasce dal fatto che il mercato lasciato a se stesso ragionando per meri mezzi economici, non computa alle rinnovabili i bassi costi per la collettività in termini di salute pubblica e il valore aggiunto creato nella filiera di produzione.
Le energie rinnovabili sono chiaramente la scelta unica, unita all'uso delle innovazioni tecnologiche, per limitare le emissioni di CO2 e far fronte all'esaurimento progressivo dei combustibili fossili.
Le maggiori fonti d’anidride sono divise in  due  parti la CO2 derivante dalla produzione d'energia elettrica e quella derivante dalla combustione dei carburanti per autotrazione.

Tab.1 Produzione mondiale d’energia elettrica (Riello, 2003).


                                 Nel 2002
                                 Nel 2030
Carbone
37%                        
39%        
Gas
17
31
Idroelettrico
17
13,5
Nucleare
16
9,5
Petrolio
11
4
Altre rinnovabili
2
5
Totale
15.500 Twh
31.000 Twh



L’energia elettrica prodotta con i combustibili fossili ha un costo in termini di produzione d’anidride carbonica elevato (tab 1.6.2). 
Si pensi che per far fronte al consumo di 3.300 famiglie in un anno (che è di 10.000.000 Kwh) bisogna produrre 7.000.000 Kg di CO2 e per riassorbirla bisogna piantare qualcosa come 3.000 alberi. Non tutte le energie rinnovabili sono esenti da emissione anzi l’analisi LCA trattata più avanti cerca di capire come ridurle o annullarle ( Pietrogrande, 2005 ).
La tabella 1.6.2 permette una facile visualizzazione del confronto in termini di CO2 emessa e milioni di tonnellate equivalenti di petrolio tra l’energia fossile e la rinnovabile.


G.N.

martedì 6 gennaio 2015

COS'E' L'EFFETTO SERRA



Ormai anche i bambini sanno che l’anidride carbonica rilasciata nell’atmosfera è la causa principale dell’effetto serra. Il petrolio basterà per i prossimi 40 anni (Veziroglu, 2004) ma la terra subirà profondi e devastanti cambiamenti climatici entro i prossimi 30 anni a causa dell’eccesso di gas serrogeni nell’atmosfera (Robert, 2006).
I cambiamenti climatici in atto, causati dall’attività antropica, in un processo iniziato con la rivoluzione industriale, dato che la temperatura del pianeta è aumentata di 0,6 gradi dal 1861 (intergovernmental panel on climate change, IPCC), porteranno ad un incremento della temperatura terrestre di 2-6 gradi, entro il 2100.
 Codesto aumento comporterà: lo scioglimento dei ghiacciai dei poli con la conseguente cessazione di regolazione climatica effettuata dai suddetti; l’aumento del livello del mare di 8 cm, che inglobando acqua dolce invertirà le proprie correnti (la corrente del golfo cesserà) ed essendo più caldo assorbirà meno anidride carbonica aggravando il problema. Questo può sembrare uno scenario apocalittico ma in realtà e molto meno di quello che può accadere, il quale oggi giorno non è prevedibile se non a grandi linee e per sommi capi.
Il susseguirsi di cambiamenti climatici drastici sulla terra avviene da molto prima dell’avvento umano. Fasi di riscaldamento e raffreddamento fanno parte del sistema terra e sono naturali, ma è la  velocità con cui questi avvengono a determinare la differenza.
Il riscaldamento terrestre avviene ad una velocità mai verificatosi prima nella storia del pianeta (Robert, 2006). Ogni cambiamento climatico permanente porta ad un progressivo adeguamento degli esseri viventi alle nuove condizioni ambientali ma, se è troppo drastico, esso supera le reali capacità d’adattamento generando estinzioni di massa.
 Lo stesso per l’essere umano, il quale avendo accesso ai flussi energetici ausiliari può contrastare le condizioni climatiche avverse per molto più tempo, ma pagando un prezzo molto alto dovendo ridisegnare la sua distribuzione sulla superficie terrestre, e far fronte all’aumentata instabilità climatica e alla penuria di cibo conseguente la trasformazione in deserto dei terreni oggi più fertili.
Qui di seguito riporto le conclusioni del terzo rapporto dell’International Panel on Climate Change*:
1) le temperature medie sulla superficie terrestre sono aumentate di 0,6 °C dal 1860;
2) è sempre più evidente che gran parte del surriscaldamento rilevato nel corso degli ultimi 50 anni sia da attribuire alle attività umane;
3) se non si adottano azioni correttive, la temperatura media al termine di questo secolo sarà salita d’altri sei gradi;
 4) a causa del riscaldamento l’atmosfera diverrà energicamente più attiva ed in generale i valori climatici più estremi: le zone umide saranno ancor più piovose, le aree secche più aride, gli eventi meteorologici più intensi;
5) i cambiamenti saranno più accentuati sulle zone continentali dove vivono cinque miliardi di persone: tra le zone più colpite l’Asia centrale, l’Africa, l’Europa centrale;
 6) sussiste un forte rischio di discontinuità climatica improvvisa, riconducibile alle pressioni sull’ecosistema che il riscaldamento globale può apportare;
7) una possibile conseguenza sarebbe l’arresto della corrente atlantica che assicura all’Europa nord occidentale una temperatura di venticinque gradi superiore alla Siberia;
8) l’innalzamento della superficie  dei mari dovuto all’aumento della temperatura continuerà per centinaia di anni anche dopo che la temperatura dell’aria si sarà stabilizzata, alcune zone sono già condannate;
 
9) la creazione di “pozzi d’assorbimento dell’anidride carbonica” (riforestazione ad esempio) può contribuire solo marginalmente ad attenuare l’aumento delle temperature e non sono tutti chiari i meccanismi alla base della sua efficacia;
10) per fermare l’aumento delle temperature è necessario che le emissioni di gas serra siano ridotte in tempi brevi in modo da contrastare in tempo utile l’innalzamento della temperatura (* Organismo internazionale scientifico nominato da tutti i paesi del mondo per lo studio dei cambiamenti climatici), (WWF-Italia, 2007).        
 
 
G.N.

venerdì 2 gennaio 2015

CENNI SUL PROTOCOLLO DI KYOTO

Le potenze mondiali dopo un percorso molto lungo e pieno di controversie si riunirono a Kyoto in Giappone dove stipularono un protocollo per la riduzione delle tonnellate d’anidride carbonica e gas serra emessi dalle loro economie.
All’interno del protocollo importanza è data all’incentivazione tecnologica e soprattutto all’uso e sviluppo delle fonti rinnovabili, auspicando una progressiva sostituzione delle energie fossili. Una volta ratificato nel 2005 il non rispetto degli impegni presi porge al pagamento di pesanti penali. Il protocollo è stato firmato nel dicembre 1997 a conclusione della terza sessione plenaria della conferenza delle parti, ed è entrato in vigore ufficialmente il 16 febbraio 2005, contiene obiettivi legalmente vincolanti e decisioni sull’attuazione operativa di alcuni degli impegni della convenzione quadro sui cambiamenti climatici (United Nation framework convention on climate change).
Il protocollo impegna i paesi industrializzati e quelli ad economia in transizione (Est Europa) a ridurre complessivamente del 5,2 % le principali emissioni antropogeniche di gas serra entro il 2010 e più precisamente nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012.
Il paniere di gas serra considerato nel protocollo include: l’anidride carbonica, il metano, il protossido d’azoto, i fluorocarburi idrati, i perfluorocarburi, l’esafloruro di zolfo. L’anno di riferimento per la riduzione delle emissioni dei primi tre gas è il 1990 mentre per i rimanenti tre (che sono gas lesivi dell’ozono atmosferico  e che per altri versi rientrano in un altro protocollo quello di Montreal), è il 1995.
In Italia è stato varato il “piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra” approvato con la delibera del 19 dicembre 2002 e previsto nella legge di ratifica  la quale descrive politiche e misure assunte  per il rispetto del protocollo di Kyoto e prevede di fare ricorso a meccanismi di flessibilità.
Il “Clean development mechanism” consente d’utilizzare la riduzione delle emissioni ottenuta con progetti di collaborazione in altri paesi.
La “joint implementation” consente di collaborare al raggiungimento degli obiettivi acquistando i diritti d’emissione risultanti dai progetti di riduzione delle emissioni raggiunti in un altro paese.
 La direttiva 2003/30 Ce  parte dal presupposto che:
  1. Tra il 1990 e il 2010 le emissioni di CO2 dovute ai trasporti aumenteranno del 50% per raggiungere circa 1.113 milioni di tonnellate, situazione di cui il trasporto su strada è il principale responsabile perché contribuisce per l’84% delle emissioni di CO2 imputabili ai trasporti. In una prospettiva ecologica il libro bianco chiede quindi di ridurre la dipendenza dal petrolio adesso del 98% nel settore dei trasporti mediante l’utilizzazione di carburanti alternativi come i biocarburanti. Un maggior uso dei biocarburanti nei trasporti fa parte del pacchetto di misure necessarie per rispettare gli impegni ulteriormente assunti al riguardo. In questo senso la direttiva acquista valore di piano attuativo europeo del protocollo di Kyoto per quanto concerne i combustibili destinati ai trasporti.
    La normativa fissa degli obiettivi di riferimento relativi ad una percentuale minima di biocarburanti e altri carburanti rinnovabili che gli stati membri dovrebbero immettere nel mercato e a tal fine stabiliscono i seguenti obiettivi nazionali:
  2. Il 2% calcolato sulla base del tenore energetico di tutta la benzina e del diesel immessi sui loro mercati entro il 31 dicembre 2005.
  3. Il 5,75% calcolato sulla base del tenore energetico di tutta la benzina e del diesel immessi sui loro mercati entro il 31 dicembre 2010 (Babbini, 2005).
    G.N.

sabato 13 dicembre 2014

ENERGIE RINNOVABILI NEL MONDO TRA BIOCARBURANTI E MICROALGHE


In questo post proverò a riassumere brevemente lo stato dell'arte sulle energie rinnovabili e a definire il linguaggio necessario per affrontare l'argomento.

Le energie rinnovabili non rappresentano solo una possibilità, ma l’unica reale soluzione  di cui disponiamo al momento per far fronte al cambiamento climatico, diminuendo l’afflusso d’anidride carbonica nell’atmosfera.

Il protocollo di Kyoto (1997) ratificato nel 2005 ha imposto per i paesi firmatari la riduzione delle emissioni antropogeniche di CO2 del 5,2% entro il 2010. Per raggiungere l’obiettivo sarà fondamentale intervenire sul settore dei trasporti e sulla produzione d’energia elettrica, che rappresentano i settori a cui si deve la stragrande maggioranza d’afflussi di CO2 nell’atmosfera e degli altri gas serra (Riello, 2003).

Con le bioenergie possiamo intervenire sia nei trasporti attraverso la produzione e uso dei biocarburanti che nella produzione d’energia elettrica attraverso le centrali a biomassa. I biocarburanti più utilizzati al giorno d’oggi sono il bioetanolo e il biodiesel. Il primo proviene per lo più da colture amilaceo-zuccherine come canna da zucchero, mais, sorgo e manioca. Il secondo, da colture oleaginose come la jatropha e la palma da olio ai tropici, la colza, girasole e soia nei paesi temperati. Le colture algali possono trovare applicazione sia nella produzione d’energia elettrica che nella produzione di biocarburanti.

 Le migliori aspettative si nutrono verso la produzione di biodiesel da alcune specie di microalghe.

Ai tropici hanno grande importanza, soprattutto per le popolazioni rurali, le “fuel crops”. Tutte le energie rinnovabili e in particolar modo le bioenergie vanno giudicate secondo criteri d’efficienza energetica come LCA e l’EROEI sigle per Life Cycle Assestment e Energy Return On Energy Investment. La prima è basata sull’analisi del ciclo della vita del prodotto, mentre il secondo è  il rapporto tra energia spesa ed ottenuta alla fine del processo.

LCA è spesso usata per valutare le emissioni di CO2 e gas serra nell’intero processo produttivo ad esempio dei biocarburanti comparandoli con i fossili.

L’EROEI (EROI in italiano) è usato sempre più spesso per comparare le energie rinnovabili e le energie non rinnovabili e può indicarci ad esempio l’effettivo ritorno energetico di un progetto di  centrale termoelettrica a biomassa e quindi se valga la pena costruirlo o meno.

Dall’uso di queste due metodologie d’analisi emerge come  una conclamata convenienza sia energetica che ambientale delle bioenergie sia una realtà molto contraddittoria al momento.

Applicare nei Pvs (Paesi in Via di Sviluppo) tropicali le bioenergie può essere un’occasione per l’emancipazione dalla povertà per le aree rurali economicamente depresse.

Nei prossimi post cercheremo di comprendere lo stato dell'arte e le possibilità non ancora equamente esplorate.


G.N.