mercoledì 15 aprile 2015

LA SFIDA DELL'AGRICOLTURA DEL FUTURO. IMITARE GLI ECOSISTEMI



L’agricoltura attua un delicato equilibrio con l’ambiente circostante formando un agro-ecositema più o meno compromesso, più o meno funzionante. Dal grado d’efficienza di quest’ultimo dipenderà molto dell’efficienza energetica agricolturale.
Se l’agroecosistema è vitale e non compromesso, si generano squilibri che tenderanno a favorire alcuni “piani” della catena alimentari. Ad esempio se nello spazio geografico dove è attuata una coltura erbacea mancheranno piante arboree o cespugli (ad esempio di rovo) che diano riparo a piccoli rettili e sopratutto uccelli  è probabile che si generi uno squilibrio nella catena alimentare che vedrà favoriti gli insetti in generale e con loro i parassiti e patogeni della mia coltura erbacea.
Per far fronte all’attacco parassitario l’agricoltore ricorrerà a flussi ausiliari d’energia, in questo caso pesticidi di sintesi con incremento degli input agrocolturali. Gli ecosistemi naturali hanno la massima efficienza energetica possibile, sfruttano ottimamente l’energia solare. Le produzioni elevatissime raggiunte dalle foreste pluviali, nonostante tutti gli input e quindi flussi energetici ausiliari di cui dispone l’uomo non sono riproducibili in agricoltura.

Le ragioni sono due pricipalmente:

  1. il riciclo totale della materia ed energia che avviene in un ecositema in fase climax in cui non vi è asporto di materia al di fuori dell’area ;
  2. la massima efficienza d’utilizzo dell’energia solare per unità di superfice, dovuta anche alla grandissima biodiversità esistente.
    La luce solare è captata al massimo grado grazie alla particolare conformazione della foresta. Vi sono vari strati vegetativi: alberi grandi e alti che con le loro chiome ricevono gran parte dell’energia solare; le piante epifite che non competono per il suolo ma producono biomassa crescendo sugli alberi, le liane che crescono  agrappandosi agli alberi; le piante ombrofile che crescono i piedi degli alberi. In tal modo la ricezione della luce è massima cosi comè l’utilizzo della risorsa suolo.
    L’agricoltura moderna e sopratutto l’agricoltura da “energy crops”deve mirare a criteri d’efficienza energetica. Per far ciò come fanno sempre più spesso ad esempio l’architettura e l’ingegneria, bisogna ispirarci alla natura imitando nel miglior modo possibile l’entità col miglior grado d’efficienza: l’ ecosistema naturale.
     Per avvicinarci al “punto1”e “punto2” sarà fondamentale seguire quanto più possibile i dettami dell’agricoltura biologica. Certamente appare chiaro come ciò sia molto difficile da fare per l’agricoltura da energia e come essa fino ad ora si sia basata in sintesi sul “coltivare petrolio”. Ovvero investire del petrolio sotto forma di carburante per i trattori e pompe idrauliche, concime chimici, pesticidi, per ottenere un surplus energetico (bruciando la biomassa raccolta ad esempio) che si speri superi la quantità di petrolio che si sarebbe spesa per produrre la stessa energia in maniera convenzionale (centrali termoelettriche) più l’ammontare della quantità di petrolio necessario per gli input agrocolturali.
    La realtà di questo reale ritorno energetico è stata messa in crisi da molte fonti autorevoli straniere (Pimentel e i suoi bilanci del mais per etanolo in Usa) e nostrane (Università della Tuscia conferenza Apat, 2006). Per ovviare a ciò e avere bilanci energetici migliori l’interesse della ricerca si è da tempo spostata sulle colture”low-input”o comunque a limitare gli interventi agrocolturali al minimo.
    Ad esempio pratica notevole è l’interramento dei residui colturali (ma ciò espone maggiormente ad attacchi parassitari) come  fatto con gli stocchi del mais che permette di riportare al terreno parte dei macro e micro elementi perduti.
    Per evitare l’uso di erbicidi e diminuire le pratiche agrocolturali sempre più interesse riscuotono le colture poliannuali da biomassa rispetto alle annuali. Infine da diversi anni si cerca di attuare pratiche policolturali sopratutto d’inter-cropping consociando tra loro colture da energia e leguminose azotofissatrici che possano sostituire l’apporto dei concimi inorganici.
    In Germania e Austria vi è al momento grande interesse riguardo al progetto MEF (mixed energy food ) che mira a consociare tra loro: Camelina sativa e pisello proteico, differenti specie di cereali, pisello proteico e cereali (Specogna, 2006).
    Tra le neglected crops tropicali, vi sono a mio parere alcune leguminose erbacee da valorizzare e consociare ad energy crops. Sono: il fagiolo alato o Psophocarpus tetragonolobus di cui parlo diffusamente in seguito, la Pachyrrhizus tuberosus e la Pachyrrhizus ahipa, ma anche la Leucaena leucocephala, un arborea da legno ha dato eccellenti risultati consociata al mais data la sua elevata velocità di crescita. Le prime tre producono sia semi che elevatissime quantità di tuberi ricchi d’amido che è possibile convertire in etanolo (s’intravede la possibilità di produrre in loco sia l’etanolo che l’olio necessario alla reazione di transisterificazione). E’ utile ricordare che le leguminose rilasciano generalmente al terreno il 20% dell’azoto fissato (Bonsembiante, 1983).
    Una strada ancora non percorsa è riferita all’imitazione del punto 2.1. Infatti una delle caratteristiche della foresta pluviale è l’abbondanza di piante epifite, come orchidee e molte bromeliacee e spesso delle liane che crescono e penzolano dagli alberi. Queste aumentano di molto la biomassa prodotta dall’ecositema. Tralasciando le piante epifite, le liane e i rampicanti sono da prendere in considerazione per un utilizzo agrocolturale, dato che migliorano la ricezione della luce solare molto più delle altre consociazioni. Una liana molto diffusa in Costarica e in Amazzonia delle famiglia delle Cucurbitaceae è la Fevillea cordifolia detta abilla o abiria.
     Per Brucher (Brucher 1989): “Una delle più produttive fonti di olio vegetale scoperte al mondo”. E’ una liana dioica con lunghi e foglie che s’arrampica per tutto il tronco degli alberi portando fino a 50 frutti a pianta, dei peponidi contenenti molti semi con un alta percentuale d’olio. Le produzioni allo stato spontaneo s’attestano tra le 800 e 3.000 kg/ha d’olio all’anno . Potrebbe essere consociata con la Copaifera langsdorfii con cui condividono l’habitat d’elezione. Un rampicante oggi comunemente consociato alla Jatropha in Madagascar è la vaniglia per ottenere  produzioni dall’alto valore economico. Le piante rampicanti tropicali e subtropicali dall’elevata produzione d’amido e olio sono numerosissime, basti ricordare l’Igname, pianta che produce grossi tuberi e comunemente consumata in Africa, o la Batata (di cui potrebbero essere selezionate qualità ad alto contenuto in Dioscorina per aumentarne la rusticità).

    Una Neglected crop rampicante da zone aride, molto interessante per le elevate produzioni che garantisce è la “Buffalo Gourd” californiana o Cucurbita foetidissima, pianta resistente a condizioni semiaride e che vegeta in zone semidesertiche tra Stati Uniti e Messico. Condivide l’habitat e l’origine con il Mesquite, leguminosa arborea di cui parlo diffusamente in seguito, una loro possibile consociazione è quindi probabile. La famiglia delle Cucurbitacee a cui appartengono la buffalo e la abilla offre grandi possibilità in questo campo perchè detiene molte specie con alte produzioni (vedi la zucca dai cui semi è estratto olio di pregio alimentare in est Europa e Usa) unite a  caratteristiche sarmentose. Per la produzione di biomassa l’Arundo donax può offire appiglio a piante rampicanti, ad esempio in Sicilia è comune vedere fitte consociazioni spontanee di convolvo (un’edera rampicante)-arundo (osservazione dell’autore, 2007). Molte piante spontanee sono oggi ricercate per la diffusa esigenza di trovare alofite da olio o biomassa per le sempre crescenti zone ad alto contenuto salino del pianeta. Alcune piante subtropicali e tropicali indicate sono (Wickens, 1984): la Salicornia europea, la Suaeda fruticosa, la Suaeda torreyana, la Distichlis jouvea, la Allerolfea occidentalis.
     La salicornia è comune allo stato selvatico anche in alcune zone costiere della Toscana dove è consumata saltuariamente come verdura, è il suo uso come pianta da bioenergico è più che una promessa. Nei paragrafi successivi vengono illustrate in maniera estesa alcune neglected crops tra le più studiate e quindi di pronto sviluppo per il settore bio-energico.


    G.N.


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