Visualizzazione post con etichetta gas. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta gas. Mostra tutti i post

domenica 8 febbraio 2015

CARBURANTI DA BIOMASSA




I principali combustibili tratti dalla biomassa sono biodiesel, metanolo, etanolo, idrogeno, gas naturale, propano, bio-crude oil. Conosciamoli meglio!

BIODIESEL


La reazione di transisterificazione richiede 1,05 t d’olio e 0,11 t d’alcol per ottenere 1 t d’estere 0,1 t di glicerina e 0,023 d’acidi grassi.
Circa 1,12 t di biodiesel pari a 1.273 l è prodotta da 1 ha coltivato a colza.
Il biodiesel comporta una riduzione delle emissioni di CO2 di quasi 6 volte rispetto al gasolio ovvero 520 g CO2/l rispetto a 2.960 g CO2/l per il gasolio (Basosi, 2005 ).
Dal punto di vista del bilancio d’energia (Tab.1) l’energia prodotta dal biodiesel è doppia rispetto a quella spesa in energia fossile per la produzione.
Considerando tutti i co-prodotti, l’energia totale prodotta sarà 5,4 volte l’unità d’energia spesa per la sua produzione.
Il bilancio energetico del biodiesel secondo invece il Dipartimento di Chimica dell’università di Siena è di soli 0,31 unità d’energia fossile per produrre un’unità di biodiesel. La riduzione della CO2 emessa è il 78% rispetto al gasolio fossile.
Le emissioni di particolato sono il 32% del gasolio, idem per il monossido di CO2, gli ossidi di zolfo non superano mai l’8% rispetto al gasolio.
Possiamo stabilire per le coltivazioni terrestri d’oleaginose che l’estrazione e la coltivazione dell’olio di semi richiedono circa il 41% dell’energia dell’intero processo.
La raffinazione ne richiede il 23%, mentre la transesterificazione ne richiede il 5% ed il restante 31% rappresenta il contenuto energetico del metanolo.


Tab 1. Bilancio energetico per la produzione di biodiesel (Gj/ha).

(Sharmer, Gosse 1996).
Energia per produrlo
26-35
Energia ricavata dal biodiesel
42-50
Energia ricavata dai sottoprodotti
31-37

Nel caso d’impiego d’oli usati i vantaggi sono ulteriormente amplificati.
Secondo Lara Riello dell’università di Padova (2004) la CO2 immobilizzata nel biodiesel (metilestere di girasole) è:
peso specifico del metilestere = 880,2 g*lˉ¹;
contenuto di carbonio nel metilestere = 78,7%;
coefficiente di liberazione CO2 con il processo di combustione = 44/12.
Quindi dall’ossidazione d’un litro d’estere s’ottengono: (1 x 880,2 x 78,7/100 x 44/12) = 539,9 grammi di carbonio; La quantità di CO2 immobilizzata nel metilestere fino al momento della combustione è pari alla resa in estere moltiplicata per il fattore d’emissione dell’anidride mentre la quota di CO2 immobilizzata nelle farine si determina come valore di sostituzione ossia si valutano i singoli elementi (Bittante, 1990) in termini di C presente e se ne ipotizza la combustione.
Il biodiesel ottenuto dall’olio di colza consente d’ottenere un miglioramento degli effetti delle emissioni sulla salute umana del 120%.
L’utilizzo del biodiesel è notevole in Germania, Austria, Svezia.
In Germania il 50% del gasolio venduto è biodiesel, in Austria gli autobus della città di Graz vanno ad olio usato nella ristorazione transisterificato.
L’Unione Europea invece importerà dalla Malesia e Indonesia grandi quantità d’olio di palma per sostituire il 6% della propria quota di carburante con biocombustibili entro il 2010, obbligando i produttori a quintuplicare la propria produzione entro il 2010

(Mpoc, 2006).

Olio puro
Possiamo utilizzare anche olio vegetale puro come combustibile evitando il processo di transisterificazione e con svantaggi motoristici lievi se modifichiamo i motori.
E’ stato calcolato che per ogni kg di gasolio sostituto dall’equivalente quantità d’olio vegetale ho un risparmio sulle emissioni di CO2 di 1,4kg (circa 2,6 applicando l’allocazione) mentre per ogni kg di gasolio sostituito dall’equivalente quantità di biodiesel si ha un risparmio sulle emissioni di circa 1,6 kg (2,4 se applichiamo l’allocazione) in questi termini la differenza sul risparmio d’emissioni usando olio puro invece di biodiesel è assente perchè nonostante il processo d’esterificazione industriale generi 11,41 grammi di CO2/mj (CTI, 2006) nel bilancio bisogna tenere presente anche che il potere calorifico del biodiesel che è più vicino a quello del gasolio rispetto all’olio puro rispettivamente 37 mj/kg contro 40 Mj/kg e aumentando i consumi, questo riduce le differenze. Se invece ipotizziamo l’uso dell’olio vegetale per ottenere energia usandolo come combustibile per alimentare un generatore elettrico opportunamente modificato (350 Kwe, 35% rendimento), tralasciando l’aspetto economico non conveniente, vediamo invece che il consumo d’energia primaria per produrre un Kw elettrico da olio di girasole è di 2,77  Mj con un rapporto energia prodotta su energia primaria pari a 1,3. Per dare l’idea del valore di tale analisi cito i dati del Comitato Termotecnica Italiano secondo il quale per produrre 1 Kwh elettrico con il gasolio occorrono 2,2 Kwh d’energia primaria, per un rapporto energia prodotta su energia primaria pari a 0,45.  Se ne deduce che il bilancio energetico dell’olio vegetale, in specie di quello di girasole, è migliore del gasolio.

Metanolo

Il metanolo (CH3-OH)  prodotto principalmente dal gas naturale può essere anche ottenuto dal carbone o dalla biomassa.
Da 2 kg di biomassa o da 4,35 kg di carbone otteniamo 1 litro di metanolo.
Risulta che la biomassa è da prendere in considerazione per la produzione di biodiesel perché da rese migliori.
Recenti studi hanno confermato che circa il 50% del contenuto energetico del legno può essere convertito in metanolo ad un costo economico di produzione pari a 5 volte il metano. Il methyl-tertiary-butyl-ether (mtbe) è adesso utilizzato in Usa per la produzione delle benzine riformulate obbligatorie in alcune zone del paese per ridurre l’inquinamento atmosferico. L’aggiunta d’ mtbe permette nelle benzine riformulate d’innalzare il numero d’ottano e di creare benzina ossigenata: ciò promuove una migliore combustione e riduce le emissioni di CO2  e altre sostanze tra cui il benzene.
Esistono però seri problemi d’inquinamento delle acque causato dal metanolo tali da far pensare ad un possibile ritiro dal mercato dell’mtbe e del metanolo entro breve tempo sostituendolo con l’etanolo e il suo derivato, l’etbe  (Renew, 2004).


Etanolo

L’etanolo è un combustibile liquido privo di calore e dall’odore caratteristico, utilizzato sia in miscela al 10% in veicoli tradizionali che all’85% o più in veicoli appositamente trasformati per permetterne l’uso.
Dall’etanolo si può inoltre produrre un etere l’etbe (ethyl tertiary butyl ether), additivo ossigenato per le benzine riformulate (RFG) solitamente al 10%.
Si stima che 90 litri d’etanolo siano in grado di sostituire un barile (circa 160 litri) d’olio combustibile (Basosi, 2005).
Assumendo un consumo di 15 miliardi di litri per anno (in Usa) ne deriverebbero circa 26 milioni di metri cubi di CO2 non emessi e quindi d’emissioni evitate.
L’etanolo è ottenuto a partire da biomassa piante o alghe con  quantità d’amidi fermentabili o zuccheri elevato.
E’ possibile ottenere etanolo anche da risorse ligno-cellulosiche ma è ancora una tecnologia allo studio e costosa.
Una miscela d’etanolo al 5-7% permette di ridurre le emissioni di CO2 del 15-20%. Dal punto di vista del bilancio energetico da 1,05 Kj (1 btu) d’energia fossile consumata per la produzione del combustibile, s’ottengono rispettivamente 7,17 Kj (6,8 btu) nel caso d’etanolo (da mais) e 0,833 Kj (0,79 btu) nel caso di benzina riformulata con etbe derivato ossigenato dell’etanolo.
Vi è quindi il fatto sperimentale che le benzine addizionate con etanolo riducono più di due volte le emissioni di CO2 rispetto alle benzine addizionate di metanolo.
Vi è un progetto allo studio per la produzione integrata di bio-etanolo  dalla manioca e dal sorgo zuccherino in Cina.
Se il progetto è realizzato sono prodotte circa 600.000 t/anno d’etbe (da 280.000 t/ha) ed evitate circa 1.000.000 t/anno di CO2.
Il bio-etanolo risparmia all’atmosfera valori di biossido di carbonio e ossido nitroso rispetto al petrolio tradizionale in percentuali del 30% usando etanolo ottenuto dal grano, del 78% usando etanolo ottenuto dalla cellulosa e dell’82% usando etanolo ottenuto dalla canna da zucchero.
I vantaggi dei biocombustibili si traducono anche in vantaggi economici, politici in quanto a differenza del petrolio non esiste al momento alcun paese che domina il mercato mondiale per la produzione d’etanolo o di biodiesel.
Nella classifica dell’utilizzo il primato spetta al Brasile con l’etanolo dalla canna da zucchero seguito dall’america con l’etanolo ottenuto dal mais.
In Brasile vi sono auto flex fuel in grado di funzionare esclusivamente con etanolo ad un costo pari alla metà della benzina tradizionale.
L’etanolo ha conquistato anche le compagnie aeree che sostituiscono il kerosene con etanolo tanto che l’Embrear prima  ditta costruttrice d’apparecchi ad etanolo non è in grado di soddisfare la richiesta.
Negli Stati Uniti l’utilizzo dell’etanolo dal mais è riuscito a prendere forza grazie alle ultime leggi ambientali e ad un generoso credito fiscale erogato e associato alla produzione e al consumo di questo carburante.
Tanto che tra il 2000 e il 2005 la quantità di biocombustibili prodotti dagli Usa è raddoppiata arrivando a coprire il 3% del consumo totale del combustibile da trasporto all’interno degli Stati Uniti.
in Svezia studi dell’Università di Stoccolma hanno provato ottime rese e  vantaggi dell’etanolo soprattutto nel caso dei trasporti pesanti.
Più di 30 paesi dalla Thailandia all’India all’Australia al Malawi hanno messo in piedi coltivazioni di palma da cocco e olio, soia e canna da zucchero destinate esclusivamente all’utilizzo come biocombustibili. 
Recentemente Venezuela e Indonesia  annunciano di voler seguire il Brasile nella direzione della conversione del paese all’utilizzo d’etanolo da trazione.  Il mercato mondiale ha bisogno di biocombustibili.
La Thailandia ha appena annunciato la costruzione di 12 impianti per la produzione d’etanolo dalla canna da zucchero e dalla lolla la parte esterna che contiene il chicco di riso. Questa produzione verrà in  parte destinata al consumo nazionale e in parte esportata in Giappone e Cina (www.ecoport.com, 2006).
Il governo di Pechino ha poi stanziato milioni di dollari per la realizzazione del più grande impianto di produzione d’etanolo nella città di Jilin, in questo caso il prodotto usato nella distillazione sarà estratto dalla fermentazione di mais, canna da zucchero, manioca e patate dolci. Come tutte le principali economie comunque anche la Cina sta considerando l’ipotesi d’importare etanolo dal Brasile che è il primo paese produttore a livello mondiale.
Il Giappone ha già intrapreso questa strada con la sottoscrizione d’un contratto per importare il 3% della benzina giapponese con etanolo brasiliano nella cifra di 15 milioni di litri d’etanolo, 1.880 milioni di litri l’anno.
Un barile d’etanolo costa  25 $  ma le quotazioni potrebbero impennarsi se la risposta dei mercati supererà la capacità d’adattamento del sistema produttivo all’aumento della domanda (Biofox.com; Renew, 2006).

 

G.N.

martedì 3 febbraio 2015

GLI INDICI DI EFFICIENZA ENERGETICA

Nei prossimi post intendo spendere due parole per farvi conoscere meglio i diversi indici di efficienza energetica, necessari per confrontare tra loro le diverse tecnologie e persino le diverse colture. Iniziamo con l'indice noto come “Densità energetica”

Densità energetica

La densità energetica è di fondamentale importanza per attuare un confronto numerico tra le varie possibili fonti produttive d’energia in termini d’efficienza produttiva.
Viene definita come la quantità d’energia per unita di superficie.

Tab.1 Densità energetica dell’energia rinnovabile (Coiante, 2000).


Fonte rinnovabile
Tipo d’energia prodotta
Densita energetica sul terreno(E/km²)
Energia chimica equivalente al petrolio per km²
Eolico
Elettrica
20-47 gwh
5-10
Solare termico
Termica
468-756
13-21 *
Fotovoltaico
Elettrica
65-70
14-15
Solare termodinamica tecnologia crs tecnologia             dcs.
Elettrica
33-39 crs.
49-59 dcs.
Da 7 a 13
Biomasse usi termici
Termica
16-41
0,38 – 0,98
Biomasse metilestere
Chimica
2,6-3,2
0,063 – 0,076

*per10 alla 3 tep.

Crs=central recevier sistem; dcs=distribuited collector system (Coiante, 2000).

 Come si nota dalla Tab. 1, il valore della densità energetica per la biomassa è situato nel caso migliore a 0,076 ktep/km2, valore più basso rispetto al fotovoltaico di 197 volte e di 27 volte rispetto al solare termico. Inoltre il pannello fotovoltaico ha un’efficienza nell’utilizzo della radiazione solare del 20 % contro un’efficienza di 1,2 % per le piante e 5-10 % delle alghe.
Incentivato da politiche comunitarie con un costo che s’abbasserà sempre più (Coiante, 2005), è più conveniente sfruttare il solare e lasciare le biomasse in Europa solo ai terreni set–aside ovvero quelli per cui la PAC (politica agricola comune europea) da un contributo perchè rimanghano incolti.
L’eroi d’un panello è 9 volte in 25 anni l’energia usata nella produzione.
Il fotovoltaico ha un etp circa di 3 anni ottenuto dividendo 30, ovvero la vita d’un pannello fotovoltaico, per 9, il suo eroi (biolab.com).
L'etp è il tempo necessario affinché un impianto produca la stessa energia necessaria per costruirlo.
Per il fotovoltaico è compreso tra 2-5 anni mentre l’etp della biomassa essendo annuale è molto più alto e da subito un ritorno energetico. 
A favore della biomassa giocano i valori d’etp migliori nonostante valori d’Eroi non esaltanti. Inoltre accumulare l’energia costa, e nel caso delle oleaginose ad esempio essendo prontamente disponibile sottoforma d’un vettore quale l’olio sink temporaneo di carbonio ad altissima densità energetica posso tollerare un minore Eroi.
L’idrogeno non è altro che un vettore d’energia, non basato sul carbonio, con una densità energetica se pressurizzato maggiore degli altri vettori-combustibili ma per ottenerlo consumo una quantità d’energia notevole.
L’energia può essere trasformata in elettrica e usata essa stessa come vettore e conservata in speciali accumulatori (batterie) ma  vi sono dei limiti, dovuti alle scarse proprietà anche se in continua evoluzione delle “batterie” a nostra disposizione, limiti che segnano il passo anche per l’eolico e il solare che producono energia per lo più non disponibile in modo continuo e con intensità variabile secondo gli eventi climatici e che esigono quindi efficienti accumulatori per essere competitivi con le altre forme energetiche.       


G.N.

domenica 18 gennaio 2015

LE ENERGIE NON RINNOVABILI

Oggi stiamo consumando ed esaurendo le energie fossili del nostro pianeta ed essendo il loro tempo di rigenerazione talmente lungo da andar ben oltre la storia dell’umanità, codeste energie sono dette fonti energetiche non rinnovabili. Tra queste il più usato è sicuramente il petrolio liquido, denso scuro, maleodorante, ad altissima densità energetica, facilmente estraibile e con una struttura talmente complessa da essere fonte infinita di derivati (industria plastica, farmaceutica). Fatti questi che fanno preferire “l’oro nero” al  carbone che detiene una minore densità energetica, complessità e una difficile estrazione e anche al metano che è meno versatile essendo un gas e con minore densità energetica (a parte le nuove tecnologie di liquefazione che se diffuse lo renderebbero di molto più competitivo (Robert, 2006).
Si prevede da stime (Cti, Assobiodiesel, 2006) fatte che le risorse mondiali di petrolio non vadano oltre i prossimi cinquanta anni. Questa stima è allargata perché considera al suo interno un’evoluzione tecnologica costante che renda possibile l’estrazione da giacimenti poco accessibili e raffinazione di materiale grezzo di bassa qualità come le sabbie bituminose, con rapporto energia spesa/energia ottenuta bassissimo (addirittura negativo per le sabbie bituminose secondo il Cti. Centro Termoelettrico Italiano).
Un’ evoluzione tecnologica costante che richiede un approfondita ricerca, che richiede fondi che invero potrebbero essere più utili per lo sviluppo di fonti rinnovabili d’energia e il miglioramento di quelle  esistenti. Ancora oggi la ricerca per l’energia fossile riceve più fondi pubblici delle rinnovabili  (Sheehan 1998, Specogna 2006).
Secondo le previsioni dell’Opec, la domanda “d’oro nero” dovrebbe aumentare per i prossimi 15 anni arrivando a toccare un livello giornaliero di 100 milioni di barili rispetto agli attuali 80 milioni. Ad esempio se la richiesta aumenta del 20%, il prezzo aumenterà del 30% arrivando ai 100$ al barile ( brent = petrolio grezzo) e potrebbe tranquillamente toccare i 120$ al barile senza che la domanda subisse variazioni nel suo costante incremento dato l’ingresso nel novero delle potenze economiche dell’India e della Cina, paesi poveri di petrolio. La capacità estrattiva dei maggiori fornitori di petrolio sembra arrivata ad un livello di massimo da cui non può che iniziare la discesa.

Per Harry Tchilinguiran, analista dell’Iea (International Energy Agency) di Parigi le estrazioni addizionali di petrolio potrebbero portare alla luce materiale pesante che necessità di un processo di raffinazione molto particolare per poter essere immesso sul mercato. In assenza di questo non è conveniente aumentare il livello di drenaggio delle pompe, di qui il profilarsi del problema energetico. Le stesse multinazionali del petrolio stanno investendo nella commercializzazione del biodiesel e del bioetanolo usando la propria rete di distribuzione già esistente (www.aspo.it, 2007). Vi è tra l’altro una probabile forte collisione d’interesse tra la classe politica dei paesi forti importatori di petrolio, le multinazionali petrolifere e la classe dirigente della maggior parte dei paesi produttori di petrolio. I paesi consumatori possono tassare del 50% il petrolio importato essendo un bene essenziale (Robert, 2006), risanando i conti pubblici e al contempo  scaricare  la colpa dell’alto prezzo sulle multinazionali del petrolio e sui paesi produttori.
Le ditte del settore energetico invece cercano in tutti i modi di accaparrarsi i diritti di estrazione nei Pvs al minor prezzo e di mantenere queste concessioni il più a lungo possibile, per far ciò sono disposte a qualsiasi cosa, non ultima la corruzione dei governanti e degli esponenti politici spesso iscritti nel loro libro paga.
Il mercato dei combustibili fossili è un mercato drogato da una domanda in costante rialzo (Robert, 2006). I consumi energetici mondiali sono in continuo aumento.
Nella sola Unione Europea il consumo di energia è di circa 1.370 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) dei quali il 42 % derivanti da petrolio e la rimanente parte proveniente dal gas naturale, dai combustibili solidi e da altre fonti.
Da questo ne deriva un consumo pro-capite medio di 3,7 t di petrolio.
La conseguente produzione annua d’anidride carbonica (il principale prodotto della combustione) ammonta a 3.496 milioni di tonnellate, corrispondenti ad una media di 9,4 t/pro capite (in Italia 7,5 t).
Stime recenti mostrano che il fabbisogno energetico aumenterà nel 2010 a 1.571 Mtep (+15%) e nel 2020 a 1.637 Mtep (+20%). (Collina, 2006; www.biofox.com).
Tuttavia i consumi non possono incrementare indefinitamente a causa d’ovvie implicazioni politiche, ambientali e socio-economiche.
Un ulteriore problema è dato dall'esplosivo aumento dei consumi dei paesi in via di sviluppo (PVS), i cui consumi variano tra 0,5 (Africa e Asia meridionale) a 1,9 t/anno (America Latina) per persona.
Nei Pvs, vivono 4,5 miliardi di persone, vale a dire 85% della popolazione mondiale. Il principale obiettivo è quello di ridurre i fabbisogni energetici e il relativo impatto sull'ambiente attraverso processi, macchine e impianti più efficienti, risparmio energetico e ricorso alle fonti energetiche rinnovabili (www.biofox.it).
I giacimenti noti di combustibile ammontano a 1.000 miliardi di tonnellate di carbone, 141 miliardi di tonnellate di petrolio e a 145 miliardi di tonnellate di gas, a fronte d’un consumo medio di 10 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio, emettendo nell’aria 20 miliardi di tonnellate di CO2.
Entro 45 anni le riserve di petrolio saranno esaurite, nel 2066 quelle di gas mentre il carbone s’esaurirà solo nel 2300 ( www.aspoitalia.net, 2006 ).
Non si può pensare di saziare la nostra sete d’energia con il carbone dal prezzo molto competitivo nonostante i rischi estrattivi, perché a parità di Megajoule generato dà un terzo d’anidride carbonica in più del petrolio e il doppio del gas (www.enitecnologie.it, 2006).
L’ENEL Italia e altre grandi industrie elettriche si stanno però muovendo verso la conversione di parte delle nostre centrali elettriche nazionali a petrolio e olio minerale in centrali a carbone “pulito”, ovvero centrali i cui gas esausti sono captati e ripuliti attraverso filtri, poi i gas esausti sono compressi e liquefatti per essere convogliati in centrale.
Uno dei prodotti di scarto in questo processo è tra l’altro l’idrogeno. Il bilancio energetico di tali centrali è molto contraddittorio e per alcuni analisti ancora proibitivo
(Robert, 2006. Enel-Italia, 2007).



G.N.

martedì 6 gennaio 2015

COS'E' L'EFFETTO SERRA



Ormai anche i bambini sanno che l’anidride carbonica rilasciata nell’atmosfera è la causa principale dell’effetto serra. Il petrolio basterà per i prossimi 40 anni (Veziroglu, 2004) ma la terra subirà profondi e devastanti cambiamenti climatici entro i prossimi 30 anni a causa dell’eccesso di gas serrogeni nell’atmosfera (Robert, 2006).
I cambiamenti climatici in atto, causati dall’attività antropica, in un processo iniziato con la rivoluzione industriale, dato che la temperatura del pianeta è aumentata di 0,6 gradi dal 1861 (intergovernmental panel on climate change, IPCC), porteranno ad un incremento della temperatura terrestre di 2-6 gradi, entro il 2100.
 Codesto aumento comporterà: lo scioglimento dei ghiacciai dei poli con la conseguente cessazione di regolazione climatica effettuata dai suddetti; l’aumento del livello del mare di 8 cm, che inglobando acqua dolce invertirà le proprie correnti (la corrente del golfo cesserà) ed essendo più caldo assorbirà meno anidride carbonica aggravando il problema. Questo può sembrare uno scenario apocalittico ma in realtà e molto meno di quello che può accadere, il quale oggi giorno non è prevedibile se non a grandi linee e per sommi capi.
Il susseguirsi di cambiamenti climatici drastici sulla terra avviene da molto prima dell’avvento umano. Fasi di riscaldamento e raffreddamento fanno parte del sistema terra e sono naturali, ma è la  velocità con cui questi avvengono a determinare la differenza.
Il riscaldamento terrestre avviene ad una velocità mai verificatosi prima nella storia del pianeta (Robert, 2006). Ogni cambiamento climatico permanente porta ad un progressivo adeguamento degli esseri viventi alle nuove condizioni ambientali ma, se è troppo drastico, esso supera le reali capacità d’adattamento generando estinzioni di massa.
 Lo stesso per l’essere umano, il quale avendo accesso ai flussi energetici ausiliari può contrastare le condizioni climatiche avverse per molto più tempo, ma pagando un prezzo molto alto dovendo ridisegnare la sua distribuzione sulla superficie terrestre, e far fronte all’aumentata instabilità climatica e alla penuria di cibo conseguente la trasformazione in deserto dei terreni oggi più fertili.
Qui di seguito riporto le conclusioni del terzo rapporto dell’International Panel on Climate Change*:
1) le temperature medie sulla superficie terrestre sono aumentate di 0,6 °C dal 1860;
2) è sempre più evidente che gran parte del surriscaldamento rilevato nel corso degli ultimi 50 anni sia da attribuire alle attività umane;
3) se non si adottano azioni correttive, la temperatura media al termine di questo secolo sarà salita d’altri sei gradi;
 4) a causa del riscaldamento l’atmosfera diverrà energicamente più attiva ed in generale i valori climatici più estremi: le zone umide saranno ancor più piovose, le aree secche più aride, gli eventi meteorologici più intensi;
5) i cambiamenti saranno più accentuati sulle zone continentali dove vivono cinque miliardi di persone: tra le zone più colpite l’Asia centrale, l’Africa, l’Europa centrale;
 6) sussiste un forte rischio di discontinuità climatica improvvisa, riconducibile alle pressioni sull’ecosistema che il riscaldamento globale può apportare;
7) una possibile conseguenza sarebbe l’arresto della corrente atlantica che assicura all’Europa nord occidentale una temperatura di venticinque gradi superiore alla Siberia;
8) l’innalzamento della superficie  dei mari dovuto all’aumento della temperatura continuerà per centinaia di anni anche dopo che la temperatura dell’aria si sarà stabilizzata, alcune zone sono già condannate;
 
9) la creazione di “pozzi d’assorbimento dell’anidride carbonica” (riforestazione ad esempio) può contribuire solo marginalmente ad attenuare l’aumento delle temperature e non sono tutti chiari i meccanismi alla base della sua efficacia;
10) per fermare l’aumento delle temperature è necessario che le emissioni di gas serra siano ridotte in tempi brevi in modo da contrastare in tempo utile l’innalzamento della temperatura (* Organismo internazionale scientifico nominato da tutti i paesi del mondo per lo studio dei cambiamenti climatici), (WWF-Italia, 2007).        
 
 
G.N.

venerdì 2 gennaio 2015

CENNI SUL PROTOCOLLO DI KYOTO

Le potenze mondiali dopo un percorso molto lungo e pieno di controversie si riunirono a Kyoto in Giappone dove stipularono un protocollo per la riduzione delle tonnellate d’anidride carbonica e gas serra emessi dalle loro economie.
All’interno del protocollo importanza è data all’incentivazione tecnologica e soprattutto all’uso e sviluppo delle fonti rinnovabili, auspicando una progressiva sostituzione delle energie fossili. Una volta ratificato nel 2005 il non rispetto degli impegni presi porge al pagamento di pesanti penali. Il protocollo è stato firmato nel dicembre 1997 a conclusione della terza sessione plenaria della conferenza delle parti, ed è entrato in vigore ufficialmente il 16 febbraio 2005, contiene obiettivi legalmente vincolanti e decisioni sull’attuazione operativa di alcuni degli impegni della convenzione quadro sui cambiamenti climatici (United Nation framework convention on climate change).
Il protocollo impegna i paesi industrializzati e quelli ad economia in transizione (Est Europa) a ridurre complessivamente del 5,2 % le principali emissioni antropogeniche di gas serra entro il 2010 e più precisamente nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012.
Il paniere di gas serra considerato nel protocollo include: l’anidride carbonica, il metano, il protossido d’azoto, i fluorocarburi idrati, i perfluorocarburi, l’esafloruro di zolfo. L’anno di riferimento per la riduzione delle emissioni dei primi tre gas è il 1990 mentre per i rimanenti tre (che sono gas lesivi dell’ozono atmosferico  e che per altri versi rientrano in un altro protocollo quello di Montreal), è il 1995.
In Italia è stato varato il “piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra” approvato con la delibera del 19 dicembre 2002 e previsto nella legge di ratifica  la quale descrive politiche e misure assunte  per il rispetto del protocollo di Kyoto e prevede di fare ricorso a meccanismi di flessibilità.
Il “Clean development mechanism” consente d’utilizzare la riduzione delle emissioni ottenuta con progetti di collaborazione in altri paesi.
La “joint implementation” consente di collaborare al raggiungimento degli obiettivi acquistando i diritti d’emissione risultanti dai progetti di riduzione delle emissioni raggiunti in un altro paese.
 La direttiva 2003/30 Ce  parte dal presupposto che:
  1. Tra il 1990 e il 2010 le emissioni di CO2 dovute ai trasporti aumenteranno del 50% per raggiungere circa 1.113 milioni di tonnellate, situazione di cui il trasporto su strada è il principale responsabile perché contribuisce per l’84% delle emissioni di CO2 imputabili ai trasporti. In una prospettiva ecologica il libro bianco chiede quindi di ridurre la dipendenza dal petrolio adesso del 98% nel settore dei trasporti mediante l’utilizzazione di carburanti alternativi come i biocarburanti. Un maggior uso dei biocarburanti nei trasporti fa parte del pacchetto di misure necessarie per rispettare gli impegni ulteriormente assunti al riguardo. In questo senso la direttiva acquista valore di piano attuativo europeo del protocollo di Kyoto per quanto concerne i combustibili destinati ai trasporti.
    La normativa fissa degli obiettivi di riferimento relativi ad una percentuale minima di biocarburanti e altri carburanti rinnovabili che gli stati membri dovrebbero immettere nel mercato e a tal fine stabiliscono i seguenti obiettivi nazionali:
  2. Il 2% calcolato sulla base del tenore energetico di tutta la benzina e del diesel immessi sui loro mercati entro il 31 dicembre 2005.
  3. Il 5,75% calcolato sulla base del tenore energetico di tutta la benzina e del diesel immessi sui loro mercati entro il 31 dicembre 2010 (Babbini, 2005).
    G.N.